Il già citato report della National Osteoporosis Foundation – datato 2014 – sottolinea come l’osteonecrosi sia una complicanza più comune nei pazienti oncologici trattanti con bifosfonati a somministrazione endovenosa. Questa via di somministrazione risulta obbligatoria proprio perché il trattamento delle metastasi ossee richiede un dosaggio elevato e l’ottenimento rapido di un’alta concentrazione tissutale.
Pare quindi evidente che, al di là della specifica molecola utilizzata dal paziente, il medico debba concentrarsi sul dosaggio. Oltre a quest’ultimo dato, sono considerati fattori di rischio della necrosi dei mascellari da bifosfonati anche chemioterapia, radioterapia, terapia corticosteroidea e scarsa igiene orale.
È importante sottolineare che la base eziopatogenica fondamentale è il formarsi di una comunicazione diretta fra ossa mascellari ed ambiente esterno.
Sembra anche che il rischio aumenti con il protrarsi della terapia oltre i 36 mesi: c’è però da sottolineare che quello della cronologia del trattamento è un concetto molto delicato, dato che tali molecole presentano un tropismo osseo che si mantiene elevato anche per diversi anni.
Posto che qualunque paziente con le sopracitate patologie richiede un’attenta valutazione clinica – se necessario, multispecialistica – il caso del paziente in trattamento con bifosfonati che necessita di un intervento chirurgico orale è estremamente delicato. Tuttavia, pare corretto procedere ad intervento chirurgico (ad esempio, un’estrazione dentaria) nel momento in cui questo risolverebbe un quadro prolungato di infiammazione e/o infezione che andrebbe esso stesso ad aumentare il rischio di osteonecrosi. Dato che, come detto, il principio attivo tende a mantenersi efficace a lungo nel tessuto osseo, la sospensione del farmaco può essere considerata ma non messa in atto dal medico prescrittore.
Come scongiurare il rischio di osteonecrosi
Vimeo: please specify correct url
Esistono invece diversi protocolli basati sulla somministrazione pre- e postchirurgica di antibiotici ad ampio spettro e sull’utilizzo congiunto di antisettici orali. In fase operatoria, naturalmente, l’odontoiatra dovrà assicurarsi di condurre la chirurgia più atraumatica possibile e di scollare adeguatamente lembi idonei a chiusura primaria.
Rifacendosi sempre alle linee guida attualmente disponibili, un modus operandi valido è perciò quello basato sulla prevenzione e sull’adozione di un approccio di tipo intercettivo.
Idealmente, quindi, sarebbe il paziente candidato a terapia a base di bifosfonati a dover essere sottoposto a una valutazione odontoiatrica, al fine di verificare lo stato dell’igiene e della salute stomatognatica. Nel momento in cui sia stabilita la necessità di interventi chirurgici orali, si sceglierà di posticipare l’inizio della terapia farmacologica ad un momento posteriore alla guarigione (il riferimento temporale è di circa 1 mese).
Le linee guida ministeriali paiono meno favorevoli per quanto riguarda la chirurgia implantare. È giusto però ricordare che nel 2005 Marx propose un protocollo chirurgico, basato sulla valutazione in laboratorio del livello di telopeptide C (CTX): secondo questi dati, il rischio di intervenire sarebbe alto solo nel caso di CTX < 100 pg/mL. Dato però che sono diverse le variabili che influenzano lo stesso CTX, ad oggi non è possibile basarsi solo su tale parametro per pianificare o meno la terapia.
[…] Qui trovi il link all’articolo sul sito della rivista. […]