La terapia implantare nel paziente parodontopatico

Mantenere o sostituire mediante impianti?

Quotidianamente ci si trova di fronte alla scelta se trattare un elemento dentale parodontalmente compromesso e mantenerlo od optare per la sua estrazione e successiva terapia implantare. Quando un dente naturale presenta una lesione parodontale avanzata, il suo recupero può richiedere una terapia relativamente complessa. Inoltre, alcune procedure, in particolare quelle rigenerative, richiedono un alto livello di competenza ed esperienza da parte dell’operatore. Di conseguenza, l’opinione comune che la terapia implantare sia di relativa semplice esecuzione e garantisca dei risultati eccellenti a lungo termine spinge spesso il clinico a optare per l’estrazione del dente con avanzata compromissione parodontale e a sostituirlo mediante un impianto. Tuttavia, alcune importanti considerazioni dovrebbero essere fatte.

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  1. Come precedente riportato, gli impianti dentari in pazienti con una pregressa parodontite avanzata sono ad alto rischio di complicanze biologiche e richiedono spesso uno o più interventi terapeutici nel corso del follow-up per garantirne il mantenimento. Questo significa che nella discussione con il paziente sulle varie opzioni terapeutiche e i relativi costi, il clinico dovrebbe informarlo che, oltre ai costi della terapia iniziale, il paziente deve essere disposto a investire in una terapia di mantenimento, o più correttamente una terapia di supporto parodontale (SPT, supportive periodontal therapy) adeguata e che non preveda solamente sedute di igiene ogni 4-6 mesi, ma anche interventi mirati per diagnosticare e trattare precocemente (e quindi con maggior successo) eventuali complicanze. Questo vale, naturalmente, anche per il mantenimento degli elementi naturali, e quindi non vuol dire trasmettere al paziente il concetto che mantenere gli impianti sia più caro rispetto ai denti naturali. Tuttavia, il paziente percepisce più facilmente il fatto che mantenere un elemento recuperato tramite terapia parodontale richieda, durante il follow-up, controlli ed eventualmente terapie addizionali. Al contrario, l’impianto viene spesso considerato come qualcosa di nuovo, assolutamente sano e quindi definitivo. Questa aspettativa, se non adeguatamente ridimensionata durante la discussione del piano di trattamento, può rivelarsi un problema in caso di complicanze durante il follow-up.
  2. La terapia parodontale rigenerativa di elementi dentari con avanzata perdita di attacco si è dimostrata, in mani esperte, in grado di dare risultati eccellenti e duraturi nel tempo (sempre nell’ottica di un paziente inquadrato in un’adeguata terapia di supporto) (Figure 2a-2g). In uno studio randomizzato e controllato13, Cortellini et al. hanno confrontato i risultati a 5 anni della terapia rigenerativa parodontale (gruppo test) con quelli ottenuti mediante trattamento riabilitativo implantare o mediante ponti su denti naturali (gruppo controllo), in caso di elementi dentari con difetti parodontali molto avanzati. Solo 2 denti su 25 trattati mediante GTR non hanno dato una risposta soddisfacente e sono stati successivamente estratti, e in altri 2 casi si è verificata una nuova complicanza di tipo parodontale, per una percentuale di successo dell’84% a 5 anni. Nel gruppo controllo il successo clinico (ovvero totale assenza di complicanze biologiche) era dell’83%. Quindi, i risultati dei due approcci possono considerarsi sovrapponibili. Tuttavia, nel bilancio definitivo bisogna anche tenere in considerazione che il trattamento protesico, implantare e non, richiede in genere tempi più lunghi, la fabbricazione e gestione di provvisori, costi più elevati ecc.
  3. In casi in cui la terapia parodontale non sia in grado di ripristinare delle condizioni ideali per ottenere una stabilità parodontale a lungo termine (PD ≤4 mm)14 diversi studi hanno tuttavia dimostrato che la terapia di mantenimento (SPT) è spesso in grado di arrestare, o almeno rallentare, il progredire delle lesioni. In particolare, a livello dei molari l’impossibilità di eliminare la presenza di forcazioni di grado II o III non deve indurre a considerare l’elemento come perso. La terapia di mantenimento può infatti permettere il mantenimento degli elementi coinvolti per un periodo di tempo importante, procrastinando la necessità di terapie riabilitative più invasive e costose15,16 (Figura 3).
  4. In caso di estrazione di un elemento con grave compromissione parodontale, il sito post-estrattivo può risultare difficile da riabilitare, necessitando spesso una chirurgia ricostruttiva precedente o contestuale all’inserimento dell’impianto (Figure 4a-4d). Questo significa, in genere, costi elevati e un rischio di complicanze nel post-operatorio e nel follow-up più elevato, oltre a una certa difficoltà nella gestione dell’estetica del paziente (Figure 5a-5d).
Queste considerazioni non vogliono suggerire che la terapia implantare debba essere evitata nei pazienti con pregressa malattia parodontale, ma devono piuttosto invitare il clinico a procedere con molta cautela nella valutazione delle diverse opzioni terapeutiche (terapia parodontale vs terapia implantare). Quando possibile, la terapia parodontale mirata al mantenimento della dentatura naturale dovrebbe essere sempre considerata il gold standard.

Protesi su impianti o su denti naturali?

In caso di lacuna dentale da riabilitare mediante protesi fissa, l’opzione implantare deve essere sempre messa a confronto con soluzioni tradizionali su denti naturali. Dati presenti in letteratura sembrano indicare come entrambe le soluzioni dimostrino, in generale, una buona e paragonabile prognosi17,18. Tuttavia, le revisioni sistematiche della letteratura possono essere fuorvianti, dato che rappresentano la sintesi di più terapie effettuate in un vasto gruppo di soggetti, spesso molto diversi tra di loro. Ogni caso presenta importanti peculiarità legate al paziente (sociali, economiche, fattori di rischio sistemici, fumo ecc.) e al sito in questione (condizione dei tessuti molli e duri, stato della dentatura residua, occlusione ecc.). Per questo è compito del bravo clinico saper interpretare le conoscenze derivate dai dati della letteratura confrontandoli con le singole situazioni per trovare la soluzione più idonea per ogni paziente. È scontato che la riabilitazione di una lacuna edentula mediante impianti rappresenti, per la dentatura residua, la procedura più conservativa. Tuttavia, la salvaguardia del tessuto dentale sano, pur essendo importante, non rappresenta l’unico parametro da tenere in considerazione. Sono altresì importanti:

  • un’analisi dello stato dei tessuti (molli e duri) residui;
  • la valutazione della necessità od opportunità di trattamento protesico della dentatura residua;
  • la domanda estetica e i relativi limiti dei due approcci;
  • costi e complessità del trattamento.

Il caso riportato nelle Figure 6a-6i illustra una situazione apparentemente favorevole a una riabilitazione implantare ma risolta, a giudizio dell’Autore, in modo più vantaggioso mediante protesi fissa tradizionale. Al paziente era stata diagnosticata una parodontite cronica generalizzata, per la quale aveva già perso i molari inferiori. Nel primo quadrante, gli elementi 17 (forcazione passante, estrusione), 14 (forcazione passante, necrotico) e 12 (perdita di supporto circonferenziale fino all’apice, estrusione) presentavano una prognosi sfavorevole. Il 15 necessitava di terapia endo-parodontale complicata dalla presenza di un perno endocanalare; il 16 era elongato e presentava una forcazione di II° disto-palatina. Per gli elementi 17, 15, 14 e 12 si è deciso per l’estrazione.  Vista anche a posteriori la favorevole guarigione dei tessuti, una riabilitazione mediante impianti sarebbe stata sicuramente possibile. Tuttavia:

  1. l’elemento 16 necessitava di un trattamento protesico per correggere il piano occlusale. Inoltre, l’amputazione della radice distale permetteva di ottenere una situazione parodontale facilmente mantenibile19;
  2. in sede 12 l’inserimento di un impianto richiedeva un aumento dei tessuti duri contestualmente all’inserzione implantare. Inoltre, da un punto di vista estetico la gestione di questo spazio mediante un elemento di ponte era sicuramente più facile;
  3. l’inserzione di 3 impianti e relative corone presentava costi assai più elevati (all’incirca il doppio) rispetto alla fabbricazione di un ponte 16-x-x-13-x.

Ovviamente, anche un ponte tradizionale su denti naturali presentava degli svantaggi:

  1. la necessità di preparare un elemento altrimenti perfettamente sano (il 13), che ha necessitato in seguito di una terapia endodontica;
  2. la presenza di un pilastro distale ridotto in dimensioni a causa della rizectomia;
  3. un elemento in estensione mesiale20.

Tuttavia, nel bilancio generale l’opzione ponte su denti naturali presentava un rapporto costi/benefici più favorevole. È interessante notare come, durante il follow-up (5 anni) l’unica complicazione riportata dal paziente è stata una peri-implantite a livello di un impianto inserito durante lo stesso trattamento in sede 36 (Figura 6i).Al contrario, in altre situazioni la terapia implantare rappresenta un notevole vantaggio, consentendo di semplificare il trattamento riabilitativo del paziente trattato per malattia parodontale. Per esempio, permette di riabilitare mediante protesi fissa lacune distali che un tempo venivano trattate mediante protesi mobile o fissa su arcata completa con estensioni (Figure 7a-7f). Inoltre, consente di mantenere elementi parodontali con avanzata perdita di attacco che una volta, nell’ottica di un progetto protesico complesso, venivano estratti per ragioni strategiche (Figure 8a-8d). In questi termini, la terapia implantare può essere considerata un approccio terapeutico conservativo.

La terapia implantare nel paziente parodontopatico - Ultima modifica: 2014-01-12T11:23:27+00:00 da fabiomaggioni

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