Gli strumenti diagnostici della gnatologia hanno grande utilità nello studio dei casi delle parafunzioni quali bruxismo e serramento. Una volta inquadrata la gravità della problematica, è possibile mettere in atto una serie di terapie atte a limitarla, se non ad estirparla.
Una prima forma terapeutica è la stimolazione transneurale degli stessi muscoli (TENS), effettuata una prima volta già durante la registrazione EMG. I muscoli rilassati saranno indotti, evidentemente, a contrarsi meno frequentemente in maniera spontanea, e il paziente ne troverà beneficio.
È ovvio, tuttavia, che il paziente non potrà sottoporsi a sedute troppo frequenti di TENS, per motivi economici, di tempo ed anche per la relativa morbidità della pratica.
L’odontoiatra, dopo aver sottoposto il soggetto ad una lunga seduta di TENS, potrà realizzare un bite, o meglio un ortotico che mantenga i muscoli elevatori della mandibola in estensione, simulando così costantemente gli effetti della stimolazione elettrica e mantenendone i benefici. Nel caso del paziente serratore o disfunzionale, è consigliabile mantenere l’ortotico per almeno un anno, condizionando i muscoli alla nuova dimensione verticale e monitorando la sintomatologia dolorosa del paziente.
Una terapia verso la quale i bruxisti notturni sono comunemente indirizzati è l’uso di specifici splint occlusali. Il termine “splint” individua una varietà di device, alcuni dei quali molto sofisticati ed utili anche nella fase diagnostica, dato che si interfacciano con elettromiografi e polisonnografi. Lo splint più comune permette l’escursione, proteggendo la guida canina e, indirettamente, l’articolazione.
Questo tipo di terapie possono avere rilevanza anche nell’ambito di piani di cura di più ampio respiro: sono documentati modesti miglioramenti dal punto di vista posturale nei pazienti ortodontici in fase intercettiva.
A fianco delle strategie terapeutiche di ambito prettamente gnatologico, vengono comunemente utilizzati approcci anche molto diversi. Ritroviamo tecniche di rilassamento, ginnastica mandibolare o fisioterapia specifica.
Altri odontoiatri mettono in atto tecniche restaurative: alcune hanno un livello di invasività pressoché nullo – mordenzatura e aggiunta di composito al fine di ricreare parte della dimensione verticale perduta. Altre consistono in complessi piani riabilitativi di tipo protesico.
Nei casi più gravi, comunque, la tendenza è quella di mantenersi il più conservativi possibili: è intuitivo come il distacco di pochi strati di composito sia molto più gestibile di un danno ad un manufatto protesico cementato.
Il professionista, in ragione delle proprie competenze e, soprattutto, del tipo di persona che si trova davanti, sarà in grado di proporre la terapia più adatta ad ogni caso o, in alternativa, indirizzarlo nel modo migliore.