L’adozione di una metodica di impronta di tipo digitale, tramite impiego di uno scanner intraorale, è un’opzione clinica sempre più praticabile per i professionisti, che possono beneficare degli sviluppi delle sistematiche dal punto di vista hardware, software e anche per quanto concerne i costi. Il tutto è andato di pari passo con i miglioramenti effettuati da tutti questi punti di vista per quanto riguarda le sistematiche CAD/CAM. Nel complesso, si può dire che un iter restaurativo-protesico condotto digitalmente porti ai seguenti vantaggi: pianificazione semplificata, riduzione dei tempi alla poltrona, comunicazione con il laboratorio facilitata, trattamento più sicuro dei dati sensibili (in altri termini, il modello viene salvato, non rischia danni e non richiede un sito di stoccaggio).
È chiaro che convertirsi al digitale richiede un certo sforzo da parte del clinico, soprattutto se questi ha una lunga e soddisfacente esperienza con il corrispettivo “analogico”, ovvero gli elastomeri da impronta convenzionale. Dal punto di vista scientifico, può essere interessante comprendere quali siano le basi tecnologiche dello scanning intraorale e quali siano le relative indicazioni per quanto riguarda l’accuratezza.
La funzione dello scanner consiste nel ridurre in dati digitali la forma di un oggetto tridimensionale. Il principale formato open con cui avviene il salvataggio è detto STL, che sta per Standard Tessellation Language, lo stesso comunemente impiegato dai software CAD e, in generale, da molte stampanti 3D (l’acronimo vale anche per STereo Lithography interface format). Esistono anche formati chiusi STL-like e formati sviluppati per registrare altri aspetti del tessuto, come colore, trasparenza e consistenza.
Il software fa sì la superficie del solido venga discretizzata in un insieme di triangoli, i cui vertici vengono indicati secondo le tre coordinate dello spazio, x y e z. Le prime due vengono visualizzate sull’immagine, mentre semplificando si può dire che z venga calcolata sulla base della distanza.
Accuratezza degli scanner intraorali
Per quanto riguarda la valutazione dell’accuratezza rispetto alla metodica standard, lo studio di Seelbach e colleghi (2013) riporta l’assenza di differenze nel confronto tra impronta convenzionale e digitale (nella fattispecie Lava C.O.S.) per quanto riguarda la corona singola. Lo studio comparativo di Berrendero (2016) sostiene che il sistema di acquisizione digitale può essere utilizzato nel realizzare corone in ceramica con gli stessi risultati in termini di marginal e internal fit. Considerando questo secondo parametro, uno studio di poco precedente (Pradies 2015) fornisce l’indicazione clinica per cui lo scanner intraorale fornirebbe addirittura risultati migliori dell’elastomero, sempre parlando di corona singola all-ceramic.
In conclusione, per quanto le evidenze in Letteratura non siano ancora estremamente vaste, si può già sostenere che lo scanner intraorale costituisca un’opzione valida. Qui si fa volutamente riferimento al caso forse più semplice, la corona singola su dente naturale. Si consiglia l’ampia e recente review di Ebeid (2017), che amplia il discorso alla corona su impianto, finanche alla riabilitazione full-arch.
Riferimenti bibliografici