Perimplantite: certezze acquisite e modelli diagnostici

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È oramai accettato il fatto che l’impianto o, meglio, i tessuti ad esso adiacenti possano essere soggetti a problematiche cliniche che ricalcano quelle del dente naturale. Il progredire decennale della storia dell’implantologia e la diffusione anche commerciale della metodica hanno messo la comunità scientifica di fronte a patologie che tendono a manifestarsi nel lungo termine, la più temibile delle quali è probabilmente la perimplantite. Il parallelo gengivite-mucosite e parodontite-perimplantite suggerisce come l’approccio di studio più indicato per tale quadro clinico sia quello, appunto, parodontale. Negli ultimi anni, partendo da tale presa di coscienza, si spiega il perché alcuni fra i più autorevoli opinion leader di scuola parodontale abbiano approcciato questa tematica. L’associazione tra le diverse ricerche ha permesso di fissare dei parametri clinici e operativi che vengono oggi suggeriti per il riconoscimento e nella gestione di tali problematiche nella pratica quotidiana.

Moderni orientamenti in tema di perimplantite

Ad esempio, il Consensus meeting sulla perimplantite, che nel febbraio 2012 ha visto riunirsi a Estepona nomi quali Tomas Albrektsson, Daniel Buser, Stephen Chen e il professor Massimo Simion, ha stabilito alcuni punti importanti su cui riflettere. Innanzitutto, la definizione attuale di perimplantite, che individua sempre una patologia di carattere infiammatorio, si sofferma con maggiore risalto sull’andamento progressivo della perdita dell’osso. La perimplantite mostra quindi un comportamento specifico in questo senso. Viene ribadito a riguardo come la maggioranza delle sistematiche implantari siano da ritenersi sicure, dato che tendono a mostrare un riassorbimento osseo che rientra nei parametri fisiologici. Un anno dopo tali conclusioni, l’American Academy of Periodontology (AAP), la quale periodicamente fornisce report operativi aggiornati ai professionisti, ha prodotto un documento che rivede alcuni aspetti fondamentali di tipo eziopatogenetico e clinico-diagnostico, ma che significativamente non indirizza ancora verso delle linee guida terapeutiche strette. Ciò che più interessa, in un contesto preventivo, è il fatto che vengano elencati i fattori di rischio attualmente riconosciuti dalla Letteratura. In primo luogo, il dato anamnestico, che viene considerato in maniera allargata. Per quanto riguarda l’anamnesi generale, infatti, la patologia maggiormente osservata – con la precisazione che la mole di studi a riguardo non è da tutti considerata ancora sufficiente – è il diabete. Anche il tabagismo è una voce importante ed è quindi doveroso ribadire l’incompatibilità fra tale abitudine e l’implantologia. L’elemento di maggior peso è probabilmente l’anamnesi specialistica: un paziente con una storia di malattia parodontale è meritevole di attenzione anche per quanto riguarda il rischio di perimplantite. Con lo sviluppo della genomica, poi, andranno considerate sempre di più le predisposizioni genetiche alle patologie. Nel caso specifico, le ricerche si sono concentrate massimamente sul gene IL-1 e sui relativi polimorfismi. Da ultimo, viene ribadito il peso dell’igiene orale e, in particolare, dei siti perimplantari come misura preventiva fondamentale. Con ciò, ci si riferisce tanto alla cura professionale – con massima attenzione alla verifica dell’assenza di residui di cemento a livello del sottogengiva – quanto all’igiene domiciliare.

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Perimplantite: certezze acquisite e modelli diagnostici - Ultima modifica: 2016-11-01T07:40:11+00:00 da redazione

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