Principi di radiologia e radioprotezione nella moderna diagnostica per immagini endorale

Nonostante l’introduzione di tecniche diagnostiche sempre più accurate quali l’ortopantomografia, la TC Dentascan, la CBCT, le linee guida radiologiche concordano che la radiografia endorale rappresenta tuttora l’indagine di primo livello, cui il dentista deve ricorrere nella maggior parte dei casi.
Scopo del presente aggiornamento monografico è l’analisi dettagliata delle variabili che possono influenzare la qualità delle immagini radiologiche endorali.

 

Luigi Rubino

Laurea in Medicina e Chirurgia con lode, specialista in Odontostomatologia con lode, Master in Odontoiatria digitale.
Professore AC all’Università degli Studi di Genova, coordinatore scientifico del Master in Chirurgia computer assistita dell’Università
G. Marconi (Roma). Socio attivo dell’Italian Academy of Osseointegration, degli Amici di Brugg, della Digital Dentistry Society, della Digital Implant e Restorative Accademy-DI&RA e della Cai Academy. Capogruppo Linee guida nazionali sulla radiologia odontoiatrica in età evolutiva presso il Segretariato generale del Ministero della Salute. Coautore Corso FAD “Radioprotezione in odontoiatria” Regione Toscana. Ha frequentato il corso “Dento-Alveolar Cbct Interpretation”, British Society of Dental Maxillo facial Radiology, e il corso “The Use of Cone Beam CT Dento Maxillo facial Diagnostics”, University Hospitals Leuven, Department of Oral Health Sciences.

Rossana Izzetti

Laurea con lode nel 2014 in Odontoiatria e Protesi dentaria presso l’Università di Pisa, nel 2015 ha frequentato il Master di II livello in Chirurgia orale e d’Urgenza odontostomatologica presso lo stesso Ateneo. Dal 2016 è PhDstudent in Scienze cliniche e traslazionali presso l’Università di Pisa. È libero professionista a contratto presso la UO Odontostomatologia e Chirurgia del cavo orale della Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. Ha svolto attività di tutoraggio di supporto alla didattica nell’ambito dell’insegnamento di Chirurgia odontostomatologica presso l’Università di Pisa.

Riassunto
Nonostante la moderna introduzione di tecniche diagnostiche sempre più accurate quali l’ortopantomografia, TC Dentascan, CBCT, le linee guida radiologiche concordano universalmente che la radiografia endorale rappresenta tuttora l’indagine di primo livello cui il dentista deve ricorrere nella maggior parte dei casi.
Malgrado ciò gli studi rivolti a valutare la qualità di esecuzione di tali radiografie da parte dei dentisti generici concludono che una grande percentuale di esse è di qualità inaccettabile e che l’errore più comune consiste in un errato posizionamento del recettore, e ciò indifferentemente dal fatto che si tratti di rivelatori analogici o digitali. Scopo del presente articolo è l’analisi dettagliata delle variabili che possono influenzare la qualità delle immagini radiologiche endorali.

Pubblicità

 

 

La radiologia, o diagnostica per immagini secondo la definizione dell’Executive Committeeof International Society of Radiology (2003), è “la scienza relativa alla produzione e interpretazione di immagini statiche e dinamiche ottenute utilizzando radiazioni di diversa natura (raggi X, raggi gamma, ultrasuoni, radiofrequenze, infrarossi, ecc.) per fornire immagini anatomiche e/o funzionali delle diverse strutture degli organismi viventi (apparati, organi, tessuti, molecole), identificare le patologie e attuare le terapie”

La diagnostica per immagini fornisce importanti dati integrativi a fini diagnostici, prognostici, terapeutici e di follow-up.

Le immagini diagnostiche possono essere:

  • di tipo planare, in cui una struttura anatomica tridimensionale (ovvero, un volume) è rappresentata in maniera bidimensionale;
  • di tipo tomografico, con le quali si realizzano immagini di singoli strati di organi o tessuti alla profondità desiderata eliminando le interferenze relative agli strati a essi piu superficiali o più profondi.

La differenza tra immagine planare e tomografica è ben riassunta dalle parole di Alessandro Vallebona, inventore della tomografa convenzionale nel 1930: “Interpretare una radiografa bidimensionale equivale a leggere un libro composto da pagine sovrapposte trasparenti, attraverso la copertina. La tomografia invece consente di aprirne ciascuna pagina”4.

corso radioprotezione odontoiatria

Radiazione

Per radiazione si intende un insieme di fenomeni caratterizzati dal trasferimento di energia da un punto all’altro dello spazio che può avvenire anche in assenza di mezzo, cioè nel vuoto.
Le radiazioni possono essere distinte in corpuscolate e non corpuscolate: le prime presentano un trasporto di energia associato a un trasporto di materia (particelle alfa, beta, protoni, neutroni), mentre le radiazioni non corpuscolate presentano esclusivamente trasporto di energia, ma non trasporto di materia (onde elettromagnetiche), e si propagano in forma di onde. In fisica, le onde elettromagnetiche sono caratterizzate dalla lunghezza d’onda (indicata con la lettera greca lambda-λ), cioé dalla distanza tra due massimi (o tra due minimi) consecutivi, e dalla frequenza (indicata con la lettera greca ni-ν), data dal numero di massimi (o minimi) che si possono misurare nell’unità di tempo (che è il secondo) (Figura 1).

Fig. 1 – Onde elettromagnetiche: rappresentazione della lunghezza d’onda (λ),
della frequenza (ν) e della ampiezza (y)

La frequenza misura in numero di “cicli” (oscillazioni) od onde emesse al secondo (Hertz o 1/s), ed è quindi espressa come inverso del tempo.
Tra la lunghezza d’onda e frequenza esiste una relazione di proporzionalità inversa, per cui all’aumentare di una corrisponde una diminuzione dell’altra. Maggiore sarà la frequenza, minore sarà la lunghezza d’onda e maggiore sarà l’energia che le onde trasportano e possono trasferire alla materia (Figure 2, 3).
Le radiazioni elettromagnetiche presentano uno spettro molto ampio che va dalle onde radio AM, con lunghezza d’onda di dimensioni paragonabili a quella di un palazzo, ai raggi cosmici, la cui lunghezza d’onda è nell’ordine delle particelle subatomiche (Figura 4).

2)
3)
Fig. 2, 3 – Proporzionalità inversa tra lunghezza d’onda e frequenza
Fig. 4 – Lo spettro elettromagnetico: caratteristiche delle diverse onde

Sebbene tutte le radiazioni cedano energia alla materia con cui interagiscono, solo alcune di esse, dette appunto ionizzanti, sono dotate di energia sufficiente a ionizzarne gli atomi.
I raggi X sono quella porzione di spettro elettromagnetico con lunghezza d’onda compresa approssimativamente tra 10 nanometri (nm) e 1/1000 di nanometro (1 picometro). Essi sono appunto radiazioni ionizzanti in quanto dotati di sufficiente energia da poter ionizzare gli atomi o le molecole con i quali vengono a interagire. Hanno inoltre alcune fondamentali proprietà:

  • viaggiano nel vuoto alla velocità della luce;
  • sono invisibili;
  • non vengono deviati da campi elettrici e magnetici;
  • attraversano la materia subendo un’attenuazione funzione dello spessore, della densità e del numero atomico delle strutture attraversate e in tale decorso producono fenomeni di ionizzazione ed eccitazione;
  • modificano le proprietà di un rivelatore (film radiografico, schermo fluorescente o, modernamente, sistema di detettori digitali), rendendo possibile la generazione di un’immagine.

Effetti delle radiazioni sui tessuti biologici

Gli effetti che le radiazioni inducono su un tessuto biologico sono la conseguenza di una serie complessa di processi dovuti al trasferimento di energia dalla radiazione al tessuto irradiato. Quando la radiazione attraversa un tessuto, gli atomi di cui è costituito possono essere ionizzati o eccitati. La struttura cellulare più radiosensibile è il DNA che può essere danneggiato per via diretta o indiretta, cioè mediante la produzione di radicali liberi6.

Possono seguire tre scenari diversi:

  • la lesione è riparata correttamente;
  • la lesione non è riparata, la cellula muore;
  • la lesione non è riparata adeguatamente, la cellula subisce una mutazione.

La cellula così mutata, se non riconosciuta dal sistema immunitario e prontamente rimossa, può proliferare e dar luogo a un processo di carcinogenesi.
Si calcola che ogni anno muoia un certo numero di persone a causa delle radiazioni mediche, ma che tale numero sarebbe di gran lunga superiore se non si ricorresse a tale tipo di indagine.
Lo scopo della radioprotezione è quello di minimizzare il rischio da radiazioni senza sacrificare o limitare gli ovvi benefici nella prevenzione, diagnosi e cura efficace delle malattie.

Tubo radiogeno di Coolidge

Il tubo radiogeno consta di un’ampolla di vetro, sotto vuoto spinto, contenente due elettrodi, posti l’uno di fronte all’altro. Circa il polo negativo in realtà si può distinguere un primo elemento composto da un sottile filamento di tungsteno, avvolto a spirale, percorso da corrente elettrica continua a bassa tensione e il catodo vero e proprio collegato al circuito ad alta tensione. L’anodo (polo positivo) invece, situato al polo opposto dell’ampolla, è costituito da un piattello di metallo a elevato numero atomico.
Il vuoto è necessario per due ragioni
1. impedisce la collisione degli elettroni in movimento con le molecole dell’aria;
2. previene l’ossidazione e la rottura del filamento.

 

Il tubo quindi è essenzialmente costituito da due circuiti elettrici. Il primo controlla l’intensità della corrente alla spiralina, cioè al polo negativo a bassa tensione, che portato a incandescenza, per effetto termoionico, libera una “nube elettronica” il cui numero di elettroni è funzione dell’intensità della corrente (amperaggio) al catodo. Nel secondo circuito, ad alta tensione, viene creata una elevata differenza di potenziale tra i due elettrodi (kilovoltaggio). Il passaggio della corrente continua ad alta tensione costringe gli elettroni ad allontanarsi dal polo negativo (stesso segno) che li respinge e a muoversi verso l’anodo, polo positivo che li attira. L’impatto contro questo genera la conversione dell’energia cinetica degli elettroni che qui vengono frenati in raggi X per l’1%, che possono uscire attraverso una apposita fessura dello strato piombato del tubo radiogeno in energia termica per il 99% (sotto forma di calore che deve essere dissipato) (Figura 6).

Aumentando l’amperaggio un maggior numero di elettroni bombarda l’anodo nell’unità di tempo e cresce pertanto la quantità di raggi prodotti (Figure 7a, b).

Aumentando invece il voltaggio si eleva l’energia cinetica (velocità) degli elettroni convogliati verso l’anodo con la conseguente formazione di raggi a minor lunghezza d’onda, cioè di maggiore energia che possono meglio penetrare nella materia contro cui sono diretti (Figure 7c, d). In sintesi i Volt influiscono sulla qualità dei raggi, mentre i milliAmpère ne regolano la quantità.

Tutte le procedure mediche che comportino l’esposizione a radiazioni ionizzanti devono essere giustificate e ottimizzate e devono essere regolarmente riviste e aggiornate alla luce del progresso tecnico-scientifico e in conformità con il principio ALARA (As Low As Reasonably Achievable):

  • solo le informazioni necessarie all’uso clinico;
  • la più ragionevole bassa dose possibile;
  • tutte le radiografie devono essere ottimizzate e giustificate.

L’indagine RX è da prescrivere solo quando ciò possa condizionare la terapia. Mai ai fini della documentazione iconografica (vedi le spesso disinvolte CBCT post-implantari) o a scopo promozionale.

Gli esami RX non devono essere ripetuti senza giustificazione clinica e devono essere limitati all’area di interesse. I clinici hanno la responsabilità di tenere conto di eventuali esami precedenti. Qualsiasi irradiazione, seppur apparentemente insignificante, va se possibile evitata. Numerosi studi hanno evidenziato che il 33% delle prescrizioni tomografiche non è giustificato da una reale necessità diagnostica e terapeutica7 e che gli operatori sanitari coinvolti, dall’odontoiatra, al radiologo, sino al medico di base non sempre sono consapevoli del rischio radiologico effettivo. La conoscenza di tutto ciò in fase di prescrizione, di utilizzo e in fase di acquisto, così come la padronanza dei protocolli operativi, è indispensabile ai fini di una deontologicamente corretta gestione dell’imaging radiologico.

Interazione dei raggi X con la materia e attenuazione

Nella radiografia convenzionale un fascio di raggi X, detto raggio incidente, emesso da un tubo radiogeno, incide sull’oggetto esposto e dopo essere stato attenuato durante l’attraversamento dei tessuti (raggio emergente), modifica le proprietà di un rivelatore (film radiografico, schermo fluorescente o, modernamente, sistema di detettori digitali), rendendo possibile la generazione di un’immagine (figura 5), in cui i vari tessuti vengono rappresentati secondo una scala di grigi funzione della densità di ciò che viene attraversato dai fotoni X.

Fig. 5 – Sistema tubo radiogeno-raggio incidente-oggetto esposto-raggio emergente-rivelatore

Tale attenuazione oltre che dipendere dallo spessore è proporzionale al numero atomico degli atomi componenti le strutture tissutali e alla loro densità elettronica8.

Radiologia convenzionale (proiettiva)

1.Fascio incidente

Sorgente non puntiforme
Viene definito fuoco la parte della superficie dell’anodo colpita dal fascio elettronico. Idealmente il punto di emissione dei raggi X dovrebbe essere puntiforme per evitare sfuocature geometriche: condizione teorica ideale che è necessariamente disattesa, in quanto in realtà la superficie dell’anodo deve avere una dimensione fisica finita (Figure 8-11). Quanto più questa sarà minore tanto migliore sarà la qualità dell’immagine. Negli apparecchi endorali il fuoco, in genere, è dell’ordine di 0,4 mm x 0,4 mm9, ma con l’uso nel tempo tende a subire delle alterazioni dimensionali con conseguente scadimento dell’immagine. Se la sorgente radiante non è puntiforme, i contorni dell’ombra proiettata sono degradati da una zona di penombra più o meno estesa che dipenderà dalle dimensioni del fuoco e dalla distanza reciproca dei tre elementi che caratterizzano “l’ottica” radiologica (fuoco, oggetto e recettore).

Fig. 8 – Condizione ideale, anodo puntiforme
9)
10)
11)
Fig. 9, 10, 11 – In caso di anodo non puntiforme i contorni dell’ombra proiettata sono degradati da una zona di penombra più o meno estesa che dipenderà dalle dimensioni del fuoco e dalla distanza reciproca tra fuoco, oggetto e recettore.

Flusso costante
Man mano che ci si allontana dalla sorgente di emissione, in modo omogeneo la sezione del fascio aumenta e la densità dei fotoni diminuisce.

Proiezione conica
I raggi si propagano in direzione obliqua descrivendo un cono di irraggiamento che si allarga con la distanza, ne derivano 2 tipi di artefatti:

  • ingrandimento proiettivo: le immagini radiologiche tendono a essere ingrandite rispetto alla realtà;
  • deformazione proiettiva: la proiezione dell’oggetto sulla pellicola appare deformata perché a causa della divergenza i raggi più lontani dall’asse del fascio assumono un decorso più obliquo. Tale fenomeno è tanto maggiore quanto maggiore è la distanza dell’oggetto dall’asse del fascio.

La distanza fuoco oggetto influenza l’immagine
Più allontaniamo l’oggetto dall’anodo più il fascio incidente tenderà ad avere andamento pressoché rettilineo e a minimizzare l’ingrandimento (Figura 12).

Fig. 12 – Più allontaniamo l’oggetto dall’anodo più il fascio incidente tenderà ad avere andamento pressoché rettilineo e a minimizzare l’ingrandimento
Fig. 13 – La radiazione diffusa è maggiore nella zona di ingresso Dose equivalente in microGy a 1 metro
Tubo rx per radiografia endorale con 60 kV, (6mA), 0,7sec, distanza fuoco pelle 20 cm (Fonte: Min. Sanità Nuova Zelanda)

L’intensità diminuisce in maniera direttamente proporzionale al quadrato della distanza
Di conseguenza per ottenere la stessa quantità di raggi X che incidono sull’oggetto occorre aumentare il flusso fotonico o in alternativa agire sul tempo. Nel caso degli apparecchi endorali il tempo è l’unico parametro su cui il dentista ha in genere beneficio di scelta (tralasciando quelli che consentono di scegliere nell’ambito di un limitato range di voltaggi, in genere compreso tra 60 e 70 KV).

2. Oggetto esposto

Può essere considerato composto da infiniti piani sovrapposti lungo la direzione di propagazione del fascio, all’interno dei quali vi siano diversi tessuti, ognuno con le proprie caratteristiche di assorbimento fotonico. L’attenuazione, oltre che dallo spessore, dipenderà dal numero atomico degli atomi componenti le strutture tissutali e dalla loro densità elettronica.

Interazione raggi X-tessuti
I fotoni durante il passaggio attraverso i tessuti possono subire diversi destini:

  • attraversare indisturbati senza subire alcuna attenuazione potendo cosi impressionare il rivelatore: radiazione primaria che dà il maggior contributo alla formazione dell’immagine;
  • collidere con gli atomi che verranno cosi ionizzati e attenuarsi completamente oppure cedere solo parte della propria energia. Quindi, deviati, proseguire con una direzione diversa ed eventualmente contribuire a impressionare il detettore.

Gli atomi ionizzati, a loro volta, possono dar luogo a una radiazione diffusa (di solito di intensità inferiore allo 0,1% rispetto a quella del fascio primario) che, come è logico attendersi, sarà maggiore nella zona d’ingresso del fascio (Figura 13) e, pertanto, potrà essere pericolosa per l’operatore che ivi stazioni.

La radiazione attenuata e, in parte quella diffusa, avendo un angolo di incidenza diverso e casuale, contribuiscono al degradamento della qualità dell’immagine (velatura e perdita di contrasto) e vanno accuratamente rimosse mediante apposite tecniche: tra queste, la griglia antidiffusione, che è composta da una serie di lamelle radioopache (in piombo), intercalate da lamelle radiotrasparenti. In questo modo la radiazione primaria parallela alla griglia viene lasciata passare, mentre quella che presenta un angolo di incidenza diverso viene fermata.

3. Fascio emergente

Il fascio cosi modulato, cioè costituito da un flusso fotonico attenuato in modo disomogeneo, funzione dalla rimozione dei fotoni durante l’attraversamento dei tessuti, incide su di un rivelatore analogico o più modernamente digitale.

Rivelatore o detettore

È il componente preposto a rendere visibile l’immagine del tessuto o dell’organo sottoposto ad analisi. Al suo progressivo miglioramento si deve l’importante evoluzione tecnologica in ambito radiologico.
Negli ultimi 30 anni, come conseguenza dello sviluppo dell’informatica, che ha consentito capacità di elaborazione sempre maggiori a costi sempre più contenuti, si è verificato il graduale passaggio dalle tecniche di imaging planare (2D) raccolte su un supporto analogico (pellicole radiografiche) a tecniche volumetriche raccolte da rivelatori digitali. La ricerca è indirizzata a rendere i rivelatori sempre più sensibili, in modo da poter ridurre la dose necessaria e, di conseguenza, la possibilità di diminuire i rischi biologici che ne derivano.
In radiologia convenzionale (proiettiva) si distinguono due approcci:

  • tradizionale, in cui i raggi X impressionano una pellicola analogica che, dopo un processo chimico, fornisce un’immagine. Qui sistema di rivelazione e immagine coincidono in un’unica componente;
  • digitale, più nuovo, in cui un sistema radiografico si basa sulla registrazione elettronica del fascio modulato che, dopo aver colpito il rivelatore, viene elaborato elettronicamente per produrre un’immagine su uno schermo del computer, simile in qualità interpretativa alla radiografia tradizionale, ma che fornisce indubbi vantaggi (Tabelle 1 e 2). Grazie a particolari funzioni dei sistemi digitali, che permettono di esaltare alcune informazioni contenute nell’immagine e sopprimerne altre, le immagini digitali consentono, malgrado una minore risoluzione spaziale, una maggiore efficacia diagnostica rispetto alle immagini analogiche 12,13,14.

Formazione dell’immagine analogica

La pellicola radiografica è costituita da una base di poliestere con funzione di supporto e da due strati di emulsione, contenenti i granuli di alogenuro d’argento immersi in una matrice di gelatina10.

Nella radiologia analogica i fotoni attenuati nel passaggio attraverso i tessuti provocano una modifica chimica dei sali d’argento che compongono la lastra (riduzione del bromuro d’argento con liberazione di argento metallico, responsabile dell’annerimento della pellicola), ottenendo l’immagine latente che, previo sviluppo e fissaggio, dà luogo all’immagine reale. In realtà l’energia posseduta dai fotoni del fascio emergente non è tale da determinare una sensibilizzazione dei sali d’argento sufficiente. Per incrementare ciò si sfrutta il potere che hanno i raggi X di rendere fluorescenti alcune sostanze. In questo modo la pellicola viene impressionata non solo dai raggi X direttamente, ma anche dalla luminosità che essi provocano in alcune emulsioni fluorescenti (schermi di rinforzo), poste a diretto contatto del film (96-98% per l’azione luminosa degli schermi e solo 2-4% per l’azione diretta dei raggi X). La lettura di un radiogramma si basa sulla interpretazione degli eterogenei toni di grigio risultanti dalla specifica attenuazione che il fascio subisce durante l’attraversamento di strutture di densità non omogenea: se si irradiasse un corpo omogeneo, cioè non in grado di fornire gradienti di attenuazione, non otterremmo un’immagine utile.

La scarsa attenuazione del fascio radiogeno, per attraversamento di tessuti poco densi (ad esempio il polmone o una lesione apicale) si traduce in un forte annerimento del radiogramma. Al contrario, la marcata attenuazione dei raggi X, dovuta per esempio all’attraversamento di strutture ossee o dentali, determina un ridotto (o assente) annerimento del radiogramma.

Nel linguaggio radiologico nero significa radiotrasparente e bianco radioopaco. Radiopacità e radiotrasparenza sono comunque termini relativi, non assoluti: una struttura anatomica sarà radioopaca o radiotrasparente rispetto a un’altra struttura, ma il suo livello di grigio dipenderà anche da altri fattori (energia dei raggi X, tipo di pellicola, ecc.).

Formazione dell’immagine digitale

L’immagine digitale (dall’inglese Digit= numero, cifra) è assimilabile a un mosaico composto da piccolissimi tasselli affiancati gli uni agli altri: i pixel, ognuno recanti in modo uniforme una sola tonalità di grigio funzione dell’attenuazione dei raggi X in quel punto. Alla vista, essendo essi molto piccoli, non sono distinguibili come singole unità, e a meno che non si ingrandisca notevolmente l’immagine, si confondono a formare gradazioni di grigio continue (Figura 14). L’insieme dei pixel in cui viene scomposta un’immagine prende il nome di matrice.

Fig. 14 – Rappresentazione grafica del pixel

Ogni pixel reca tre informazioni: due definiscono la sua posizione nella matrice (coordinate cartesiane X-Y), mentre la terza identifica il valore di assorbimento della radiazione e quindi l’intensità dell’immagine in quella specifica sede cui corrisponderà una relativa tonalità di grigio15,16,17.

Pixel è l’acronimo di “picture Elements” (elementi d’immagine/punti d’immagine). L’equivalente tridimensionale del pixel è il voxel (da “volume elements”); non è più un quadratino definito da una altezza e una larghezza, ma diventa un piccolo cubo (o parallelepipedo) che ha come base e altezza le dimensioni del pixel e come profondità lo spessore di strato (Figura 15). Maggiore e più concentrato è il numero di pixel su una superficie, più definita risulterà la riproduzione dell’immagine (si esprime in ppi, sigla che sta per ‘pixel per inch’, ovvero pixel per pollice lineare, cioè quanti pixel sono contenuti in una linea lunga un pollice).

Fig. 15 – Rappresentazione grafica del voxel

Fattori che influenzano la qualità delle immagini

1. Risoluzione spaziale, range dinamico e contrasto

Risoluzione spaziale
Si definisce risoluzione spaziale la minima distanza tra due punti che il sistema è in grado di distinguere come oggetti separati. È definita anche come la capacità di un determinato sistema di riprodurre il dettaglio dell’immagine. La risoluzione spaziale di una immagine radiografica viene espressa in paia di linee per millimetro (line pairs/mm – lp/mm) (cioè, quante paia di linee, una bianca e una nera, è possibile distinguere come oggetti separati nell’unità di riferimento) (Figura 16).
La risoluzione spaziale nella radiologia digitale è inferiore a quella della radiologia tradizionale, ma non è tale da implicare una minore efficacia diagnostica.
Le immagini radiografiche analogiche sono legate alle dimensioni dei granuli di sali d’argento che, ossidati dall’esposizione alle radiazioni X, precipitano durante il trattamento e assumono colore nero. L’immagine digitale, invece, non è formata da granuli ma da unità di dimensioni maggiori: i pixel.

Fig. 16 – Piastra per test di valutazione della risoluzione (courtesy Oprax Medical)
Fig. 17 – Rappresentazione grafica della risoluzione di contrasto

La risoluzione spaziale tipica del sistema tradizionale schermo di rinforzo – pellicola va dai 5 ai 10 pl/mm e può arrivare a 20 pl/mm nei sistemi usati per le mammografie; nelle immagini digitali invece si utilizzano valori dai 2,5 a ai 5 pl/mm che corrispondono a pixel intorno a 0,2 mm (fino 10pl/mm in mammografia con pixel 0,1)18.

Range dinamico
Indica la capacità del sensore di distinguere oggetti molto luminosi e molto deboli nella stessa immagine, cioè la capacità di rivelare variazioni di attenuazione anche minime  o per dirlo con altre parole la gamma di intensità di raggi X che un rivelatore può distinguere. Maggiore è la gamma dinamica, maggiori sono le potenziali sfumature di intensità dei raggi X che possono essere rilevate (variazioni di attenuazione del fascio X)

Risoluzione di contrasto
È la capacità di un sistema di dimostrare differenze di densità (di grigio) anche di scarso rilievo fra i vari tessuti dello strato in esame (Figura 17).

È definita come la minima differenza di densità tra due oggetti densitometricamente distinti che può essere rilevata dal sistema. Essa dipende dalla sensibilità del detettore e da alcuni parametri fisici. Nella radiologia convenzionale la risoluzione di contrasto è determinata dalle caratteristiche sensitometriche della pellicola e dal suo trattamento e un buon contrasto può essere ottenuto solo in uno stretto intervallo di esposizione.
In generale, se l’immagine radiografica è tecnicamente corretta (giusta energia fotonica, giusta esposizione, giusto sviluppo) si potranno distinguere 5 gradi di tonalità8:

  • tonalità aerea- nero;
  • tonalità adiposa – grigio scuro;
  • tonalità parenchimatosa – grigio medio;
  • tonalità ossea- grigio chiaro;
  • tonalità metallica – bianco.

L’immagine radiografica è composta da un insieme variabile di queste tonalità di grigio ed è una tecnica che possiede una bassa risoluzione di contrasto: la valutazione dei tessuti molli, in particolare, è sempre estremamente difficile; talvolta è possibile discriminare due organi o tessuti solo quando i loro profili siano circondati da un mezzo di differente opacità, cioè da livelli di grigio molto diversi. Un considerevole progresso si è avuto con l’avvento dei sistemi digitali, dove il contrasto può essere variato a piacere con caratteristiche di windowing (finestra elettronica): cioè è possibile attribuire via via a ciascun pixel, in modo dinamico, gradazioni di grigio diverse, in modo da esaltare selettivamente alcune componenti dell’immagine che si vuole studiare.

Mentre in analogico le caratteristiche di un’immagine, una volta ottenute e raccolte, sono fisse, nelle immagini digitali si ha un’ampia possibilità di modifica del contrasto in postprocessing, potendo così compensare deficit di esposizione che in analogico richiederebbero la ripetizione dell’esame.

Questi sono errori che vanno comunque prevenuti poiché:

  • la sovraesposizione comporta un’immagine più chiara oltre che un inutile aggravio di dose;
  • la sottoesposizione comporta, invece, una riduzione del rapporto segnale-rumore con conseguente comparsa di granularità e quindi eventuale perdita di informazione.

Nella radiologia digitale la risoluzione spaziale è minore di circa un terzo rispetto alla radiologia tradizionale, ma ha un range dinamico maggiore di circa 20 volte e una risoluzione di contrasto di circa 4 volte superiore13.

2. Forma e dimensione dell’oggetto

La radiologia proiettiva presenta i seguenti svantaggi:

a) Proiezione geometrica bidimensionale di un oggetto tridimensionale:

  • forma delle immagini in funzione della prospettiva di proiezione: la radiografia fornisce una proiezione bidimensionale di una struttura tridimensionale (Figure 18a-c);
  • perdita delle informazioni di profondità: non dà la possibilità di definire in modo preciso il volume o i rapporti dell’oggetto con le strutture circostanti (per esempio la profondità a cui si trova l’oggetto all’interno di una struttura) (Figura 19).
18a)
18b)
18c)
Fig. 18a-c – Forma delle immagini in funzione della prospettiva di proiezione

b) Sovrapposizione: la sovrapposizione delle proiezioni di più strutture tridimensionali, attraversate dal fascio radiogeno, su una superficie bidimensionale rende spesso difficile la corretta interpretazione spaziale dei dettagli anatomici (Figura 20).

C) Distorsione: variazione della dimensione o della forma degli oggetti. La distorsione è influenzata dalla relazione fascio vs dente-pellicola (Figure 21-23) e dall’allineamento fascio-oggetto pellicola (Figure 24-27). Per minimizzare la distorsione, e ottenere delle valide endorali periapicali, si ricorre essenzialmente a due tecniche: la tecnica parallela e la tecnica della bisettrice19,20,21.

Fig. 19 – L’oggetto pur stando a profondità diverse si proietta nello stesso punto della radiografia.
Fig. 20 – La sovrapposizione delle proiezioni di più strutture rende difficile l’interpretazione spaziale dei dettagli anatomici in 2D

 

Relazione fascio vs dente-pellicola

Variazione della distanza sorgente RX-pellicola
Aumentando la distanza tubo (fuoco)-pellicola si ottiene un aumento della nitidezza e una riduzione dell’ingrandimento. Questo accade nella tecnica parallela con cono lungo (Figura 21).

Fig. 21

La distanza sorgente RX-pellicola può essere incrementata utilizzando un tubo lungo oppure una testa con una sorgente in posizione arretrata (o una combinazione dei due) (Figura 22). Lo svantaggio di aumentare la distanza sorgente RX-pellicola è che deve essere aumentato il tempo di esposizione.
Raddoppiando tale distanza il tempo di esposizione dovrà essere quattro volte tanto (legge dell’inverso del quadrato) (Figura 22; a) tubo lungo; b) sorgente arretrata).

Fig. 22 a, b

Variazione della distanza oggetto (dente)-pellicola
Avvicinando la pellicola ai denti si reduce l’ingrandimento e aumenta la nitidezza. Allontanando il film dai denti, otterremo un maggiore ingrandimento e una nitidezza diminuita (meno dettagli) (Figura 23).

Fig. 23

Allineamento fascio-oggetto-pellicola

Per facilitare il posizionamento, talvolta non è possibile garantire:

  • l’ideale corretto parallelismo tra fascio, oggetto e pellicola, con conseguenti distorsioni (Figura 24)20;
  • l’ideale corretta ortogonalità del fascio rispetto all’oggetto e alla pellicola con conseguente distorsione o sovrapposizione dei profili (overlapping) (Figure 24-27).

Tecnica parallela

La tecnica parallela è la tecnica radiografica intraorale più accurata. Se eseguita correttamente, è più attendibile rispetto alla tecnica della bisettrice dato che produce un’immagine di maggiore accuratezza lineare e dimensionale. È raccomandata dall’ American Academy of Oral and Maxillofacial Radiology (http://www.aaomr.org). Si realizza ponendo il recettore parallelo all’asse longitudinale del dente e il raggio centrale perpendicolare sia al dente che al rivelatore.

L’uso di centratori (Figure 28-33) aiuta ad eseguire questa tecnica oltre che a standardizzarne l’esecuzione nel tempo, in modo da utilizzare proiezioni ripetibili, fattore questo indispensabile nei follow up22. Nella tecnica parallela, la lastra è disposta in bocca in modo che la pellicola sia parallela all’asse longitudinale dei denti da radiografare. Un apposito centratore munito di un anello è utilizzato per orientare parallelamente tra loro pellicola, denti e l’anello stesso. Allineato il tubo radiogeno all’anello, il fascio di raggi X sarà perpendicolare (angolo retto) all’asse longitudinale dei denti e alla lastrina.

Vantaggi
1. Migliore precisione dimensionale: la tecnica parallela comporta una minore distorsione dell’immagine. (La forma dei denti e il rapporto tra essi e le strutture circostanti sono più precisi).

2. Allineamento semplificato: utilizzando il centratore con l’anello di mira in parallelo, è più facile allineare lastra e denti ortogonalmente alla direzione dei raggi X.

3. Maggiore facilità di standardizzazione delle lastre: è facile ripetere l’esame nel tempo, la pellicola può essere posizionata ciascuna volta circa nella stessa posizione della precedente. Ciò può essere utile qualora si voglia monitorare nel tempo l’aspetto di una lesione23,24.

Svantaggi
Rispetto alla tecnica della bisettrice la tecnica parallela risulta:

  • meno confortevole, perché la lastra è solitamente più eretta, incide più sul palato o sul pavimento della bocca, rendendola così più scomoda;
  • più limitata dall’anatomia della bocca del paziente: un palato poco profondo o il pavimento della bocca rendono più difficile il posizionamento della lastra con tale tecnica.

Periapicali Anteriori

Il rivelatore di tipo 0 è posizionato verticalmente e il lato contenente il punto di identificazione, un cerchio goffrato, va incastrato nel biteblock.
Esso è necessario a distinguere il lato della bocca (sinistro o destro). Qualora il punto di identificazione non venga direzionato occlusalmente, la sua proiezione in direzione apicale potrà interferire con la lettura di eventuali strutture ivi presenti (Figure 41-51).

Punti critici
Non sempre possono essere rispettate le condizioni ideali. Talvolta a causa della rigidità di alcuni rivelatori o degli ostacoli anatomici, pur di ottenere il parallelismo è necessario posizionare il rivelatore:

  • in posizione più linguale, cioè più lontano dall’oggetto (dente), (o palatale): di conseguenza può verificarsi un ingrandimento dell’immagine. Tuttavia, questo può essere compensato utilizzando un’aumentata distanza sorgente-oggetto, che riduce l’ingrandimento;
  • in posizione più confortevole sacrificando il parallelismo.

Radiografie Bite-wings

Negli anni ‘30 del XX secolo, Raper introdusse una metodica radiografica detta bite-wing.
Inizialmente veniva realizzata incollando alla pellicola delle alette monouso che il paziente doveva mordere (da cui il nome “tecnica del morso”). Oggi dei centratori appositi facilitano il corretto allineamento tubo -dente -pellicola in modo tale che il fascio sia diretto parallelamente al decorso degli spazi interprossimali ed eviti la sovrapposizione proiettiva dei punti di contatto dei denti contigui (figure 65-69).
Una radiografia endorale, solitamente di dimensioni 3,1 x 4,1 cm., posizionata in senso orizzontale, consente lo studio ottimale delle corone di entrambe le arcate e del parodonto marginale, senza visualizzare le corrispondenti radici.

Per ottenere un più vasto campo di indagine si può ricorrere anche a pellicole specifiche di tipo 3, di dimensioni 2,7×5,4 cm, caratterizzate cioè da un più lungo asse longitudinale orizzontale (Figure 70-71).
Secondo la sistematic review di Bader JD25 et al, questo esame vanta una grande specificità e sensibilità nella intercettazione delle lesioni cariose, sia per quanto concerne quelle occlusali (sensibilità media 39%; specificità media 91%) ma soprattutto nei confronti di quelle interprossimali (sensibilità media 50%; specificità media 87%) le quali, per posizione e anatomia, sfuggono facilmente all’esame ispettivo. Il centratore prevede un’unica configurazione valida per entrambi i lati della bocca, le componenti in plastica hanno il codice colore rosso e la barra di metallo è specifica. La pellicola deve essere inserita orizzontalmente, facendo attenzione che il cerchio goffrato si proietti mesialmente. In fase di lettura sarà sufficiente che l’operatore orienti il film in modo che i denti mascellari siano rivolti in alto e i mandibolari in basso. Il punto di identificazione risulterà:

  • mesiale e in basso nelle RX del lato destro della bocca;
  • mesiale ma in alto in quelle del lato sinistro.

Poiché il pavimento della bocca, e soprattutto il palato, sono meno profondi in prossimità del lato linguale (o palatale) dei denti, la pellicola spesso non può essere posizionata correttamente vicino a essi.
Di conseguenza, per ottenere il parallelismo la lastra deve essere posizionata più all’interno nella bocca (Figure 34, 35).
Per facilitare il posizionamento, non è sempre possibile mantenere l’ideale corretto parallelismo oggetto-pellicola. Talvolta è necessario inclinare il centratore con conseguente sproiezione (Figure 36-38).

 

Selezione della pellicola
Il rivelatore di tipo 0 (2.2 x 3.5 cm) viene utilizzato per le periapicali anteriori, in questo caso l’asse lungo della pellicola sarà posto in verticale.
Per le periapicali posteriori si adoperano pellicole di tipo 2 (3,1 x 4,1 cm) il cui asse lungo viene utilizzato in orizzontale. Su entrambe in uno degli angoli della pellicola c’è un piccolo punto di identificazione (cerchio goffrato). Durante la lettura della radiografia esso è necessario a distinguere il lato della bocca (sinistro o destro) del paziente.

39)
40)
Fig. 39, 40 – Proiezione del processo zigomatico

Tecnica della bisettrice

Nella tecnica della bisettrice occorre idealmente dirigere il fascio perpendicolarmente al piano bisettrice dell’angolo formato tra il piano contenente l’asse longitudinale del dente e il piano della pellicola, un piano immaginario che non è sempre facile identificare. La tecnica della bisettrice garantisce una minore attendibilità, ma il suo uso è giustificato in quelle circostanze in cui il posizionamento intraorale del rivelatore sia difficoltoso, come ad esempio nel caso di recettori rigidi.

Fig. 63 – Raggi X perpendicolari alla bisettrice dell’angolo formato tra asse longitudinale del dente e quello più lungo della pellicola
Fig. 64 – Snap a ray

Periapicali Posteriori

Fare attenzione a orientare la lastra correttamente:

  • nelle pellicole analogiche il lato bianco va orientato verso il tubo, cioè verso i denti, quello colorato dalla parte opposta;
  • in quelle ai fosfori la parte nera dell’involucro monouso va rivolta verso il tubo, quella trasparente dalla parte opposta (Figure 52-62)

Vantaggi
Più confortevole, perché il film non scontra particolarmente le mucose e può essere angolato per adeguarlo alle diverse condizioni anatomiche senza alcuna limitazione.
Un centratore apposito, anche se disponibile, non è indispensabile (Figura 64). I pazienti spesso tengono la pellicola in posizione usando le dita.

Svantaggi
Difficoltà nel direzionare adeguatamente il tubo radiogeno soprattutto laddove non si usi l’apposito centratore con conseguente:

  • maggiore distorsione (deformazione, allungamento o accorciamento);
  • sovrapposizione dei profili coronali;
  • peggiore visualizzazione dell’osso periodontale;
  • possibile sovrapposizione dell’opacità delle arcate zigomatiche alle radici dei molari superiori (Figure 39, 40);
  • impossibilità a standardizzare le proiezioni in modo che le immagini siano confrontabili nel follow up.

Nel caso si usino le dita del paziente per tenere in posizione la pellicola, questa oltre a risultare meno stabile, tende se flessibile ad incurvarsi con conseguente ulteriore distorsione.

RX Occlusale

Dopo aver individuato un oggetto sulla pellicola periapicale, si può acquisire una RX occlusale. Occorrerà che il fascio sia perpendicolare al piano occlusale e alla pellicola che su di esso sarà adagiata (ciò è piu facile a livello mandibolare).

Localizzazione dell’oggetto

Una radiografia periapicale, essendo bidimensionale, non darà alcuna informazione circa la terza dimensione: non sarà cioè sufficiente a determinare se un oggetto sia in posizione buccale o linguale.

I due metodi principali per determinare la posizione bucco-linguale di oggetti, senza avvalersi di tecniche 3D, sono:

  • proiezione occlusale: utile per identificare la posizione buccale o linguale oltre che confermare quanto desunto con la regola di Clark.
  • tecnica di sproiezione (regola di Clark): utilizza due o più radiogrammi acquisiti con proiezioni diverse, il che implica un aumento della dose radiante.
  • L’immagine dell’oggetto posto vestibolarmente si muove in direzione opposta al movimento del tubo radiogeno. Quella linguale invece si sposta meno.

La regola dell’oggetto vestibolare viene utilizzata per identificare la posizione buccale o linguale di oggetti (denti inclusi, canali radicolari, ecc.) in relazione a un oggetto di riferimento (di solito un dente) (Figure 72 a-d).

Conclusioni

Malgrado l’interesse mediatico della letteratura e del marketing odontoiatrico sia oggi “distratto” dall’imaging 3D, la radiografia endorale continua a essere in genere l’indagine radiologica di primo livello ideale.
Se correttamente eseguita è spesso la più coerente al principio ALARA (As Low As Reasonably Achievable):
Occorre adoperare il mezzo diagnostico che con la più bassa ragionevole dose possibile che consenta la diagnosi e ricorrere alle indagini a maggior dose solo nei casi in cui tale obiettivo non sarebbe altrimenti ottenibile.

È necessario quindi che i dentisti conoscano e attuino tutte quelle attenzioni che possano garantire immagini endorali ideali:

  • stessa dimensione e forma  dell’oggetto;
  • ottima riproduzione dei dettagli;
  • buona densità e contrasto.

Corrispondenza
studiorubino@gmail.com

 

Principles of radiology and radiation protection in modern endoral imaging

Summary
Dental clinical practice has recently seen the introduction of modern diagnostic techniques presenting increasing levels of accuracy, such as panoramic radiograph, CT Dentascan and CBCT, nevertheless guidelines highlight that intraoral radiography still represents the starting point for diagnosis, which dentists should use in the majority of cases. Most studies regarding the quality of intraoral radiographs report that the most common mistake lies in a wrong detector position, both with analogic and digital systems. The aim of this study is the detailed analysis of the variables influencing the quality of intraoral radiographs.

 

 

Bibliografia
  1. Hellén-Halme K, Johansson PM, Håkansson J, Petersson A. Image quality of digital and film radiographs in application sent to the Dental Insurance Office in Sweden for treatment approval. SwedDent J. 2004;28(2):77-84.
  2. Sherwood IA. Pre-operative diagnostic radiograph interpretation by general dental practitioners for root canal treatment. Dento maxillofacial Radiology 2012;41:43-54.
  3. EdiriArachchi WM, Chandrasena WMDTDM, Tudugala R, Jayasinghe RD.Rejectanalysisof intra-oralperiapical(IOPA) radiographsof Departmentof Radiology, Dental Teaching Hospital, Peradeniya, Sri Lanka, Proceedings of 8th International Research Conference, KDU, November 2015.
  4. Vallebona A. Trattato di stratigrafia.Ed. Vallardi 1952
  5. Cardinale AE. Immagini e segni dell’uomo,Idelson Gnocchi, 1995.
  6. Caramella C, Paolicchi F, Faggioni L. La dose al paziente in diagnostica per immagini. Springer Italia, 2012.
  7. Brenner DJ, Hall EJ. Computed Tomography. An increasing source of radiation exposure. N Engl J Med 2007; 357: 2277-2284.
  8. Cittadini G, Cittadini G, Sardanelli F. Diagnostica per immagini e radioterapia. Ecig, 2008.
  9. BlinovNN, Vasilyev AY, Bessonov VB et al. Effect of Xray tube focal spot size on radiovisiograph resolution. Biomedical Engineering 2014 July;48, 2: 5861.
  10. Pramod JR. Textbook of Dental Radiology (Second Edition). Jaypee Brothers Medical Publishers (P) Ltd, 2011.
  11. Noffke CE, Nzima N, Chabikuli NJ. Digital radiography: update for oral health care workers. SADJ. 2004 Aug;59(7):293-5.
  12. Wakoh M, Kuroyanagi K. Digital imaging modalities for dental practice. Bull Tokyo Dent Coll. 2001 Feb;42(1):1-14.
  13. vanderStelt PF. Better imaging: the advantages of digital radiography. JADA 2008 Jun;139 Suppl:7S-13S.
  14. Versteeg CH, Sanderink GC, van derStelt PF. Efficacy of digital intra-oral radiography in clinical dentistry.J Dent. 1997 May-Jul;25(3-4):215-24.
  15. Indrajit I K, Verma B S. Digital imaging in radiology practice: an introduction to few fundamental concepts. Indian J Radio Imaging 2007;17:230-6.
  16. vander Stelt PF. Principles of digital imaging. DentClin North Am 2000 Apr;44(2):237-48.
  17. Moore WS. Dental digital radiography. Tex Dent J. 2002 May;119(5):404-12.
  18. Neri E, MarcheschiP, Caramella D. Produrre ed elaborare immagini diagnostiche. Springer Science & Business Media, 29 agosto 2008.
  19. Fuhrmann AW. Current practice in conventional and digital intraoral radiography: problems and solutions. Int J ComputDent. 2006 Jan;9(1):61-8.
  20. Dixon DA, Hildebolt CF. An overview of radiographic film holders. Dentomaxillofac Radiol 2005 Mar;34(2):67-73.
  21. Rushton VE, Horner K. The acceptability of five periapical radiographic techniques to dentists and patients. Br Dent J. 1994 Nov 5;177(9):325-31.
  22. Tugnait A, Clerehugh V, Hirschmann PN. J Dent. Radiographic equipment and techniques used in general dental practice: a survey of general dental practitioners in England and Wales. 2003 Mar;31(3):197-203.
  23. Kazzi D, Horner K, Qualtrough AC et al. A comparative study of three periapical radiographic techniques for endodontic working length estimation. Int Endod J 2007 Jul;40(7):526-31.
  24. Schmitd LB, Lima Tde C, Chinellato LE, et al. Comparison of radiographic measurements obtained with conventional and indirect digital imaging during endodontic treatment.
    J Appl Oral Sci 2008 Mar-Apr;16(2):167-70.
  25. Bader JD, Shugars DA, Bonito A. Systematic reviews of selected dental caries diagnostic and management methods. J Dent Educ. 2001 65: 960-8.
  26. Brenna F, et al. Restorative Dentistry. Italian Academy of Restorative Dentistry; Elsevier 2009.

Radioprotezione per Odontoiatri guarda in anteprima gratuita un estratto del corso

Principi di radiologia e radioprotezione nella moderna diagnostica per immagini endorale - Ultima modifica: 2018-06-05T10:16:08+00:00 da Redazione

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome