Parliamo delle relazioni a distanza tra medici che magari nemmeno si conoscono tra loro e che troppo facilmente emettono giudizi sconsiderati sulla condotta dei colleghi, danneggiandone la reputazione. Né più né meno di quelle “recensioni” emesse da pazienti indispettiti da comportamenti male interpretati o diagnosi non confacenti ai loro desideri: senza controlli e senza filtri, costoro amplificano a dismisura proprie condizioni di disagio di difficile interpretazione e senza contraddittorio. Se i comportamenti dei pazienti non sono così facilmente controllabili e in certe situazioni approfittano di un vuoto normativo che si protrae ormai da anni di noncuranza sull’argomento, cosa differente è la mancanza di rispetto della relazione tra medico e paziente e tra colleghi.

Relazioni da ripensare

Della relazione tra medico e paziente si discute molto e moltissime sono le posizioni, le analisi e i possibili rimedi: le relazioni tra colleghi sono invece certamente sottolineate e criticate, ma non adeguatamente descritte nelle possibili soluzioni. Tuttavia, sono foriere di gravissimi danni di immagine sia al singolo sanitario che alla classe medica in generale. Tutti se ne lamentano, ma non si intercettano i rimedi in una noncuranza pericolosa che ha i contorni della fatale inevitabilità. Non dovrebbe essere così.
Entrambe le forme di relazione andrebbero più seriamente descritte, valorizzate e insegnate all’interno di una disciplina che già le contiene, ossia l’Etica e la Bioetica, e dovrebbero uscire definitivamente dal limbo del fai-da-te per assumere il ruolo guida della professione che spetta loro.

«Credere nella Deontologia, nel senso di appartenenza, nel rispetto per chi ha fatto il tuo stesso percorso accademico, potrà in futuro migliorare la nostra splendida professione? Si può insegnare il rispetto?»

Attualmente non risulta che rientrino in piani curriculari accademici insegnati agli studenti, né sono conditio sine qua non di verifica e iscrizione all’Albo di appartenenza alle professioni sanitarie.
Il che è abbastanza assurdo: è come se chi, acquistando un’automobile, venisse istruito sulla conoscenza del motore funzionante e malfunzionante (aspetto tecnico biologico normale e patologico), alla conoscenza delle regole del codice della strada (aspetto tecnico clinico terapeutico chirurgico e farmacologico) senza verificare se è in grado di guidare (aspetto tecnico pratico, relazionale e clinico terapeutico con variabili disegnate sul paziente). C’è un aspetto che non si vuole considerare.
Per rimanere nello stesso paragone automobilistico, è come se nessuno insegnasse al pedone il codice-colore del semaforo o ad attraversare o a percorrere una strada senza farsi falciare andando in bicicletta, evitando pericolosi stili di vita errati quando non francamente autolesionisti, nel rispetto della segnaletica.... e del vigile urbano.

 

Il valore del rispetto

Dunque, sarebbero necessarie campagne di informazione relative al rispetto che la società deve al Sistema Sanitario Nazionale gratuito e universalistico, in modo che la società sviluppi comportamenti auto-limitativi delle proprie pretese irrealistiche e autolimitative delle rivalse. Un sistema educativo che si rispetti, infatti, non obbliga e non impone, ma sollecita a una visione differente e autorevole delle componenti interne della stessa società, che rivaluti il compito dei sanitari nel Paese, evitando di ricordarsene solo in occasione di tragedie planetarie.

Non c’è altro modo: i comportamenti vanno insegnati e non lasciati all’iniziativa del singolo. Non è più pensabile un fai-da-te in temi di tale importanza: lo Stato deve prendersi la sua responsabilità educativa se non vuole dismettere elementi fondamentali di coesione sociale. Ma tali strutture di insegnamento di “Educazione Civica” da impartirsi nelle scuole non esistono, così come non esistono insegnamenti curriculari che istruiscano i medici sulle prassi (non solo burocratiche della compilazione di documenti sensibili di tipo legale) adatte alla gestione relazionale.

La relazione con il paziente, per come si sono evolute le situazioni nella società, è un aspetto imprescindibile della terapia, come ricorda anche la legge sul consenso: il consenso è tempo di cura. Ma per ottenere il consenso devi informare e stabilire una relazione, soprattutto in una professione ad altissimo rischio di errore, come nelle professioni sanitarie. Dunque, l’informazione per il consenso, che introduce una relazione, è di per sé una terapia: una terapia relazionale.

«Quindi tu saresti dell’idea, una volta definita la questione, di insegnarla già all’Università».

Solo insegnarla non serve più: va ricercata e studiata. All’interno della struttura Universitaria, che rappresenta (o dovrebbe rappresentare) la punta di diamante della Ricerca e quindi il posto dove maggiormente si pongono le domande di verifica e di cambiamento, non compare alcuna domanda sulla crisi della relazione medico paziente e sulla crisi della medicina, del medico e della società e su come indagare (aspetto della ricerca inesistente) per risolverla.

Non esiste una cattedra specifica: la domanda di osservazione delle problematiche e di proposte di risoluzione, infatti, è stata posta dalla professione e dalle organizzazioni sindacali (FNOMCeO).

Nell’Università tutto è lasciato all’interno del corso di Medicina Legale, che per la verità ha altre finalità, e relegato alla buona volontà del docente, che quando si occupa anche di Etica, Bioetica, Deontologia o Medicina Narrativa lo fa con un taglio codicistico, attento alle inevitabili obbligazioni documentali e burocratiche (peraltro indispensabili) piuttosto che immersivo nella relazione umana, culturale e filosofica del rapporto empatico tra medico e paziente. Al massimo nel corso di studi si parla di Medical Humanities come un contenitore di materie umanistiche (di vario tipo, letterario, filosofico, artistico e giustamente includente la Medicina Legale) che dovrebbero appartenere al bagaglio conoscitivo del medico, ma non è chiaro come questo dovrebbe acquisirsi e applicarsi.

«Non esistono insegnamenti curriculari che istruiscano i medici sulle prassi adatte alla gestione relazionale»

Le Medical Humanities sono oggetto di ricerche su varie riviste internazionali, ma prive di significato curriculare obbligatorio orientato alla relazione medico-paziente che guidi il rapporto dall’ingresso del malato in ospedale fino alle dimissioni e alla cura dei comportamenti post-trattamento. Questo sia detto per la Medicina ma anche per l’Odontoiatria. Molta teoria e nessuna pratica: e se almeno in Medicina il problema si è posto (65% dei contenziosi vinti dal paziente), in Odontoiatria (95% dei contenziosi vinti dal paziente) la problematica è del tutto assente. Cioè, là dove il problema è più grave, più assordante è il silenzio dell’Accademia. Forse è il caso di cominciare: la nostra Società Scientifica si è già posta il problema.

Il rispetto tra le parti all’interno di una relazione è connotato imprescindibile per il successo del rapporto, mentre la noncuranza è sinonimo di mancato rispetto. Quando nella relazione tra medico e paziente si parla di imposizione del piano di trattamento, di vizio di consenso o di mancata informazione, stiamo trattando di forme di noncuranza e di scarso rispetto per il paziente che abbiamo in cura, ed è abbastanza incredibile pensare a quanto sia diffuso questo comportamento. Ma ci sono altre forme di mancato rispetto, non adeguatamente sottolineate, che troppi danni stanno portando alla professione in un momento in cui, a causa dell’impennata del contenzioso, andrebbero invece identificate come causa determinante del contenzioso stesso per l’importanza che hanno, almeno alla pari degli errori di procedura clinica, anche se non così diffuse nella coscienza dei sanitari

Potete indirizzare i vostri quesiti a: caivanolegale@tiscali.it

 

 

L’insostenibile leggerezza della noncuranza - Ultima modifica: 2023-12-21T10:03:13+00:00 da K4
L’insostenibile leggerezza della noncuranza - Ultima modifica: 2023-12-21T10:03:13+00:00 da K4

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