Aspetti occlusali nella patogenesi della cheilite angolare

Occlusal aspects of angular cheilitis pathogenesis

Viene suggerito un approccio per via occlusale per affrontare la cheilite angolare, un quadro clinico di frequente osservazione e per il quale è riconosciuta un’eziopatogenesi multifattoriale.

Edoardo Bernkopf *
Giulia Bernkopf**
*Specialista in Odontostomatologia, Roma
** Odontoiatra, Vicenza

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Riassunto
La cheilite angolare è un quadro clinico multifattoriale: può essere dovuto a infezioni batteriche o fungine, ad atopia, ma anche a malocclusione dentaria. Gli Autori suggeriscono un approccio per via occlusale utile ad affrontarla.

Summary
Angular cheilitis is a clinical picture caused by many factors : bacterial and/or fungal infection, atopic diseases, dental malocclusion. The Authors suggest a simple occlusal treatment to solve it and some other correlated symptoms.

La cheilite angolare costituisce un quadro clinico di frequente osservazione. Si può presentare clinicamente in forma lieve, moderata o grave. La sua durata può andare da un mese fino a 4 anni e più nei casi cronici e recidivanti1. La lesione della commissura labiale è solitamente simmetrica, ma può presentarsi anche in forma monolaterale, ed é di tipo eritemato-squamoso o eczematoso-ragadiforme.

L’eziopatogenesi è multifattoriale. Viene spesso chiamata in causa la presenza di protesizzazioni incongrue e deteriorate2. Infatti spesso, a causa del riassorbimento delle creste alveolari o dell’usura delle superfici interocclusali protesiche, si genera una perdita di dimensione verticale2,3,4, che comporta atteggiamenti scorretti delle labbra. Vengono così talvolta a formarsi bilateralmente due pliche diagonali, una in ciascun angolo della commissura labiale. Ciò è facilitato dal normale invecchiamento del tessuto cutaneo. Il gemizio continuo di saliva provoca la macerazione cutanea di queste pliche, e la cronicizzazione del fenomeno favorisce la formazione della ragade, o “perleche” per gli Autori francesi.
Viene abitualmente citato il ruolo di agenti irritanti 3 o infettivi, tra cui soprattutto Candida5, Staphylococcus aureus6 e Leishmania7.

La presenza di candidosi ribelle al trattamento, peraltro, può essere legata alla presenza di altre patologie, quali diabete8, infezione da HIV9 e altri deficit immunitari, anche legati all’uso di immunosoppressori. Da notare che protesizzazioni obsolete favoriscono la stanzialità della Candida, che si annida tenacemente nelle porosità delle strutture protesiche.
Anche la xerostomia e il tic di leccamento possono avere ruolo patogenetico.
Viene citata anche la causa, per così dire iatrogena, sia per uso prolungato di tetracicline10, sia quale effetto collaterale di interventi chirurgici che prevedono l’apertura della bocca per tutto il tempo necessario all’intervento11.
È stata segnalata12,13 la patogenesi legata alla carenza di ferro,  che altri ritengono forse sovrastimata14.
Quando compare in età pediatrica viene associata alla dermatite atopica. Secondo la classificazione e i criteri diagnostici della dermatite atopica di Hanifin-Raika (1980, modificati), la cheilite desquamativa angolare (CDA) va annoverata tra i segni clinici minori della dermatite atopica. La terapia si avvale di pomate e altri presidi topici emollienti, volti ad alleviare il dolore che comporta l’apertura della bocca. Nistatina e/o acido fusidico sono risultati efficaci in presenza di Candida e stafilococchi15.

È stato proposto anche l’impiego di miconazolo16. Nella patogenesi allergica collegata alla dermatite atopica, la terapia è cortisonica topica associata a emolliente. L’efficacia del trattamento medico è comprovata, ma rimane molto frequente la recidiva, che probabilmente dipende più dalle concause favorenti (protesi, accentuazione delle pliche commisurali, xerostomia, dimensione verticale insufficiente) che dagli stessi agenti eziologici. Il restauro protesico è spesso consigliato, anche se il suo costo a fronte di risultati incerti costituisce un freno. È stato proposto anche il trattamento chirurgico17Nonostante le diverse opzioni terapeutiche, peraltro, la mancata o solo temporanea risposta alla terapia e la frequente recidiva possono rendere il problema sostanzialmente senza sbocco18.

Caso clinico

J.B. è una ragazzina è giunta alla nostra osservazione all’età di 13 anni.
Presentava una ragade all’angolo della bocca (Figure 1, 2), che regrediva, ma non completamente, solo per uno o due mesi all’anno: per il tempo restante le deturpava il viso e le creava notevoli complessi. J.B. riportava anche una cefalea di forte entità, che la affliggeva da parecchi mesi tutti i giorni, e una rinorrea continua, descritta come raffreddore cronico, che perdurava anche nei mesi estivi.
La paziente era stata vista e trattata in diversi reparti della Clinica dove il padre lavora come infermiere. Tutti gli specialisti avevano escluso problemi di propria pertinenza all’infuori dell’allergologo (le prove allergiche avevano rivelato una positività agli acari) e, ovviamente, del dermatologo, che aveva prescritto varie terapie della ragade, compreso il cortisone topico, ma senza alcun risultato.

Fig. 1, 2 – Viso e particolare della cheilite angolare

La positività allergologica per gli acari, l’anomala manifestazione cutanea e la rinorrea cronica orientavano dunque verso un quadro di atopia e di cefalea con “screzio allergico”, più per esclusione di tutte le altre cause che per reale convinzione degli stessi curanti. La cheilite dell’angolo della bocca, peraltro, non regrediva nemmeno con terapia cortisonica.

Fig. 3 – Occlusione pre-trattamento
Fig. 4 – Applicazione della placca di riposizionamento mandibolare

La giovane paziente veniva da noi visitata con particolare attenzione alla sua situazione occlusale (Figura 3), aspetto che non era stato considerato. La terapia occlusale, con placca di riposizionamento mandibolare (Figura 4), risolveva il problema dermatologico (Figura 5), la cefalea e la rinorrea, sintomi regrediti fin dal primo controllo a 15 giorni, e sostanzialmente mai più ripresentatisi.

Fig. 5 – Guarigione della cheilite angolare
Fig. 6 – Trattamento ortodontico

Le lieve deviazione del morso era sufficiente a causare un costante squilibrio muscolare, che sosteneva la cefalea con meccanismo muscolo-tensivo. La rinorrea era invece interpretabile come effetto di una respirazione di tipo orale, che impediva una corretta ventilazione nasale. La componente allergica, pur presente e documentata, a posteriori non si è rivelata in sé sufficiente a spiegare il quadro clinico con l’abituale inquadramento nell’atopia, dal momento che anche la sintomatologia respiratoria è completamente regredita dopo il trattamento occlusale e il ripristino di un corretto schema respiratorio nasale. Il successo terapeutico con l’intercettazione a mezzo bite confermava l’indicazione al trattamento ortodontico definitivo (Figure 6, 7), che confermava l’eliminazione anche del problema cheilite (Figura 8). Il follow-up a 6 anni non ha riscontrato ricadute.

Discussione

Anche se in letteratura il ruolo dello stato dentario e occlusale del paziente è sottolineato da molti Autori, riteniamo che alcuni suoi aspetti non siano stati ben focalizzati. Si è soliti enfatizzare il ruolo di dentiere deteriorate, che accentuano la formazione di rughe e pliche cutanee, comunque spesso già presenti in pazienti anziani, quali sono solitamente i portatori di protesi mobili.
Il rapporto con protesi totali spiegherebbe anche la più frequente bilateralità del quadro clinico.
Questo sembrerebbe per contro escludere la patogenesi dentale-occlusale nei pazienti giovani dotati di dentatura naturale e nei quadri di cheilite angolare monolaterale: in questi casi la componente allergica sembrerebbe giocare un ruolo più importante.
Va in realtà osservato che una protesizzazione incongrua o il suo deterioramento nel tempo, unitamente al riassorbimento delle creste edentule su cui la protesi trova appoggio e collocazione, genera di fatto un quadro atipico di malocclusione dentaria. L’atipicità risiede nel fatto che quello di “malocclusione” è un concetto che si associa abitualmente a dentature naturali.

FIG. 7, 8 – Caso concluso. Durante i 2 anni di trattamento ortodontico e nei successivi 4 di follow-up la ragade non si è più ripresentata. Non sono più ricomparsi, se non in modo assolutamente sporadico, nemmeno i sintomi respiratori e cefalalgici

In realtà le pliche agli angoli della commissura labiale, da molti Autori considerate la principale causa del problema, non sono generate dai denti (naturali o protesici) ma dal rapporto, che peraltro i denti contribuiscono a individuare, fra le basi ossee mandibolare e mascellare. Se tale rapporto risulta sovente alterato negli edentuli, sia per il confezionamento di una protesi totale incogrua sia per il deterioramento della medesima, analogo risultato può essere anche dovuto allo scorretto allineamento dei denti naturali.

Anche questi, infatti, oltre a causare gli inestetismi della malocclusione dentaria, possono alterare il rapporto che, per gran parte delle 24 ore, intercorre fra la mascella e la postura mandibolare.
Questa interpretazione spiega anche le cheiliti angolari in età pediatrica, più rare in quanto l’età giovanile e l’elasticità dei tessuti rende più adattabili le parti molli alle malposizioni della mandibola, e di conseguenza più difficile la formazione di pliche cutanee. La cheilite angolare può dunque assumere espressione bilaterale a seguito della perdita di dimensione verticale per i già segnalati motivi legati alla protesi, ma in una dentatura naturale può verificarsi lo stesso quadro occlusale a seguito del mancato raggiungimento della dimensione verticale ideale per la presenza di una malocclusione con morso profondo.

Inoltre se la malocclusione dentaria sostiene una laterodeviazione della mandibola, anche di lieve entità, il problema del gemizio cronico di saliva e della macerazione della cute si verifica solo da un lato: in questo modo anche le cheiliti angolari monolaterali possono trovare spiegazione.

Terapia per via occlusale della cheilite angolare

L’interpretazione occlusale del quadro clinico assume ovviamente particolare importanza in sede terapeutica. Molti Autori consigliano il rifacimento della protesi, individuata come maggiore responsabile del problema, ma lamentano che non sempre questo intervento è sufficiente alla sua soluzione. Va sottolineato che spesso il rifacimento della protesi è suggerito nell’ipotesi che il deterioramento delle superfici protesiche faciliti il ristagno di placca batterica e tartaro e, di conseguenza, la colonizzazione da parte degli agenti patogeni abitualmente chiamati in causa nella cheilite angolare.

L’insuccesso potrebbe essere spiegato invece come errore tecnico su base occlusale, in quanto la nuova protesi potrebbe non aver acquisito le caratteristiche occlusali necessarie. A questo proposito va segnalato che la ricerca della corretta dimensione verticale costituisce, anche in sede protesica, un problema di non facile soluzione, non solo dal punto di vista tecnico, ma soprattutto da quello concettuale. In particolare, l’aumento della dimensione verticale, utile allo stiramento delle pliche cutanee, potrebbe non rientrare o rientrare solo in parte nel progetto protesico: di qui il perpetuarsi del problema cutaneo anche dopo una nuova protesizzazione.

D’altro canto, la mancata o incompleta soluzione di questo problema renderebbe ragione, dopo il momentaneo successo terapeutico per via farmacologica riportato da molti Autori, grazie alla provata efficacia del farmaco sul microrganismo che si impianta sulla lesione, della frequentissima recidiva18, che può di fatto rendere il problema praticamente perenne. Il medesimo concetto rimane valido anche in presenza di una dentatura naturale in morso profondo: la differenza sta nel trattamento, che in questi casi deve prevedere la correzione ortodontica e l’aumento per questa via della dimensione verticale.

Allo stesso modo, come sopra accennato, la presenza di una cheilite angolare monolaterale si accompagna spesso alla laterodeviazione del morso. Questo quadro nella dentatura naturale si riconosce quasi sempre grazie al disallineamento delle linee mediane interincisive superiore e inferiore. Nelle bocche protesizzate può risultare mascherato dall’intervento protesico, che può avere corretto esteticamente il disallineamento dentale, pur lasciando inalterata la laterodeviazione mandibolare, responsabile della formazione della plica cutanea alla commissura, e quindi della cheilite angolare. 

Alcuni Autori lamentano l’alto costo che comporta la considerazione dell’aspetto occlusale, specie in campo protesico, a fronte della non predittibilità del risultato sulla cheilite. Questo aspetto, non secondario, può essere superato grazie all’uso preliminare di placche di riposizionamento mandibolare. Questi dispositivi, di basso costo, totalmente reversibili e quindi privi di qualunque rischio biologico, sono in grado di “simulare”, per così dire, il cambiamento occlusale che rientra nel piano terapeutico del dentista, sia in campo ortodontico (Figura 4) che protesico, e di conseguenza anche i suoi benefici effetti sulla cheilite angolare. In questo modo il trattamento preliminare con placca di riposizionamento mandibolare costituisce la più sicura conferma diagnostica della natura del problema cutaneo, oltre a essere anche il primo step terapeutico.

Corrispondenza
edber@studiober.com

Bibliografia
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Aspetti occlusali nella patogenesi della cheilite angolare - Ultima modifica: 2018-03-05T12:27:40+00:00 da Redazione

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