La vita, si sa, è complicata. Uno decide, programma, costruisce e poi, in men che non si dica, ecco che arriva l’imprevisto che stravolge, sconvolge e, a volte; distrugge. C’è chi lo vede come pepe che insaporisce, chi come fulmine che incenerisce. Al di là di un piano B, a volte impossibile da immaginare, nella vita professionale deve esservi sempre la comprovata certezza del corretto adempimento dell’obbligazione. Ciò al fine di limitare i danni che un imprevisto purtroppo può comportare.

Può accadere. Anzi, spesso e volentieri accade. Il paziente allora soffre, si interroga, si arrabbia. E alla fine denuncia. Seppur con totale empatia, dovrà essere il Professionista a dimostrare, concretamente provando, di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione senza lasciar spiraglio alcuno a contrattempi, poi comunque verificatisi.
I protagonisti di oggi, ahimè, non sono riusciti a dimostrare aver esattamente agito dando adito all’Autorità giudicante di emettere sentenza di condanna alla refusione dei patimenti del malcapitato.

 

Il paziente danneggiato

Un Paziente si era rivolto all’Autorità Giudiziaria per veder accertata la responsabilità sanitaria di due Professionisti (Odontoiatra e Medico specialista Maxillo-Facciale) per l’errato trattamento di una malocclusione dento-scheletrica di II Classe, chiedendo la conseguente condanna al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, dallo stesso patiti. Riferiva di una storia clinica complicata, partita dall’Odontoiatra e terminata dal Chirurgo, con comparsa di processi di rizalisi degli incisivi superiori segnalati troppo tardivamente. Inutili i tentativi di tamponare una situazione ormai degenerata: ogni intervento correttivo (con relativo preventivo scritto) era rifiutato dal Paziente che, sfiduciato, interrompeva i rapporti chiamando successivamente in giudizio quelli che riteneva fossero i responsabili di tutti i suoi patemi. Le comparse di risposte di tutti i chiamati (Professionisti, Strutture e Compagnie assicuratrici), ovviamente, rifiutavano qualsiasi addebito addossando, anzi, colpe e imprecisioni al Paziente danneggiato.

 

La ricostruzione dei fatti

  • Il Giudice monocratico inquadra temporalmente gli accadimenti che, in quanto risalenti a un periodo precedente alla cosiddetta Legge Gelli/Bianco comportavano una responsabilità contrattuale con conseguente prescrizione decennale e un preciso assetto probatorio (“il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando invece a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile”). Prosegue analizzando in modo ineccepibile la fattispecie: “A seguito degli interventi eseguiti (in sinergia) dai due medici convenuti (di natura ortodontica e chirurgica maxillofacciale), la malocclussione non solo non si è risolta, ma è peggiorata; inoltre, si è manifestata una rilevante complicanza consistita nel riassorbimento radicolare degli elementi dentali 11, 12, 21, 42 e 31, con loro mobilità. A fronte di tale complicanza, deve osservarsi che – secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione:
  • la circostanza che un evento indesiderato sia qualificato dalla clinica come “complicanza”, statisticamente rilevata nella letteratura scientifica, non basta a escludere la responsabilità del medico e/o della struttura e a farne, di per sé, una “causa non imputabile” ai sensi dell’articolo 1218 c.c.; il concetto medico di complicanza è privo di rilievo sul piano giuridico; la “complicanza” non si riferisce al momento del “danno-conseguenza”, ma al momento dell’“evento-lesivo”, atteso che si tratta di una lesione del diritto alla salute, che si colloca in una fase cronologicamente e logicamente antecedente lo sviluppo della fattispecie illecita dannosa;
  • spetta al professionista superare la presunzione che le “complicanze” siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto e imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico scientifiche del momento;
  • il medico andrà esente da responsabilità solo se fornisce la prova rigorosa di aver tenuto una condotta conforme alle legis artis, restando a tale fine irrilevante che l’evento indesiderato sia classificato quale complicanza e che l’evento di danno sia in astratto imprevedibile e inevitabile, giacché quel che rileva è se fosse prevedibile e evitabile nel caso concreto. In altri termini, il medico ha l’onere di provare in concreto l’esatto adempimento della propria obbligazione, e non gli è sufficiente che la sussistenza d’una causa di esclusione della colpa possa essere solo astrattamente ipotizzabile;
  • sul piano della prova nel giudizio di responsabilità tra paziente e medico: o il medico riesce a dimostrare di avere tenuto una condotta conforme alle leges artis, e allora egli va esente da responsabilità a nulla rilevando che il danno patito dal paziente rientri o meno nella categoria delle “complicanze”; oppure, all’opposto, il medico quella prova non riesce a fornirla: e allora non gli gioverà la circostanza che l’evento di danno sia in astratto imprevedibile e inevitabile, giacché quel che rileva è se era prevedibile ed evitabile nel caso concreto.

 

La resa dei conti

Non solo i convenuti non hanno fornito la rigorosa prova liberatoria, ma, sulla base della documentazione sanitaria in atti e delle conclusioni (conformi) delle due CTU espletate, emerge chiaramente la prova dell’inadempimento posto in essere dai due sanitari.
Una prima censura nel loro operato deve essere ravvisata nella mancanza di un’accurata e precisa diagnosi iniziale del caso clinico, con fotografie, modelli di studio, analisi cefalometrica e programmazione sia del trattamento ortodontico pre-chirurgia ortognatica, sia di quello di mantenimento post-chirurgia ortognatica; risulta mancante anche la cartella clinica dell’ortodontista, indispensabile per seguire un preciso iter terapeutico, consistente in visite di controllo ed esami eventualmente necessari. Una seconda censura riguarda l’insorgenza della complicanza del riassorbimento radicolare. Nello specifico, emerge che, all’esito dell’esame Rx full endorale del 10.2.2010, il dott. B.A. comunicava al dott. S.S. la presenza di processi di rizalisi degli incisivi superiori 12, 11, 21, 22, e invitava il chirurgo a non sollecitare gli elementi 21 e 22, tenendo conto che dopo l’intervento maxillo-facciale i denti in questione non avrebbero subito ulteriori spostamenti ortodontici; tuttavia, il processo di rizalisi degli incisivi superiori risultava già evidente dall’esame Rx Opt dell’11.06.2009, con successivo aggravamento desumibile anche dalla Rx del 07.12.2009, mentre il dott. B.A. comunicava tale complicanza al medico chirurgo solo il successivo 10.02.2010.

Nel caso in esame, non solo i convenuti non hanno fornito la prova liberatoria ma, come chiarito dai CTU, “il trattamento ortodontico non appare essere stato eseguito correttamente, sia per la mancata risoluzione della malocclusione preesistente, sia per quanto attiene alla impropria gestione delle forze ortodontiche della tecnica adottata, nonché per quanto concerne l’insorgenza di complicanze (riassorbimento radicolare/rizalisi a carico degli elementi 11 ,12, 21, 22) non tempestivamente diagnosticate e che non hanno condotto alle necessarie modifiche del modus operandi, con ulteriore aggravamento delle stesse”; pur non ravvisandosi errori tecnici nell’esecuzione degli interventi chirurgici maxillo-facciali, deve ritenersi corresponsabile anche il dott. S.S. per due ordini di ragione; da un lato, per avere sottoposto l’attore all’inutile secondo intervento chirurgico del 24.02.2010 (osteotomia di avanzamento della mandibola e genioplastica), a fronte di una persistente instabilità occlusale e dei processi di riassorbimento radicolare in atto; dall’altro, per non aver emendato gli errori posti in essere dall’ortodontista dott. B.A.; come sopra ribadito, atteso che il trattamento ortodontico-chirurgico presuppone un “lavoro di squadra” da parte dei due specialisti, deve farsi applicazione, nel caso in esame, del “principio del controllo reciproco” - principio cardine espresso dalla Corte di Cassazione - secondo cui “in tema di responsabilità medica, l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio”.

 

Inter os et offam

“Tra bocca e boccone molte cose possono accadere” saggiamente avvertiva Catone. Basta solo farsi trovare pronti, la vita ti stupisce? E tu stupisci la vita, restituendole il sorriso di chi, comportandosi in modo ineccepibile, nessun contrattempo potrà mai fermare.

La complicanza - Ultima modifica: 2023-10-27T09:30:32+00:00 da K4
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