Oro: un’odontoiatria fuori dal tempo o una reale alternativa clinica?

La tecnica di laboratorio

Una volta colato in gesso il modello e aver cerato l’intarsio, si esegue la fusione del manufatto usando la lega JRVT della Jensen (l’uso di questa lega è fondamentale, in quanto le sue caratteristiche la rendono particolarmente adatta a questa tecnica).

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Seconda fase – La prova
Considerate le condizioni cliniche è bene provvedere all’anestesia dell’area in cui si intende operare; successivamente, la rimozione del provvisorio e l’applicazione della diga di gomma saranno estremamente semplici. Quando il campo sarà isolato si proverà la fusione, prima di togliere il composito residuo dalla cavità. Sono possibili, in questa fase, ritocchi sui punti di contatto ove necessario; si apprezzeranno poi il grado di precisione e la facilità con cui l’intarsio si alloggia nella cavità preparata. Fatte tutte queste considerazioni, nulla ostando, è possibile iniziare la fase di cementazione.

La cementazione
Si rimuove, con l’aiuto di un escavatore, il composito impiegato nella fase di buildup o block-out dalla cavità preparata; deterso il tutto, si passa alla cementazione del manufatto usando un cemento all’ossifosfato di zinco. Il cemento deve essere miscelato in modo corretto, poiché il tempo di lavorazione deve essere il più lungo possibile. Una volta pronto il cemento viene posizionato, con l’uso di un pennellino, nelle cavità. Si posiziona la fusione e, con l’uso di un bastoncino di legno d’arancio, si spinge con forza; è bene mantenere la pressione per una decina di secondi. Al fine di eliminare ogni eccesso di cemento si possono dare dei piccoli colpi sul bastoncino.

La rifinitura
Questa fase viene eseguita mediante l’uso di dischi di carta con spessore molto sottile: si usano in sequenza le tre granulometrie decrescenti (garnet medium, send fine, cuttle fine). La rifinitura inizia subito dopo aver posizionato la fusione, quando il cemento è ancora fluido; per primi si usano i dischi garnet medium montati su contrangolo a bassa velocità e senza il raffreddamento con acqua. Il dente e l’intarsio d’oro vengono portati sullo stesso piano e i margini rifiniti prima che il cemento sia indurito. Come sopra menzionato, dapprima i dischi devono essere usati a velocità molto bassa e il senso di rotazione deve essere sempre dall’oro verso il dente e mai al contrario. In seguito si usano i dischi send finecuttle fine; da ultimo si passa, con l’aiuto di una coppetta di gomma, una miscela di acqua e pasta pomice finissima, seguita da dell’ossido di stagno senz’acqua per dare la brillantatura finale. I margini gengivali si rifiniscono con strip di grana media e fine dopo il passaggio del secondo disco.

Considerazioni conclusive

La scelta dell’oro come materiale da ricostruzione pare oggi ristretta a pochi casi; tuttavia la durata dei restauri, come pure documentato dalla letteratura assai recente, appare degna di attenzione. Il gruppo di Schmalz ha infatti dimostrato con studi longitudinali “split-mouth” che spesso le ricostruzioni in oro vantavano risultati a distanza migliori rispetto alla ceramica e al composito. Questi recenti assunti debbono far riflettere sul reale impiego clinico di questi restauri troppo spesso dimenticati nella pratica professionale recente, degni invece della nostra considerazione per gli indubbi vantaggi in termini biologici e di resistenza all’usura.

Casi clinici

La rassegna dei casi – esplicativi di quanto detto sinora – aiuterà nella comprensione dei possibili vantaggi di questa tecnica sulla cui efficacia i risultati clinici a distanza parlano chiaro. Il primo caso rappresenta il punto di partenza dei nostri lavori, intarsi minimali seguiti con successo nel corso degli anni (Caso 1, Figure 1-3). Il secondo caso riguarda il rifacimento di una grossa amalgama sull’elemento 26 e la terapia di una carie distale sul 25; il controllo a 5 anni, su cui è stata fatta anche un’indagine al microscopio ottico per valutare l’adattamento dei margini, testimonia della pregevole fattura che questi intarsi possono fornire (Caso 2, Figure 1-18). Il terzo caso è esemplificativo della longevità di questi restauri; infatti i controlli presentati sono a 18 anni di distanza (Caso 3, Figure 1-8). Infine, i casi forse più interessanti poiché rappresentano l’espressione più attuale dell’uso di questa tecnica; l’impiego di preparazioni parziali, che rispettino la struttura dentale sana, può essere considerato una reale alternativa a trattamenti più complessi e per certi versi rischiosi come il posizionamento di impianti in aree ove siano necessarie procedure chirurgiche che richiedano o rialzo di seno mascellare oppure l’innesto di tessuto osseo autologo (Caso 4, Figure 1-9; Caso 5, Figure 1-8; Caso 6, Figure 1-12).

Oro: un’odontoiatria fuori dal tempo o una reale alternativa clinica? - Ultima modifica: 2013-03-14T15:43:16+00:00 da Redazione

1 commento

  1. Non c’è dubbi – intarsi in oro, sono migliori vai sul mio sito favebook e vedi intarsi fatti più di 30 anni fa.

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