Fotopolimerizzazione dei materiali resinosi: effetti termici

Il prezioso lavoro di rassegna e analisi di nuovi fotoiniziatori da parte di Ikemura (2010) ha posto l’accento sull’importanza di sviluppare materiali innovativi che possano adeguarsi alle caratteristiche dei nuovi compositi, delle nuove lampade e alle esigenze estetiche del paziente. Ikemura conclude che:

  1. nessuna differenza significativa nel grado di conversione (DC) (p> 0,05) è stata osservata tra BAPO e CQ/sistema amminico (p>0,05);
  2. gli attivatori di nuova sintesi (DOHC-DPPO = CQ-APO) possiedono due lunghezze d’onda di assorbimento massimo (λmax) a 350-500 nm [372 nm (dal gruppo APO) e 475 nm (dalla porzione CQ)];
  3. le resine contenenti CQ-APO godono di una buona reattività alla fotopolimerizzazione, ottimo tono di colore, un tempo di lavoro adeguato e di alta resistenza meccanica;
  4. il fotoiniziatore APO-Na idrosolubile migliora l’adesione in un solo passaggio della resina alla dentina e un adesivo HEMA-free automordenzante esibisce una forte adesione a entrambe le masse smalto e dentina;
  5. i fotoiniziatori contenenti frazioni di canforochinone e ammina terziaria nella catena laterale mostrano una sensibile diminuzione di efficienza in termini di tempo di induzione e di grado di conversione, probabilmente a causa dell’impedimento sterico del loro stato eccitato.

Contrazione e calore da polimerizzazione

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La reazione di polimerizzazione trasforma il materiale, inizialmente modellabile, in uno denso e resistente attraverso tre fasi che sono la micro-gel, la macro-gel e la vetrosa. Il protocollo di polimerizzazione, a questo punto, riveste un ruolo di primaria importanza. Il tempo di applicazione, la modalità di impulso, il tipo di lampada utilizzata e la potenza emessa sono parametri che, se ben dosati, possono realizzare una polimerizzazione profonda, priva di stress da contrazione e quindi realizzare ricostruzioni durature nel tempo (Baldissarra, 1997). La sorgente di luce ideale dovrebbe emettere una radiazione luminosa totalmente utile alla conversione del fotoiniziatore; bande di spettro troppo lontane dal picco di assorbimento creano, infatti, una conversione dell’energia emessa in calore con l’effetto indesiderato di un aumento della temperatura nei tessuti dentari. La temperatura sembra però accrescere il grado di conversione, perché il suo aumento diminuisce la viscosità del composito, con un incremento della mobilità dei monomeri e dei radicali liberi (Calheiros, 2008).

Lampade fotopolimerizzanti

Sin dall’introduzione dei compositi fotopolimerizzabili, sono state proposte diverse tecnologie per la costruzione delle unità di luce per polimerizzazione: inizialmente sono state sviluppate le lampade a ultravioletto (UV), in seguito i sistemi a luce-visibile come le lampade alogene al quarzo-tungsteno (QTH), le unità ad arcoplasma e, più recentemente, le lampade a diodi (LED). In commercio sono presenti da qualche tempo varie tipologie di lampade, con diverse caratteristiche di emissione, che si differenziano tra loro per diversi aspetti (Tabella 2); si noti come la scelta di una lampada idonea ad attivare correttamente il fotoiniziatore, sia di cruciale importanza per la sua corretta attivazione (Figura 2). Le lampade sviluppate negli ultimi anni appartengono a 4 tipologie diverse:

  • alogene (QHT);
  • ad arco al plasma;
  • laser;
  • LED.

I principi che permettono l’emissione della sorgente luminosa ne caratterizzano le peculiarità, differenziandosi una dall’altra per svantaggi e vantaggi.

2. Spettri di assorbimento ed emissione.

Lampade alogene
L’emissione luminosa è prodotta dal surriscaldamento di un filamento di tungsteno, collocato all’interno del bulbo contenente alogeni, quando è attraversato da una corrente elettrica. Hanno un largo spettro di emissione e richiedono l’ausilio di filtri per restringerlo entro valori utili all’attivazione del fotoattivatore. L’energia luminosa emessa rappresenta circa l’1% dell’energia elettrica utilizzata: la restante porzione è convertita totalmente in energia termica. Considerando il lungo periodo in cui queste lampade hanno rappresentato il riferimento odontoiatrico per la polimerizzazione, si può affermare che la tecnologia che utilizzano è affidabile ma, di contro, non ci sono margini per ulteriori miglioramenti. Altri difetti che ne hanno pregiudicato l’utilizzo sono il progressivo deterioramento dei componenti quali il bulbo, il riflettore e i filtri che alterano notevolmente la qualità dell’emissione luminosa a favore di quella termica; inoltre, l’emivita effettiva è di circa 1000 ore, con riduzione nel tempo dell’efficacia di polimerizzazione. Solo una piccola porzione dello spettro di emissione, quella vicino al picco di assorbimento del canforochinone, è usata per attivare le molecole del fotoiniziatore (Polydorou, 2008).

Lampade ad arco al plasma
La produzione dell’energia luminosa è deputata al passaggio di energia elettrica all’interno di un bulbo pressurizzato contenente due elettrodi di tungsteno separati e un gas inerte, generalmente rappresentato da xenon. Il gas divenendo incandescente al passaggio della corrente emette una radiazione luminosa a elevato voltaggio, circa 2000 mw/cm2 ma con uno spettro, più ristretto rispetto le alogene, che si attesta intorno ai 470 nm. Anche in questo caso la conversione è inferiore all’1% con elevata produzione di calore.

Lampade Argon-ion laser
L’acronimo anglosassone laser sta per “light amplification by stimulated emission of radiation”, vale a dire una luce ottenuta dall’amplificazione stimolata di radiazioni; la sua commercializzazione è stata introdotta per lo sbiancamento dei denti vitali. Data la loro tecnologia, offrono un’elevata profondità di polimerizzazione senza produzione di energia termica in eccesso. La ristrettezza del picco di emissione (450-420 nm) e le potenze intorno ai 1000 mw/cm2 ne potrebbero determinare un utilizzo diffuso, ma il loro costo ancora elevato e l’ingombro dell’apparecchiatura ne ostacolano la diffusione per il solo utilizzo in conservativa.

Fotopolimerizzazione dei materiali resinosi: effetti termici - Ultima modifica: 2013-03-15T12:29:57+00:00 da Redazione

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