L’MIH, cioè l’ipomineralizzazione dei molari e degli incisivi, è una patologia pediatrica poco nota al dentista generico, che invece potrebbe fare molto per intercettarla precocemente e porvi rimedio, come suggerisce un nuovo studio dell’Università di Alessandria d’Egitto coadiuvato dall'Università degli Studi dell'Aquila e sostenuto dalla SIOI

MIH ipomineralizzazione
Sara Arcari, Odontoiatra che si occupa esclusivamente di Odontoiatria pediatrica e Ortodonzia intercettiva e dal 2009 è membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Odontoiatria Infantile (SIOI)

«Un recente studio stima che nel mondo ci siano 17,5 milioni di nuovi casi all’anno di MIH (Molar Incisor Hypomineralization), con una prevalenza media del 13,1% – 14,2%, e variazioni che vanno dal 2,4% a oltre il 40,2%». A dirlo è Sara Arcari, odontoiatra che tra Crema e Milano si occupa esclusivamente di Odontoiatria pediatrica e Ortodonzia intercettiva, dal 2009 membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Odontoiatria Infantile (SIOI), per la quale cura le relazioni internazionali. L’ipomineralizzazione di molari e incisivi (MIH) è una condizione clinica nella quale si osservano difetti morfologici dello smalto nei molari e negli incisivi che va riconosciuta e trattata tempestivamente per proteggere i denti che ne sono colpiti.
«È stato riscontrato che i bambini affetti da MIH entro l’età di 9 anni sono sottoposti a trattamento odontoiatrico 10 volte in più rispetto ai bambini che non presentano MIH, con un aumento considerevole di ansia odontoiatrica e problemi di gestione del comportamento», spiega Arcari. «Si attesta quindi il ruolo sempre più importante dell’MIH nella pratica clinica odontoiatrica, dato il significativo impatto sulla salute orale e sulla qualità di vita dei piccoli pazienti che presentano la patologia. Tuttavia, esistono fattori non definiti e misconosciuti, sia riguardo all’eziologia - che appare multifattoriale - sia rispetto alla diagnosi e al trattamento: la MIH è quindi una delle maggiori sfide attuali per gli odontoiatri».
Di qui l’idea della SIOI di sposare e promuovere uno studio globale riguardante la MIH, nato in seno all’Università di Alessandria d’Egitto e in Italia coadiuvato dall’Università degli Studi dell’Aquila. «Il titolo definisce lo scopo dell’indagine: attestare la conoscenza globale, la percezione, l’attitudine e l’esperienza clinica di odontoiatri pediatrici, endodontisti e odontoiatri generali riguardante la MIH tramite un’indagine multinazionale. Si tratta di uno studio osservazionale, trasversale e comparativo, basato su una survey distribuita ai diversi Paesi via web che si propone di definire lo stato della conoscenza attuale, le metodologie nella diagnosi, nonché le varie modalità di trattamento e le strategie attitudinali dei professionisti clinici di ogni singolo Paese coinvolto nella ricerca».
I sondaggi, provenienti da tutti i Paesi, saranno quindi raccolti via web. Poi, fa sapere Arcari, si procederà ad eseguire un’analisi statistica comparativa dei risultati, con la pubblicazione dei dati ottenuti.
«Per consentire anche all’Italia di prendere parte alla ricerca scientifica, in modo che il nostro Paese possa esprimere il proprio autorevole contributo, è fondamentale la compilazione del questionario - in forma anonima- che richiede circa 10 -12 minuti. Invito quindi tutti i colleghi a farlo e a nome della SIOI ringrazio sin d’ora chi offrirà un po’ del proprio tempo per partecipare a questa importante indagine globale».

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Il tuo contributo consentirà di arricchire uno studio globale, nato in seno all’Università di Alessandria d’Egitto e in Italia coadiuvato dall’Università degli Studi dell’Aquila.

 

I pediatri di libera scelta, il punto debole della catena

MIH ipomineralizzazione
Odontoiatra libera professionista a Forlì con pratica esclusiva in Odontoiatria infantile

Secondo Isabella Gozzi, odontoiatra libera professionista a Forlì, con pratica esclusiva in Odontoiatria infantile e ortodonzia, l’MIH è una patologia ancora poco conosciuta, soprattutto per il dentista generico che non ha “confidenza“ con l’odontoiatria pediatrica, sebbene questa patologia abbia un’incidenza del 12-14% , come si evidenzia da due recenti revisioni sistematiche (8,1-21,1% Zhao et al 2018 ; Dave and al Talor 2018 e 1,7-14,3% Schwendicke et al. 2018). Questa mancanza di consapevolezza può portare a confondere i segni della MIH con la semplice carie, causando diagnosi tardive e facendo perdere così l’opportunità di trattare tempestivamente la patologia. «Prima del 2010, la diagnosi della MIH nei denti decidui non era comune tra gli odontoiatri», spiega Gozzi, «ma ora è cruciale individuare precocemente il problema, non soltanto su primi molari permanenti e incisivi, ma anche sui secondi molari, i primi premolari e i canini permanenti.
Riconoscere immediatamente la patologia consente non solo di affrontarla tempestivamente, ma anche di prepararsi al coinvolgimento dei denti permanenti, poiché la MIH è una malattia multi-fattoriale in cui la componente genetica ed epigenetica interagiscono tra di loro. Si è evidenziata un’associazione tra quadri di ipomineralizzazione sui denti decidui (HSPM, HPC) e le MIH: i bambini con tali situazioni hanno una probabilità sei volte maggiore di sviluppare l’MIH, come dimostrato dallo studio pubblicato sul Journal of Dentistry, nel maggio 2018, da Elsa Garot dell’Università di Bordeaux».
Questa associazione offre all’odontoiatra la possibilità di una diagnosi precoce.
Secondo la dottoressa Gozzi, infatti, sarebbe opportuno coinvolgere anche i pediatri di libera scelta per far conoscere loro le MIH. «Questo sarebbe importante in quanto tutti i bambini in Italia hanno un pediatra di riferimento, ma non tutti i bambini hanno un odontoiatra pediatrico che li possa seguire in modo adeguato. Il pediatra potrebbe segnalare ai genitori che alcuni denti hanno un colore diverso dal solito e sappiamo bene quanto sia importante, nelle forme lievi di MIH, una corretta alimentazione in abbinamento a un’igiene impeccabile per evitare che queste forme possano degenerare.

La diagnosi di MIH si basa sull’identificazione di criteri diagnostici, elaborati dall’EAPD (European Academy of Paediatric Dentistry), che tutti gli odontoiatri pediatrici dovrebbero conoscere: i denti coinvolti, le opacità delimitate (di queste si prendono in considerazione il colore, le dimensioni, la forma e la localizzazione), i crolli strutturali post-eruttivi (PEB), la sensibilità (spontanea o provocata a seconda dei casi), la presenza di restauri atipici e, infine, le estrazioni». La sensibilità dei denti colpiti dall’ipomineralizzazione è un segno importante e quando diventa marcata può indicare un problema grave che spesso si traduce in crolli strutturali post-eruttivi, situazione che richiede cure immediate. I processi di ipomineralizzazione del dente, in generale, modificano la normale struttura dello smalto che perde la sua naturale translucenza, la bassa conducibilità termica e la resistenza alla pressione.
«Durante la prima visita, in caso di crollo strutturale (PEB) di un elemento dentario con MIH, è consigliabile applicare un CVI (cemento vetroionomerico) bioattivo sulla parte del dente, come trattamento a medio termine, in attesa di un trattamento definitivo; è bene suggerire al paziente l’uso domiciliare di prodotti caseinati e gel al fluoro tre volte al giorno, insieme con corretti stili di vita; nel successivo appuntamento, è necessario eseguire una seduta di igiene, durante la quale applicare il fluoro e verificare la riduzione della sensibilità causata dall’uso domiciliare dei prodotti consigliati; nella seduta seguente, si può eseguire il trattamento conservativo, valutando anche l’efficacia dell’anestesia tramite l’applicazione di un pellet imbevuto di cloruro di etile. Tra una seduta e l’altra è consigliabile attendere almeno due settimane, per permettere ai prodotti mineralizzanti di svolgere il loro effetto».

Verso un approccio standardizzato

MIH ipomineralizzazione
Milena Cadenaro, Professore ordinario di malattie odontostomatologiche presso il Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute dell’Università degli Studi di Trieste

«L’MIH è una patologia che è stata inquadrata in un’epoca relativamente recente», dice Milena Cadenaro, professore ordinario di malattie odontostomatologiche presso il Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute dell’Università degli Studi di Trieste, dove è Coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Odontoiatria e Protesi Dentaria, Direttore della Scuola di Specializzazione in Odontoiatria Pediatrica e della S.C. di Odontostomatologia Pediatrica dell’IRCSS Materno-Infantile Burlo Garofolo. «La definizione che ha trovato maggior riscontro è quella proposta nel 2003 dall’European Academy of Paediatric Dentistry (EAPD). Tuttavia, se sulla definizione c’è stato consenso unanime, sull’eziologia della malattia, in effetti, le cose sono più complicate, sebbene ormai tutti concordino sull’esistenza di una componente genetica, se pensiamo che sovente le lesioni presenti sui secondi molari decidui preludono allo sviluppo della malattia nei denti permanenti. Tra gli altri fattori associati, non ancora ben chiariti né definiti, ci sono le infezioni della prima infanzia, gli antibiotici e più recentemente la carenza di vitamina D.
Di sicuro, l’MIH è una patologia che ha un grosso impatto sulla qualità della vita del paziente, per la spiccata sensibilità dentale che genera e che va a influenzare la possibilità di avere una corretta igiene orale, il che, su un substrato già di per sé ipomineralizzato, favorisce lo sviluppo della carie».
Secondo quanto riportato in letteratura, ma anche dall’esperienza clinica raccolta sul campo, fa sapere Cadenaro, la patologia sembrerebbe in crescita. «Rispetto a una rilevazione effettuata presso la nostra Clinica, a Trieste, nel 2014, che aveva evidenziato una prevalenza della malattia pari al 3%, nei bambini sottoposti a screening, nell’ultima rilevazione, iniziata nel 2021 e ancora in corso, abbiamo registrato un aumento con valori che sono intorno al 12%».
Il dato può essere letto in diversi modi, chiarisce Cadenaro, e non necessariamente come crescita della patologia, ma ad esempio come maggior capacità diagnostica degli odontoiatri, segno anche di una maggior sensibilità al tema della salute orale da parte dei genitori dei piccoli pazienti.
«Non per niente nei Paesi del Nord Europa, dove la cultura della prevenzione è maggiormente sviluppata, la prevalenza di questa malattia è più alta rispetto ai Paesi del Sud Europa. Il dato è stato interpretato da alcuni anche come una conferma del ruolo che avrebbe la carenza di vitamina D, causata da una minor esposizione ai raggi solari, che nei Paesi del Nord è meno intensa, nello sviluppo della malattia».
Ad oggi, fa notare Cadenaro, non esistono studi epidemiologici standardizzati sull’MIH, di cui invece ci sarebbe grande bisogno. «Mi piacerebbe molto realizzare una ricerca in grado di descrivere oggettivamente il fenomeno, perché in questo ambito il rischio di bias oggi è davvero alto, sia sotto il profilo diagnostico, sia rispetto alle terapie disponibili. Purtroppo, gli odontoiatri non sempre riescono a intercettare la patologia che è del tutto sconosciuta ad alcuni o sottostimata anche dai pediatri, gli altri professionisti sanitari che andrebbero coinvolti per affrontare il problema della salute orale del bambino in modo più sistematico, anche rispetto al tema, spesso sottovalutato, della carie nella prima infanzia.
Le cose però stanno via via migliorando, perché, per esempio, lo scorso anno, grazie ad un’iniziativa messa in campo dalla professoressa Alessandra Majorana dell’Università degli Studi di Brescia e che ha coinvolto le Scuole di specializzazione in Odontoiatria pediatrica in memoria del professor Giuliano Falcolini, l’MIH è stato oggetto di studio, essendo uno dei temi caldi del momento.
Anche perché, come già detto, sebbene esista una classificazione precisa e condivisa di questa malattia, frutto di una consensus conference dell’EAPD risalente al 2003, non esistono ancora protocolli terapeutici standardizzati e il clinico affronta la patologia con un approccio a volte ancora molto empirico. Ed è proprio su questa carenza che, secondo me, l’odontoiatria pediatrica, in tema di MIH, dovrebbe maggiormente concentrarsi».

Le bande ortodontiche alla prova

MIH ipomineralizzazione
Lisa Lardani, Specialista in Odontoiatria pediatrica ed Assegnista di Ricerca presso l’Università di Pisa

Nel panorama scientifico, alcuni autori avevano suggerito l’uso delle bande ortodontiche nel trattamento dell’MIH, senza approfondire l’argomento: in letteratura, infatti, vi sono limitate informazioni riguardo alle opzioni di trattamento per i molari gravemente compromessi da MIH nelle fasi iniziali di eruzione. «È per questo che il nostro gruppo di studio», spiega Lisa Lardani, odontoiatra, specialista in Odontoiatria pediatrica ed Assegnista di Ricerca presso il dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica dell’Università di Pisa, «ha deciso di approfondire l’argomento e nel 2021 ha pubblicato un case report che ha evidenziato l’efficacia di tale approccio nella prevenzione del PEB attraverso un follow-up di 36 mesi (Bagattoni S., Gozzi I., Lardani L., Piana G., Mazzoni A., Breschi L., Mazzitelli C.. Case report of a novel interim approach to prevent early posteruptive enamel breakdown of molar-incisor hypomineralization-affected molars. J AmDentAssoc. 2021 Jul;152(7):560-566. doi: 10.1016/j.adaj.2021.04.015. PMID: 34176570) e ad oggi abbiamo in revisione un altro lavoro: uno studio di coorte retrospettivo che mira a valutare il successo di questa tecnica a 18 mesi di follow-up su 22 primi molari».
L’utilizzo delle bande nei casi con MIH dipende dalla gravità dell’ipomineralizzazione del primo molare permanente ed è indicato fin dalle prime fasi di eruzione nei casi in cui l’opacità è di colore giallo-marrone, è ampia e coinvolge le cuspidi.
«Il rischio del post-eruptive break down, cioè del crollo strutturale post eruttivo dato dall’azione delle forze masticatorie, è maggiore nei casi in cui l’opacità è giallo-marrone, rispetto ai casi con opacità bianco-crema, e laddove è presente un’opacità più scura la porosità è maggiore e talvolta si manifesta una spiccata ipersensibilità.
L’obiettivo principale di questa terapia preventiva è quello di intervenire non appena il dente erompe in arcata, al fine di evitare un crollo strutturale e diminuire inoltre drasticamente l’ipersensibilità caratteristica di questi elementi».
L’applicazione delle bande ortodontiche, spiega Lardani, non richiede alcuna preparazione del dente coinvolto e permette di mantenere gli elementi integri e vitali per un tempo sufficiente a differire i restauri definitivi in un momento migliore per il piccolo paziente, sia in termini di crescita e di permuta, che di collaborazione.
«I bambini affetti da MIH sono talvolta pazienti estremamente difficili da trattare a causa dell’ipersensibilità e delle numerose necessità di intervento odontoiatrico. Quando invece il post eruptive break down è già avvenuto, la terapia mirerà a ripristinare la funzione dell’elemento in questione, preservandone l’integrità e la vitalità. Possono essere utilizzate quindi sia bande lisce che ortodontiche, in base alle necessità di trattamento, e di conseguenza ottimali nel caso in cui il paziente debba iniziare una terapia ortodontica intercettiva». Per il trattamento dei primi molari affetti da MIH, esistono oggi diverse opzioni terapeutiche che vanno dalla profilassi alla restaurativa, fino all’estrazione dell’elemento, ricorda Lardani che nella sua veste di ricercatrice dà un suggerimento.
«Per una patologia come l’MIH, essere costantemente aggiornati sulla letteratura scientifica è cruciale, considerando che la gestione clinica può variare in base alla gravità del difetto e all’età del paziente, ma anche ad altri fattori determinanti. Affidarsi a opzioni terapeutiche convalidate dalla letteratura (Lygidakis, N.A., Garot, E., Somani, C. et al. Best clinical practice guidance for clinicians dealing with children presenting with molar-incisor-hypomineralisation (MIH): an updated European Academy of Paediatric Dentistry policy document. Eur ArchPaediatrDent 23, 3–21 (2022) https://doi.org/10.1007/s40368-021-00668-5) è estremamente importante per il clinico, per massimizzare l’efficacia e ridurre il rischio di errori clinici o di cure non necessarie, ma soprattutto per garantire il miglior trattamento possibile ai propri pazienti».

 

Quando conviene estrarre il dente affetto da MIH?

MIH ipomineralizzazione
Maria Grazia Cagetti, Professore associato di Malattie odontostomatologiche presso l’Università degli Studi di Milano

Lo abbiamo chiesto a Maria Grazia Cagetti, professore associato di Malattie odontostomatologiche presso l’Università degli Studi di Milano, dove è direttore della Scuola di specializzazione in Odontoiatria pediatrica.

Professoressa Cagetti, l’estrazione di un dente colpito da MIH può essere una sconfitta, ma a volte è necessaria…

«Sì, ma non la vedo come una sconfitta. Lo sarebbe se si arrivasse alla decisione di estrarlo dopo numerosi tentativi di portare avanti un elemento estremamente compromesso. Quando invece parliamo di estrazione come terapia elettiva per gli elementi affetti da MIH severa, parliamo di una scelta terapeutica che ci porta a preferire che un bambino di 7-8 anni possa avere un futuro con una bocca con 28 denti sani, piuttosto che ostinarsi a trattare un elemento che inevitabilmente, dopo un certo numero di anni, sarà perso. Il mancato ripristino porterebbe a un serio danno all’occlusione e richiederebbe, quindi, un impianto o un trattamento ortodontico estremamente impegnativo. Senza pensare ai costi che tutto ciò comporterebbe. Inoltre, assai spesso i terzi molari non trovano posto nelle arcate e vengono estratti. Dargli la possibilità di avere il ruolo di un elemento a tutti gli effetti masticante, diventa l’obiettivo terapeutico per me da preferire nei casi di MIH severa».

In queste circostanze, come deve operare il clinico, in particolare rispetto alle tempistiche?

«Le tempistiche sono il punto fondamentale se si decide questa strategia. Estrarre il primo molare al momento giusto aumenta enormemente le probabilità che il settimo erompa mesialmente, occupando lo spazio del sesto perso e, a sua volta, l’ottavo possa, più tardi, prendere il posto del secondo molare. La letteratura ci dice che il momento ideale per l’estrazione è fra gli 8 e 10 anni di età. Il segno radiografico, considerato indicatore del momento ideale per l’estrazione e visibile radiograficamente, è la calcificazione della forcazione del secondo molare. A volte, però, non è possibile attendere questo momento, in quanto i disagi che i denti affetti possono provocare al piccolo paziente e i costi che la famiglia deve affrontare, ci fanno optare per un intervento più precoce. Sebbene l’esperienza clinica non abbia lo stesso valore dell’evidenza scientifica, per la mia esperienza è meglio un’estrazione precoce piuttosto che un’estrazione tardiva».

Dopo l’estrazione, a quali altre terapie deve essere sottoposto il piccolo paziente?

«Ipoteticamente, se l’estrazione viene fatta nel periodo temporale corretto, la natura provvede a ripristinare una condizione occlusale, se non ideale, buona. I risultati sono assai più predicibili nell’arcata superiore. Infatti, l’estrazione del primo molare superiore in epoca corretta garantisce un buon posizionamento del secondo molare. Nell’arcata inferiore non sempre le cose vanno altrettanto bene ed è possibile che si renda necessario l’intervento dell’ortodontista. È comunque bene sottolineare che una valutazione ortodontica preliminare deve comunque essere fatta, al fine di valutare le necessità del paziente e poter ottenere il miglior risultato possibile».

 

 

 

MIH: quanto ne sappiamo davvero? - Ultima modifica: 2024-04-18T14:02:09+00:00 da K4
MIH: quanto ne sappiamo davvero? - Ultima modifica: 2024-04-18T14:02:09+00:00 da K4

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