Impianti in ossido di zirconio: cosa ci dice la letteratura

Dentista moderno impianti ossido di zirconio

Come risaputo, negli ultimi anni, la riabilitazione protesica implanto-sostenuta ha conosciuto una larghissima diffusione nella pratica clinica. Al giorno d’oggi, sono gli stessi pazienti che accettano con difficoltà i compromessi terapeutici, chiedendo invece le massime prestazioni protesiche possibili.

In particolare, si può dire che negli anni recenti si sia sviluppato un crescente interesse per la riabilitazione di tipo estetico. Per poter ottenere la massima resa visiva e, nel contempo, mantenere la funzionalità masticatoria e garantire una durata adeguata, partendo dalle basi biologiche e anatomiche, sono state condotte approfondite analisi sui materiali utilizzati e ne sono stati introdotti nuovi.

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È però corretto sottolineare che le attuali tecniche chirurgiche e protesiche non sempre sono in grado di assicurare risultati estetici perfetti, soprattutto a lungo termine. I tessuti molli, infatti, hanno notoriamente una tendenza alla recessione cicatriziale, anche ad avvenuto posizionamento del manufatto definitivo. Questa evenienza non è la regola e dipende da una molteplicità di fattori: i pazienti con biotipo gengivale sottile, ad esempio, saranno più facilmente soggetti alla formazione di recessioni gengivali.

Quanto appena accennato non potrà, evidentemente, non essere considerato nel momento in cui si pianifica una riabilitazione implanto-protesica in regione estetica. Nel caso in cui si utilizzi componentistica implantare interamente in titanio, infatti, una recessione – non necessariamente di grande entità – o anche un semplice assottigliamento dei tessuti di rivestimento, andrebbe ad esporre o lascerebbe in trasparenza la componente “grigia”.

È a fronte di tale problematica, la quale può comunque essere limitata dalla gestione protesica dei tessuti molli e dall’approccio chirurgico minimamente invasivo, che sono stati sperimentati, nel tempo, nuovi e differenti materiali in ambito implantare. Ci soffermeremo, quindi, sulla classe dei materiali ceramici.

In realtà, l’aspetto estetico rappresenta solamente una delle motivazioni che hanno spinto l’introduzione e la diffusione delle ceramiche. Parlando di metalli, si aprirebbe ovviamente un complesso capitolo dedicato alle ipersensibilità: il titanio, di per sé, rappresenta un allergene di secondo piano. Si potrà dire perciò che questo specifico metallo ha un ruolo controverso nell’insorgenza di reazioni allergiche, ma esistono senza dubbio indicazioni che correlano problematiche di questo tipo alla presenza dei metalli o al rilascio di ioni metallici.

Nell’ambito dei materiali ceramici, la prima a conoscere una larga diffusione è stata l’allumina, successivamente abbandonata a causa della sue eccessive durezza e rigidità.

Successivamente, sono state introdotte ceramiche di nuova generazione, tra le quali l’ossido di zirconio.

Non è banale osservare come questo materiale, in primo luogo, garantisca la massima resa estetica perché ha colore bianco: anche in caso di recessione, quindi, l’apparenza cromatica rimarrebbe tutelata, perché si esporrebbe una componente dello stesso colore della radice di un dente naturale.

Abbiamo già anticipato che il risultato cosmetico, per quanto importante sul piano della psicologia del soggetto riabilitato, non può giustificare una politica radicale come la sostituzione del titanio, da sempre il materiale di base della tecnologia implantologica.

Ossido di zirconio: ecco perché può essere un valido materiale implantare

Lo zirconio, presenta proprietà biologiche e meccaniche tali da renderlo un’alternativa effettivamente valida sul piano clinico e competitiva in un mercato tanto complesso.

Si considerino per prime le proprietà chimico-fisiche. La zirconia può presentare a pressione ambiente tre differenti strutture cristallografiche (monociclica, tetragonale o cubica) a seconda della temperatura alla quale viene prodotto. Per evitare transizioni dalla struttura t alla struttura m nel momento in cui il composto si raffredda, la molecola viene stabilizzata con ossidi “dopanti”, quali Y2O3, CeO2, MgO o CaO. Questo procedimento conferisce notevole stabilità nei confronti dei microtraumatismi, come pure i successivi trattamenti di superficie a cui gli impianti vengono sottoposti.

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Le proprietà meccaniche sono eccellenti, tanto che questa ceramica si presta, oltre che alla produzione di impianti e relativa componentistica, alla realizzazione delle strutture protesiche sovrastanti. Essa presenta un elevato carico di rottura a flessione retta (900-1200 MPa), un grado di durezza inferiore rispetto a quello dell’allumina (1200 Vickers contro quasi 1600) ma comunque sufficientemente valido (quello dell’acciaio inossidabile si attesta intorno ai 500 Vickers) e un modulo di Weibull – parametro questo che, seppur molto tecnico, va sempre considerato nell’analisi della resistenza di una ceramica – di 10-12.

Attualmente sono disponibili sul mercato tre diversi tipi di ceramica all’ossido di zirconio: la zirconia tetragonale stabilizzata allo ione ittrio (3Y-TZP), la zirconia parzialmente stabilizzata al magnesio (Mg-PSZ) e la zirconia temperata con allumina (ZTA). Quest’ultima, dispersa in matrice vetrosa, è stata recentemente proposta come bioceramica.

Oltre alle sopracitate caratteristiche, poi, un materiale destinato ad entrare in contatto direttamente con i tessuti vitali del paziente non può non rispondere a dei rigidi standard in fatto di biocompatibilità. L’ossido di zirconio produce una reazione flogistica tissutale inferiore a quella del titanio. Nel sito di guarigione di un impianto in titanio sono maggiormente rappresentati i fattori infiammatori e l’infiltrato flogistico rispetto a quello di un impianto in zirconia, senza che ciò vada a inficiare la corretta osteointegrazione. La zirconia viene, anzi, definito come materiale a spiccata osteoconduttività.

Un altro dato positivo riguarda la placca batterica, della quale lo zirconio è considerato materiale non ritentivo. Come conseguenza di una meno spiccata colonizzazione batterica, anche le concentrazioni dei prodotti del metabolismo batterico sono inferiori nel sito di guarigione dell’impianto in zirconia.

Sembra addirittura che il materiale abbia la proprietà di autoregolare il turnover della matrice extracellulare agendo sull’espressione dei relativi geni.

L’osteoconduttività della zirconia si esprime anche quando il dato in esame è il bone-to-implant contact (BIC), come dimostrano diversi lavori sperimentali effettuati sul modello animale.

Ossido di zirconio: evidenze scientifiche in vitro, in vivo e sull’uomo

In generale si può dire che l’ossido di zirconio ha avuto riscontri secondo diverse evidenze scientifiche, articolate su livelli crescenti: test in vitro, in vivo e studi clinici sull’uomo.

È stato testato il grado di tossicità della zirconia su molteplici substrati tissutali, tutti molto importanti nel processo di osteointegrazione: fibroblasti, linfociti, monociti, macrofagi e osteoblasti.

Il primo obiettivo d’indagine è stato il tessuto connettivo, il più ubiquitario all’interno dell’organismo, composto principalmente di fibroblasti e fibrociti. I risultati ottenuti a seconda delle diverse tecniche di laboratorio tendono a differire, ma conducono a ritenere la zirconia un materiale generalmente sicuro, anche se non dotato di proprietà eccezionali per quanto riguarda questa linea cellulare.

Per quanto riguarda la linea leucocitaria, umana o animale, è dimostrato che l’ossido di zirconio non induce alti livelli di citotossicità o infiammazione in linfociti, monociti o macrofagi.

Per quanto riguarda gli osteoblasti, che sono ovviamente fra gli attori principali del processo dell’osteointegrazione, Josset confrontò il comportamento delle due più note ceramiche, allumina e zirconia già nel 1999. Vennero così messe in evidenza le virtù osteoconduttive della zirconia, che non mostrava effetti di citotossicità e, anzi, sosteneva la produzione di matrice extracellulare. Come già accennato, diversi altri lavori ne sono seguiti.

Per quanto riguarda gli studi in vivo, diverse specie sono state impiegate nel corso degli anni: ratti, cani, gatti, suini e scimmie. Allo stesso modo, molteplici sono le modalità con cui il materiale (a sua volta, in una delle sue tre forme cristalline) è stato somministrato alla cavia.

Sono diversi gli studi che hanno osservato la reazione dei tessuti molli – non solo gengivali; ad esempio, il tessuto muscolare – e si può affermare che nessuno di questi abbia evidenziato reazioni avverse. Allo stesso modo, il materiale non sprigiona sostanze tossiche a livello locale o sistemico.

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Gli stessi risultati sono stati ottenuti nei test riguardanti i tessuti duri, come si evince, ad esempio, dallo storico lavoro di Helmer e Driskell o dai successivi studi comparativi di Wagner e Christel.

In conclusione, è necessario partire dal presupposto che il titanio resta il materiale maggiormente utilizzato in ambito implantologico. È fondamentale che sia il mercato ad adeguarsi alle scelte terapeutiche dei professionisti e alle esigenze cliniche dei pazienti, e non viceversa.

È giusto a tal proposito che i tantissimi odontoiatri dediti all’implantologia siano consapevoli del fatto che si tratta di una scienza in costante evoluzione e, pertanto, offra molteplici possibilità. Come si evince da questa breve dissertazione, la zirconia offre opportunità stimolanti e può essere considerata una valida opzione soprattutto nell’ambito di terapie riabilitative in regione estetica.

Impianti in ossido di zirconio: cosa ci dice la letteratura - Ultima modifica: 2015-09-01T12:00:20+00:00 da redazione

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