Analisi fisiopatologica dell’edentulia

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I grandi passi compiuti negli ultimi decenni in campo odontoiatrico, risultato di una migliore qualità dell’assistenza odontoiatrica mondiale, hanno sensibilmente ritardato e ridotto la comparsa di lesioni cariose e parodontali donando una maggior longevità alla dentatura naturale. Analizzando i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è possibile osservare, soprattutto nei paesi a più alta industrializzazione, una diminuzione della perdita dei denti nella popolazione adulta e un aumento dell’età media. Anche in Italia la quota di cittadini di età superiore ai 65 anni è assolutamente rilevante e probabilmente in crescita nei prossimi decenni.

Parimenti con l’aumentare dell’età aumenta percentualmente la quota di soggetti edentuli. Per tali ragioni, la quota di pazienti edentuli o parzialmente edentuli con dentizione terminale, almeno in un’arcata, aventi un’età superiore ai 65 anni, resta ancora molto elevata se non in aumento (Douglas et al., 2002). L’edentulismo continua a rappresentare un enorme peso sanitario globale che viene spesso trascurato sia in Paesi ormai evoluti che in quelli in via di sviluppo. Verosimilmente ancora per i prossimi 40/50 anni resterà viva la necessità di trattamenti riabilitativi per intere arcate edentule e conseguentemente di una corretta educazione per il loro mantenimento (Felton, 2009). Le probabili cause di una così alta incidenza di edentulia sono probabilmente legate ai seguenti fattori.

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Carie: la prevalenza è massima in età scolare e va diminuendo in età adulta con andamento inverso rispetto alla prevalenza della malattia parodontale (Selwitz RH et al., 2007). Nei Paesi industrializzati vi è una netta suddivisione della popolazione in due sottogruppi, uno con bassa esperienza di carie e l’altro, nettamente minoritario, con una esperienza di malattia elevata. In quest’ultimo, il soggetto a rischio, può sviluppare 12 nuove lesioni cariose/ anno (Giannoni et al., 2005). La carie secondaria rappresenta la principale causa di insuccesso delle riabilitazioni protesiche nel soggetto adulto (Zoellner et al., 2002) con perdita, spesso, degli elementi  dentari coinvolti. La carie radicolare è un problema particolarmente diffuso nei soggetti di età superiore ai 65 anni (Hahn et al., 2004). L’insorgenza di carie è strettamente legata alla quantità e qualità della placca batterica, alla presenza e alla frequenza di assunzione di zuccheri fermentabili, alle risposta immunitaria locale e sistemica del soggetto, alle caratteristiche salivari, alla morfologia e alla costituzione dei tessuti duri dentari. I soggetti anziani hanno una maggior difficoltà nel lavarsi i denti per ridotta abilità manuale con conseguente maggior accumulo di placca e rischio incrementato per carie e malattia parodontale (Strohmenger, 2006).

Malattia parodontale: la prevalenza aumenta significativamente oltre la terzaquarta decade di età, divenendo causa significativa di perdita degli elementi dentari nel soggetto adulto (Van der Velden, 1984). Nella popolazione italiana adulta si raggiungono livelli del 70% di prevalenza. L’insorgenza di malattia parodontale è legata alla qualità e quantità della placca batterica, a fattori genetici che regolano la risposta immunitaria, a fattori ambientali di cui il fumo è il principale, alla presenza di alcune malattie sistemiche nonché di terapie farmacologiche (Paulander et al., 2004).

Pregresse terapie odontoiatriche: gli elementi dentari restaurati presentano una probabilità maggiore di quelli sani di subire ulteriori restauri successivi sempre più estesi (Pitts et al., 2004). Ricostruzioni conservative o protesiche incongrue o parzialmente congrue espongono al rischio di carie secondarie e di carie radicolari. Ugualmente riabilitazioni di denti non rispettanti l’anatomia parodontale espongono al rischio di insorgenza di malattia parodontale. I restauri protesici, per la loro intrinseca natura, necessitano di un avvicendamento nel tempo con possibile pregiudizio dei denti di sostegno (Pjetursson et al., 2004).

› Condizioni di salute generale e abitudini di vita: il peggioramento delle condizioni di salute generale, nonché la presenza di specifiche malattie sistemiche sono associate al rischio di edentulismo nel soggetto adulto (Tramini et al., 2007). Malattie correlate alla perdita di denti sono il diabete insulinodipendente, le patologie che deprimono il sistema immunitario (HIV, neoplasie, neutropenie, LAD), collagenopatie, deficit psichici. Trattamenti terapeutici e farmacologici che possono favorire la perdita di denti sono l’irradiazione cervicofacciale, i farmaci xerostomizzanti, i corticosteroidi, gli immunosoppressori, e altri ancora. Tra le abitudini di vita, oltre all’uso di droghe, il fumo è senz’altro il fattore maggiormente correlato al rischio di edentulia. La prevalenza di edentulismo nei fumatori rispetto ai non fumatori è circa il doppio (Millar et al., 2007). La perdita dei denti attiva il riassorbimento osseo, con perdita progressiva dei processi alveolari (Tallgren et al., 1995; 2003). Dal punto di vista biologico uno studio preclinico di Cardaropoli et al. (2003) ha valutato la sequenza di guarigione in seguito all’estrazione del dente. I risultati di questa ricerca hanno dimostrato che la guarigione di un sito di estrazione coinvolge una serie di eventi dalla formazione del coagulo che poi viene sostituito da una matrice provvisoria del tessuto connettivo, tessuto osseo immaturo e osso lamellare e midollo osseo. In concomitanza con questi processi intralveolari, i processi extralveolari sono stati descritti per comprendere la complessità della guarigione dopo l’estrazione del dente. Araujo e Lindhe (2005) hanno indagato le alterazioni ossee dell’alveolo postestrattivo: il riassorbimento delle pareti vestibolari e linguali avviene in due fasi.

Nella stragrande maggioranza dei casi il grado di atrofia è inversamente proporzionale all’età di insorgenza dell’edentulia: più precoce è la perdita degli elementi dentari e maggiore è il grado di atrofia ossea che ne consegue. Fra i fattori sistemici in grado di influenzare il catabolismo osseo dei mascellari le diete carenti di calcio ed ergocalciferolo sembrano essere quelle ad avere un’azione diretta certa (Wical et al., 1974); mentre fra i fattori locali sicuramente l’impiego di protesi rimovibili giuoca un ruolo fondamentale e infatti la durata di utilizzo dei manufatti è direttamente proporzionale al grado di atrofia. L’utilizzo di una protesi mobile a solo supporto mucoso incongrua, soprattutto con un’arcata antagonista dentata, è in grado di indurre quadri di riassorbimento osseo non osservabili in pazienti edentuli sprovvisti di protesi.

Con la comparsa dell’edentulia è come se il mascellare si contraesse tridimensionalmente in modo concentrico esattamente come un palloncino che si sgonfia mentre l’arco mandibolare edentulo, in seguito alla involuzione dei processi vestibolari posti più internamente, è come se costantemente tendesse ad allargarsi (atrofia centrifuga). Proseguendo nell’evoluzione atrofica, la perdita dei processi alveolari edentuli aggrava la discrepanza trasversale portando inesorabilmente il rapporto fra le arcate sempre più in inversione. A influire negativamente su questo processo vi è la perdita precoce ed inesorabile della componente vestibolare dei processi alveolari e in particolare di quelli mascellari, assai sottile e scarsamente vascolarizzata. Funzionalmente la maggior parte delle forze masticatorie viene dissipata attraverso le radici palatali sui processi palatini che infatti si presentano molto voluminosi e resistenti; le cuspidi e radici vestibolari sono sollecitate da forze molto inferiori e conseguentemente le pareti esterne dei processi alveolari vestibolari si presentano esili e scarsamente resistenti. Associata alla perdita degli elementi dentari vi è anche la perdita della sensibilità propriocettiva, insita nel sistema parodontale, con conseguente scomparsa dei sistemi di feedback che sono alla base della coordinazione motoria dell’estremo cefalico; tali funzioni risultano ulteriormente compromesse nell’anziano dal difficoltoso adattamento a nuovi modelli neuromuscolari masticatori e dalla ridotta capacità contrattile della muscolatura in generale.

È quindi indispensabile tenere sempre in considerazione le condizioni di salute generali del paziente, indagando attentamente la capacità nel mantenere una dieta bilanciata e nutriente. Con l’avanzare dell’età si assiste anche alla riduzione dell’ elasticità di mucose e cute legata alla progressiva incapacità rigenerativa dei diversi tessuti. Sul volto, con l’aggravante dell’eventuale edentulia, se non correttamente compensata, compaiono a carico dei tessuti molli numerose alterazioni solitamente ascrivibili alla perdita della dimensione verticale; questa viene compensata con una rotazione in senso antiorario dell’arco mandibolare che sposta la regione mentale in avanti ed in alto con collassamento del III inferiore del volto. In queste condizioni tutti i tessuti del volto sono in apparente eccesso ed afflosciati. Il muscolo orbicolare non è più in grado di assicurare un sigillo labiale da cui risultano frequenti cheiliti angolari. Le guance, non più supportate dagli elementi dentari, si affossano ed il vermiglio, se non correttamente supportato protesicamente, si assottiglia togliendo volume al labbro superiore. Singolarmente o nel loro insieme, tutti questi fattori contribuiscono a rendere ancora più difficoltoso il trattamento del paziente edentulo che sovente vive questo suo stato come un degrado della propria identità con inevitabili ripercussioni sia nell’ ambito della sfera emotiva personale che in quello sociale che sono alla base del deterioramento delle relazioni interpersonali.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera i pazienti edentuli disabili e portatori di handicap; a tale proposito si può affermare (Sanfilippo et al., 2005) che i soggetti che sono andati incontro a perdita degli elementi dentari rientrino in tutte e tre le condizioni descritte dalla OMS per definire lo stato di un soggetto:

menomazione, in quanto portatori di edentulia e conseguente perdita dei processi alveolari;

incapacità, legata quantomeno all’involuzione della funzione masticatoria e fonatoria nei pazienti portatori di protesi inadeguate o con gravi atrofie ossee;

– handicap, come disadattamento prodotto dalla ridotta capacità di rapporti interpersonali e legato alla alterata immagine sociale del soggetto.

È in questa ottica che il paziente edentulo deve essere trattato; la nostra azione di ripristino anatomico e funzionale dei mascellari non può prescindere dalla realtà emotiva del soggetto; solo con un’attenta valutazione psicologica potremo perseguire l’eccellenza del risultato aiutando il paziente a ridurre la sua condizione di handicap. Nel momento in cui un paziente perde i propri elementi dentari o prende in considerazione la rimozione dei denti naturali residui, deve essere messo al corrente del potenziale sviluppo di condizioni di malattia associate all’edentulia stabilendo appuntamenti fissi nei quali rivedere il paziente, qualunque sia la terapia adottata, consci che solo un trattamento adeguato è in grado di prevenire effetti quali ulteriore perdita di osso, irritazione delle mucose, problematiche funzionali e non da ultimo psicologiche.

Analisi fisiopatologica dell’edentulia - Ultima modifica: 2015-08-10T08:38:03+00:00 da redazione

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