Un grosso capitolo all’interno della comune pratica odontoiatrica è senza dubbio rappresentato dal controllo del dolore. Si tratta di una questione con la quale tutti i professionisti sono costretti a confrontarsi quotidianamente. La maggior parte dei pazienti odontofobici vive con particolare apprensione il rischio di dover sopportare sensazioni dolorifiche nel corso del trattamento, tendendo a volte a ingigantire, in maniera inconscia, delle minimali stimolazioni algiche: è chiaro come sia importante rassicurare tali pazienti sull’efficacia delle procedure di anestesia locale a disposizione dell’odontoiatra. Non pochi altri soggetti, invece, vivono con ansia proprio la fase preliminare al trattamento, ovvero l’anestesia locale: si potrà parlare in certi casi di vera e propria “agofobia”. In ambo i casi, sarà quanto mai importante assicurarsi di eseguire una manovra di anestesia locale rapida ed efficace.
Uno degli ausili a disposizione del dentista è da sempre la tecnica dell’anestesia intraligamentosa.
Video updated on Youtube by Joyce Freeman
Questa procedura – così definita anche per distinguerla dalla comune anestesia intraossea – consiste nella somministrazione della soluzione anestetica lungo il legamento parodontale attraverso un ago molto sottile. Il razionale prevede che la pressione elevata (ottenibile proprio attraverso la riduzione del calibro dell’ago) permetta all’anestetico di diffondere rapidamente all’osso, risparmiando al paziente il dolore della somministrazione per via ortograda. Nel corso degli anni, questa tecnica è stata osteggiata e in parte abbandonata, perché considerata più difficile dal punto di vista operativo e, soprattutto, perché correlata ad un rischio maggiore di dolore postoperatorio, oltre che all’insorgenza di complicanze più importanti, quali ad esempio la necrosi parziale delle strutture intraligamentose.
Negli ultimi anni, alcuni studi hanno fatto sì che la tecnica venisse rivalutata, seppur con cautela: la Società Italiana di Chirurgia Orale ed Implantologia, ad esempio, oggi ne ammette l’uso sia come rinforzo dell’anestesia plessica e tronculare che come misura unica.
Oltre a questo, alcune case hanno concepito delle sistematiche differenti da quelle originali, proprio allo scopo di facilitare maggiormente l’uso, anche nei pazienti ansiosi e nei soggetti pediatrici. È questo l’oggetto del video oggi in allegato. L’aspetto che più salta all’occhio, in prima battuta, è l’evoluzione del design del carrier: dalla caratteristica forma a pistola si è passati ad una più amichevole penna, che in effetti non ricorda nemmeno la comune siringa carpule. La fase operativa, in realtà, ha mantenuto il proprio razionale, affinandosi un poco: vengono raccomandati passaggi di preanestesia a carico della gengiva circostante il dente (eventualmente anche con anestesia topica) e si ricorda, nei denti pluriradicolati, di assicurare almeno un passaggio per ciascuna radice.