Malpractice in dentistry: diagnostic-therapeutic, behavioral and management errors in disputes
Agli errori diagnostico-terapeutici spesso si associano quelli comportamentali e gestionali del sanitario che scaturiscono, conseguentemente, in contenziosi medico-legali. Attraverso alcuni casi di diretta osservazione peritale analizziamo i diversi momenti dell’errore ed evidenziamo gli svantaggi in sede di contenzioso giudiziario.
Scopo del lavoro. Illustrare come nei contenziosi odontoiatrici, oltre all’errore diagnostico-terapeutico, siano spesso presenti anche errori comportamentali e gestionali del sanitario nel rapporto medico-paziente, tali da far precipitare un conflitto ancora reversibile in un contenzioso irreversibile.
Materiali e metodi. Vengono evidenziati in vari contenziosi gli errori di comportamento del sanitario nei confronti del paziente e quelli di gestione del contenzioso stesso, senza i quali la “malpractice” clinica, seppur evidentemente presente, avrebbe potuto risolversi senza conseguenze giudiziarie per l’odontoiatra o almeno con conseguenze meno onerose.
Risultati e conclusioni. Dall’analisi delle vicende presentate si evince, per il sanitario, l’importanza di conoscere e di evitare gli errori comportamentali e di gestione medico-legale della vicenda per non peggiorarne le conseguenze.
Aim of work. Illustrate how in disputes, in addition to diagnostic-therapeutic error, there are also behavioral healthcare and management errors in the doctor-patient relationship; these errors can turn a still reversible conflict into an irreversible litigation.
Materials and methods. The behavioral errors of the dentist towards the patient and the litigation management errors are highlighted. Without these clinical errors, the medical “malpractice”, although clearly present, could be resolved without legal consequences for the dentist, or at least with less onerous consequences.
Results and conclusions. The analysis of disputes presented shows, for the dentist, the importance of knowing and avoiding behavioral and medicolegal management errors to prevent from worsening the incident.
Sulla scorta di considerazioni già formulate da alcuni degli autori nel 2011 su questa rivista, si propongono di seguito alcuni spunti di riflessione relativi agli errori comportamentali nel rapporto medico-paziente e agli errori gestionali nei conseguenti contenziosi medico-legali. Considerato l’aumentato interesse per i contenziosi medico-legali odontoiatrici già in atto da molti anni1 si è cercato di approfondire l’argomento analizzando alcuni casi di diretta osservazione.
Il contenzioso odontoiatrico scaturisce dalla percezione dei pazienti di avere subito un danno riconducibile a un errore clinico durante il trattamento sanitario. Oggi ogni evento clinico avverso viene purtroppo sempre ricondotto a un errore sanitario (evento prevedibile e prevenibile) e sembra non esservi più spazio per la complicanza clinica (evento prevedibile, ma non prevenibile).
Gli errori in ambito odontoiatrico sono solitamente riconducibili a poche categorie ben definite per cui la loro conoscenza (grazie all’aggiornamento professionale e alla medicina basata sulle evidenze scientifiche2 – E.B.M.) dovrebbe portare a una loro progressiva diminuzione e quindi a una diminuzione anche dei contenziosi, mentre si assiste da anni a un loro incremento3.
Per chiarire almeno uno dei motivi di questa difformità si discuterà di seguito di quella branca dell’odontoiatria rappresentata dall’implantologia dentale, dove è ben evidenziabile il divario esistente tra la realtà scientifica e quella percepita dal paziente.
Da una parte il rigore scientifico fornisce sempre maggiori indicazioni per ridurre i fallimenti implantari, imponendo l’accurata valutazione del caso, la selezione mirata dei pazienti, l’informazione corretta ed esaustiva, l’utilizzo di mezzi e di tecniche appropriate, il controllo dell’igiene orale e del fumo, l’attenzione sulle inevitabili complicanze nonché i necessari e programmati recall. Ciononostante, dai dati della letteratura scientifica emerge che il successo implantare oltre i 5-10 anni è limitato all’85-90% al massimo, con percentuali di sopravvivenza implantare ancora inferiori (con peri-implantiti in costante aumento4-7), intendendo con tale termine la permanenza nel cavo orale di un impianto che non rispetta più i requisiti di successo implantologico indicati da Albrektsson8 nel lontano 1986. Dall’altra parte troviamo invece i pazienti che – grazie ai messaggi pubblicitari – vedono gli impianti come il mezzo a disposizione di ogni paziente per riavere una dentatura fissa, in tempi brevi (addirittura in giornata), con scarsi effetti collaterali, ma soprattutto dalla durata illimitata nel tempo, il tutto a un prezzo sempre più irrisorio, propagandato inoltre come “prezzo giusto” (aiutano in questa percezione l’abolizione del tariffario minimo professionale, l’emergere di centri low-cost e i bassi rimborsi delle forme di assistenza sanitaria integrativa). È chiaro che con questo tipo di informazione il verificarsi di ogni evento clinico avverso o l’assenza di risultato è considerato secondario a un errore. Addirittura anche un costo superiore alla media sembra non essere giustificato.
Stiamo parlando dell’errore diagnostico-terapeutico, la cui eziopatogenesi va conosciuta al fine di evitarne la ripetizione, errore a cui conseguono risarcimenti del danno, senza necessità di accanimento nella colpevolizzazione del responsabile, perché non dimentichiamo che “il progresso non è altro che il brancolare da un errore all’altro”, come diceva il drammaturgo Henrik Ibsen.
Ma nei contenziosi non infrequentemente emerge la presenza di un altro errore, diverso da quello tecnico (presunto o reale), ed è l’errore nel comportamento del sanitario nella gestione del delicato rapporto medico-paziente nei momenti critici, oltre che di gestione, con la propria compagnia assicurativa, del conflitto instauratosi. Tali errori possono far precipitare i conflitti (situazioni di tensione reversibile nel rapporto medico-paziente) in contenziosi irreversibili, oppure peggiorare la situazione di soccombenza del sanitario nei contenziosi stessi.
Gli errori di comportamento, che ovviamente non hanno effetti positivi né sul progresso scientifico né nel rapporto medico-paziente, sono meno conosciuti di quelli diagnostico-terapeutici e hanno effetti psicologicamente negativi sulle figure coinvolte: pazienti, colleghi, consulenti tecnici e assicurativi, avvocati e giudici.
Nel complesso, tra gli errori di comportamento e di gestione più frequentemente osservati, anche in associazione tra loro, si possono annoverare quelli qui di seguito elencati.
• Negazione dell’errore: diceva il filosofo austriaco Karl Popper che “l’errore più grande è nascondere l’errore”. Troviamo spesso nei contenziosi questo biasimevole comportamento: dai frammenti radicolari dimenticati, alla separazione di strumenti endodontici nei canali, alla rottura di frese nell’osso fino ad arrivare incredibilmente agli impianti sfuggiti nel seno mascellare, perforazioni oro-sinusali non trattate entro le 24-72 ore9, tutte condizioni che se non vengono intercettate e riferite subito al paziente, impedendo gli opportuni provvedimenti, causano un peggioramento clinico, perdita di fiducia quando scoperte e conducono inevitabilmente al procedimento giudiziario. Si pensi, inoltre, ai danni neurologici o sinusali causati dagli impianti mal posizionati che, non potendo essere nascosti, vengono spesso negati dai sanitari che rassicurano i pazienti sulla transitorietà delle parestesie, o delle sinusiti che invece diventano irreversibili a causa della mancanza di approfondimento diagnostico e di adeguate terapie chirurgiche o farmacologiche in tempi adeguati.
• Abbandono del paziente: i sanitari che si sono resi responsabili di un danno iatrogeno invece di ascoltare il paziente cercando di porre in atto gli idonei rimedi affidandolo, se necessario, a un collega di maggior esperienza lo abbandonano, rifiutando persino di riceverlo in studio, spingendolo in tal modo a rivolgere altrove le proprie rimostranze che trovano spesso, per non dire sempre, un terreno fertile per critiche determinanti all’instaurarsi del contenzioso.
• Trattamento economico non pianificato: la quasi totalità dei contenziosi per danni odontoiatrici si svolge nei tribunali civili; sorge per controversie sugli onorari e ha come unico scopo il risarcimento monetario. Se, come diceva Fogazzaro, “le banconote asciugano le lacrime meglio del fazzoletto”, come credere che un preventivo inadeguato o una richiesta economica immotivata non siano elementi cardine su cui ogni paziente in contenzioso basa le proprie lamentele? Ulteriori esempi sono la mancanza o l’inadeguatezza del preventivo scritto, le successive richieste economiche non preventivate, i decreti ingiuntivi per il mancato saldo finale e la mancata restituzione dei compensi versati per trattamenti inefficaci. Non dimentichiamo, inoltre, che non si può sostenere, oggi, che vi sia un valido consenso alle cure se l’informazione è carente sui costi del trattamento intrapreso, sui costi dei diversi materiali utilizzabili o delle varie alternative percorribili. Un preventivo scritto, preciso e dettagliato nelle singole voci, aggiornato e controfirmato a ogni variazione significativa è oggi il mezzo più sicuro per trasmettere correttezza e trasparenza evitando future incomprensioni in studio ed estenuanti discussioni in tribunale.
• Fatture inadeguate: tra i vari problemi riscontrati, anche la mancanza di fatture, pur (illecitamente) concordate tra medico e paziente, è sempre considerata nei contenziosi una negligenza solo per il medico, mentre fatture riportanti il solo totale, senza specifica delle singole voci, oltre che una deleteria mancanza di trasparenza nei confronti del paziente (e dell’Agenzia delle Entrate che ne impone l’obbligo descrittivo10,11) impediscono di risalire non solo al valore delle singole prestazioni, ma spesso proprio alle prestazioni eseguite. E che dire delle fatture non corrispondenti alle prestazioni fornite, eseguite per compiacere il paziente nei rimborsi assicurativi (otturazioni non effettuate, corone protesiche indicate in ceramica quando eseguite in resina) che integrano il reato di falso ideologico con le relative conseguenze giuridiche e si rivelano dei veri e propri autogoal in caso di contenzioso?
• Mancata consegna della cartella clinica: tale comportamento molto frequente, da sempre in contrasto con quanto previsto dal Codice di Deontologia Medica12,13, sia nell’ultima versione 2014 che nelle precedenti, da un lato indispettisce il paziente esacerbando inutilmente il conflitto, dall’altro impedisce una corretta valutazione del danno da parte dei consulenti. Buona norma è consegnare una relazione quanto più esaustiva possibile relativamente al trattamento eseguito, con le tipologie di prestazioni, le date di esecuzione e gli operatori intervenuti (dati necessari tra l’alto per le coperture assicurative), accompagnata da preventivi, consensi, conformità protesiche, radiografie, eventuali fotografie, modelli e fatture. Si tratta di elementi indispensabili per affrontare un contenzioso. Si ritiene opportuno infatti porre l’attenzione su quella che è la prevalente criticità nella gestione dei sinistri da parte assicurativa. L’evoluzione della giurisprudenza civilistica ha determinato nel corso degli anni un progressivo ampliamento della responsabilità contrattuale e il graduale spostamento dell’onere probatorio sul prestatore d’opera (quindi sulle aziende sanitarie e sui professionisti sanitari). Da ciò consegue l’onere, per la struttura così come per il singolo professionista, di dimostrare in un eventuale procedimento civile di avere correttamente adempiuto ai propri compiti. Pertanto, una carente documentazione clinica a supporto delle decisioni cliniche e dell’attività svolta, compresa quella relativa alle informazioni condivise con il paziente, inficia la possibilità di difendersi, con il conseguente onere risarcitorio, pur in assenza di dimostrato comportamento colposo commissivo od omissivo. In considerazione di quanto sopra richiamato, la documentazione completa e puntuale dell’attività svolta e dei processi decisionali è una componente essenziale dell’attività professionale fondamentale per il contenimento del rischio assicurativo della struttura e del singolo professionista.
• Attribuzione dell’errore a complicanza, con ulteriori richieste economiche: sovente vengono richiesti ai pazienti dai sanitari ulteriori esborsi economici per rimediare ai danni iatrogeni provocati, identificandoli quali complicanze, oppure attribuendoli a colpa del paziente. Si pensi all’otturazione errata che porta poi alla devitalizzazione del dente, alla devitalizzazione con perforazione del pavimento del dente o con comparsa di granulomi che portano poi all’estrazione e all’implantologia, o alle recidive ortodontiche, o alle fratture radicolari per perni inadeguati, fratture protesi, situazioni tutte per cui a volte vengono richiesti ulteriori esborsi economici non dovuti. Sempre nel campo dei danni iatrogeni ricondotti a complicanze, sono da annoverare anche le lesioni dei nervi periferici da estrazioni dentali o da implantologia che incredibilmente vengono ascritte a problemi neurologici centrali, fino ad arrivare all’incredibile inserimento nel consenso informato della possibilità, nel trattamento implantologico, di provocare lesioni nervose.
• Decreti ingiuntivi: si ricorda, infine, che il denominatore più comune nei contenziosi è proprio la richiesta coattiva di pagamento. Spesso un residuo di pagamento a saldo delle prestazioni è il modo in cui un paziente esprime al sanitario la propria insoddisfazione per il trattamento ricevuto; il conflitto probabilmente finirebbe così se non intervenisse un decreto di ingiunzione al pagamento del saldo14-16 che obbliga il paziente a rivolgersi a un legale che farà valutare il trattamento eseguito a un consulente alla ricerca di eventuali vizi in grado di consentigli una opposizione (magari con domanda riconvenzionale). Anche qui prima di iniziare un recupero crediti, buona norma, troppo spesso disattesa dai sanitari, è quella di controllare che la documentazione del trattamento eseguito sia ineccepibile altrimenti al danno di un mancato recupero del credito si aggiungerà la necessità di procedere al risarcimento, magari anche solo della violazione del diritto di autodeterminazione.
Va altresì considerato (oltre all’errore comportamentale con il paziente di cui abbiamo appena parlato) che, sovente, vi è anche un ulteriore tipo di sbaglio commesso dall’odontoiatra, che chiameremo “errore di gestione” della controversia, senza il quale probabilmente il contenzioso giudiziario avrebbe potuto spegnersi o comunque avere conseguenze meno onerose per i sanitari.
Si ricordano, ad esempio, la mancata comunicazione alla propria compagnia assicurativa del ricevimento della diffida del legale del paziente nell’immediato (secondo le indicazioni assicurative) o nei tempi debiti (secondo il Codice Civile), il non presentarsi al procedimento di mediazione e il restare contumace nella causa di merito.
Materiali e metodi
Di seguito, alcuni casi di diretta osservazione peritale al fine di analizzare i diversi momenti dell’errore e di evidenziarne gli svantaggi in sede di contenzioso giudiziario.
Caso 1: frattura della mandibola durante estrazione ottavo tardivamente riconosciuta
Sintesi caso: estrazione del 48 con frattura contestuale dell’angolo mandibolare. Malgrado il dolore, l’impotenza funzionale e la duplice lesione neurologica del nervo alveolare e del nervo linguale inferiori con conseguente estesa zona di anestesia-parestesia della regione mentoniera e dell’emi-lingua destra, la frattura è stata riconosciuta solo dopo 40 giorni con esecuzione di una radiografia17. È stato necessario eseguire intervento chirurgico di riduzione della frattura e fissazione con mezzi di osteo-sintesi con accesso chirurgico combinato intra- ed extra-orale, con cicatrice cutanea residua.
Errore diagnostico-terapeutico: frattura della mandibola per estrazione del dente 48 eseguita senza copertura antibiotica pre-intervento (il tutto accompagnato dalla mancata acquisizione del consenso informato), senza controlli radiografici post-estrattivi che hanno comportato un ritardo diagnostico di oltre 40 giorni.
Errore di comportamento: comportamento negligente del sanitario nel periodo post-estrattivo, il quale alla comparsa di immediato dolore incontrollabile con impotenza funzionale e parestesie, senza eseguire radiografie, ha rassicurato il paziente sul buon esito delle terapie, raccomandando semplicemente, senza prescrivere terapie farmacologiche, di attendere la guarigione spontanea della zona e la scomparsa della sintomatologia algica, attribuendola (forzatamente) a “normale” conseguenza post-estrattiva.
Solo dopo 40 giorni dall’estrazione, per il continuo peggiorare della sintomatologia, il sanitario ha fatto eseguire radiografia panoramica OPT di controllo da cui si è evidenziata la frattura. In questa vicenda il contenzioso è stato scatenato più dall’errore di comportamento del sanitario che dall’errore diagnostico-terapeutico. Infatti, il paziente oltre a sentirsi abbandonato per oltre un mese per la mancata esecuzione di quei semplici controlli radiografici che avrebbero permesso di intervenire precocemente, ha subito l’intervento di riduzione della frattura con mezzi di osteo-sintesi che ha determinato una residua cicatrice extra-orale.
Errore di gestione: non è stata eseguita la radiografia pre-cure per dimostrare l’indicazione all’estrazione e non è stata eseguita la radiografia immediata post-avulsione per comprovare il buon esito dell’intervento chirurgico e quindi, indirettamente, per poter dirimere a posteriori il tipo di frattura (se immediata o tardiva18). Inoltre, il sanitario non ha tempestivamente avvisato la propria assicurazione di quanto accaduto con una denuncia cautelativa di un fatto “noto”19, considerata la probabile richiesta di risarcimento da parte del paziente.
Caso 2: stravaso di ipoclorito di sodio oltre l’apice radicolare
Sintesi caso: la paziente si è rivolta a uno studio dentistico per ripristinare la funzione masticatoria ed estetica nell’arcata inferiore, in assenza di problemi e sintomatologia all’arcata superiore. Il titolare dello studio ha redatto, senza eseguire radiografie pre-cure, preventivo per 1700 € (compensi pagati anticipatamente dalla paziente), relativo all’otturazione del canino superiore 13 (senza devitalizzazione) e alla realizzazione nell’arcata inferiore di una protesi mobile ancorata a 2 corone protesiche fisse. Nella prima seduta però un collaboratore dello studio ha eseguito, ancora in assenza di radiografie, non l’otturazione come previsto, bensì la devitalizzazione del canino 13. Il sanitario durante la devitalizzazione ha iniettato oltre l’apice radicolare ipoclorito di sodio20; la paziente ha avvertito forte bruciore in regione orbito-malare, ma il sanitario, malgrado ciò, ha comunque proseguito con le terapie e dopo alcuni minuti ha rieseguito il lavaggio canalare con ipoclorito, provocando ancora intenso dolore che ha richiesto l’intervento del personale del 118 in studio e l’accesso in pronto soccorso. Nonostante la parziale remissione del dolore nelle settimane successive ai trattamenti, è comparsa un’imponente tumefazione ecchimotica dell’intero volto, residuando alla fine in modo permanente estesa zona di anestesia/parestesia del terzo medio e inferiore dell’emi-volto destro.
Errore diagnostico-terapeutico: si riconoscono più errori da parte del sanitario. Dall’errata valutazione iniziale di un’otturazione sul dente 13 sulla base della sola osservazione clinica senza eseguire approfondimenti radiografici che ha condizionato l’esecuzione del trattamento in assenza di idoneo consenso informato, all’errata devitalizzazione eseguita sul canino per incongrua apertura della camera pulpare e sagomatura del canale radicolare, allo spandimento dell’ipoclorito oltre l’apice radicolare21,22, con imponente manifestazione clinica e danno permanente.
Errore di comportamento: lo studio alle rimostranze della paziente non ha voluto nemmeno restituire i compensi “contrattuali” da lei versati anticipatamente per la riabilitazione protesica inferiore, già pagata ma non effettuata, attribuendo ogni responsabilità al collaboratore dello studio che ha eseguito la devitalizzazione incongrua. Lo studio non solo è contrattualmente responsabile (pena una “inadempienza contrattuale”), ma è anche parzialmente responsabile per quanto accaduto, considerato che la diagnosi, il piano di trattamento e il preventivo sono stati eseguiti da personale dello studio diverso dall’operatore che ha eseguito la devitalizzazione. La pronta restituzione almeno dei compensi versati avrebbe probabilmente evitato il contenzioso contro lo studio, restando limitato all’operato del sanitario che ha materialmente agito. Ancora una volta il contenzioso è stato innescato dalla percezione del paziente che l’interesse economico avesse prevalso sull’interesse della cura del paziente.
Errore di gestione: vi è stata un’errata gestione per rifiuto di consegna della cartella clinica su richiesta del legale della paziente, fatto in grado di peggiorare la soccombenza dello studio, non essendo stata fornita documentazione pre-cura in grado di dimostrare l’indicazione alla devitalizzazione.
Caso 3: lesione neurologica da impianti con abbandono paziente
Sintesi caso: errata esecuzione delle terapie implantologiche (2 viti implantari) eseguita nell’emi-arcata inferiore sinistra per malposizionamento degli impianti, che sono ampiamente penetrati all’interno del canale mandibolare dove decorre il nervo alveolare inferiore sinistro, oltrepassandone anche il pavimento, con conseguente lesione del nervo e comparsa di estesa zona di parestesia della regione mentoniera sinistra.
La paziente ha segnalato al sanitario il giorno dopo l’intervento la presenza di anestesia e parestesia con scosse elettriche nella regione mentoniera e al labbro inferiore di sinistra. Il sanitario, senza eseguire controlli radiografici, ha continuato il trattamento, rassicurando la paziente sulla transitorietà della lesione neurologica, devitalizzando oltretutto il premolare 34, ritenuto responsabile della sintomatologia, giungendo a finalizzare protesicamente gli impianti. Terminato il trattamento e perdurando la sintomatologia, la paziente si è recata di propria iniziativa da altro specialista per un parere che, eseguita una TAC, le ha comunicato che l’anestesia era dovuta alla lesione del nervo alveolare da parte degli impianti inseriti dal precedente sanitario.
Errore diagnostico-terapeutico: errato posizionamento implantare in profondità, ben oltre il pavimento del canale mandibolare, in mancanza di idonei accertamenti radiografici pre-cure di secondo livello, peraltro senza acquisizione di idoneo consenso informato, senza controllo radiografico post-intervento, con inopportuna realizzazione della finalizzazione protesica.
Errore di comportamento: il sanitario ha eseguito radiografie endorali solo dopo mesi, negando l’errore; lo stesso ha comunicato infatti alla paziente che gli impianti erano correttamente posizionati.
Ulteriore errore è stata l’attribuzione della sintomatologia algica al dente 34 con la relativa devitalizzazione.
Quando la paziente è tornata in studio per riferire quanto appreso dopo l’esecuzione di indagine TAC, il sanitario si è giustificato riconducendo la lesione neurologica a una “complicanza”, rassicurandola comunque sulla sicura risoluzione e transitorietà della parestesia nel tempo. Certamente la paziente ha percepito nel comportamento del sanitario il solo interesse economico di terminare il lavoro e non quello, eticamente fondamentale, di curare la salute dello stesso. Nella paziente si è radicato il concetto che un intervento precoce di rimozione degli impianti avrebbe portato a un minor danno rispetto a quello oggi presente. Anche il successivo procedimento di mediazione23, in cui è stata offerta alla paziente una cifra esigua rispetto al danno neurologico permanente presente, non ha impedito la proposizione di un giudizio civile. Errore di gestione: il sanitario, dopo l’evidente errore di infissione implantare, ha proseguito il trattamento protesico, senza effettuare TAC, senza rimuovere immediatamente gli impianti, senza prescrivere terapie farmacologiche e senza consigliare visite specialistiche neurologiche.
Dal punto di vista della gestione assicurativa, sicuramente consigliabile sarebbe stata la denuncia “cautelativa” alla propria compagnia, in quanto il sanitario era ben a conoscenza di un fatto “noto” che con alta probabilità avrebbe portato a una richiesta risarcitoria.
Caso 4: fallimento riabilitazioni protesiche con ulteriori richieste economiche per i rifacimenti
Sintesi caso: errata esecuzione delle terapie protesiche effettuate in entrambe le arcate dentarie ed errata esecuzione di alcune devitalizzazioni dei denti-pilastro.
Le incongrue terapie protesiche (quelle superiori prive di indicazione) hanno portato, già nel primo anno, a severa infiammazione diffusa con sanguinamento dei tessuti gengivali in corrispondenza delle corone protesiche superiori, discromie, fratture e ripetuti distacchi del rivestimento estetico delle corone protesiche inferiori, oltre che episodi algici e ascessuali ripetuti per i granulomi comparsi a seguito delle incongrue devitalizzazioni, con conseguente necessità per il paziente di rifacimento integrale delle terapie.
Errore diagnostico-terapeutico: errata realizzazione dei manufatti protesici (con margini sovra-contornati, infiltrazione cariosa di alcuni pilastri, ripetuti distacchi dei rivestimenti estetici dei manufatti inferiori, erronea esecuzione di alcune devitalizzazioni.
Errore di comportamento: alla comparsa di continui problemi per i manufatti protesici incongrui sono stati chiesti dal sanitario ulteriori esborsi economici di alcune migliaia di euro per il rifacimento del solo rivestimento inferiore.
Tale richiesta, unitamente a una pianificazione economica non trasparente (per mancanza di preventivo iniziale) e alla mancanza di fatturazione (un’unica fattura in 5 anni di cura pari a un decimo di quanto pagato dal paziente) ha di fatto comportato l’interruzione dei rapporti. Dopo anni di trattamento, costellato dalla presenza di numerosi fallimenti delle protesi e peggioramento dei tessuti di sostegno parodontali, il paziente, al quale viene attribuita la causa del fallimento per scarsa igiene, si trova a dover rieseguire tutto il trattamento con richiesta di ulteriori esborsi economici, senza pertanto nessuna ammissione di responsabilità da parte del sanitario che non ha voluto nemmeno contribuire al rifacimento. In prima ipotesi un diverso approccio al trattamento odontoiatrico fallimentare avrebbe permesso di mantenere il rapporto medico-paziente, evitando il contenzioso.
Errore di gestione: trattamento eseguito senza un chiaro preventivo iniziale, senza regolari fatture fiscali, con opposizione a oltranza alle richieste del paziente, con la mancata consegna della cartella clinica alle richieste del legale del paziente (che costituisce peraltro anche illecito deontologico), con mancata adesione al procedimento di mediazione e ai tentativi conciliativi extra-giudiziali; il tutto in assenza di copertura assicurativa da parte del sanitario.
Caso 5: migrazione completa di impianto nel seno mascellare non comunicata al paziente
Sintesi caso: il sanitario ha eseguito una riabilitazione implanto-protesica fissa nel settore superiore sinistro con 4 impianti e relative corone protesiche fisse, tacendo alla paziente, in occasione della riapertura chirurgica, che l’impianto distale era migrato completamente all’interno del seno mascellare sinistro24,25. Il sanitario ha pertanto terminato il trattamento con la protesizzazione definitiva con 4 corone su 3 impianti, senza nemmeno eseguire una radiografia e non ha comunicato alla paziente la perdita dell’impianto nel seno nemmeno durante la seduta di cementazione definitiva dei manufatti protesici avvenuta dopo vari mesi.
Dopo un paio d’anni di assenza sintomatologica sono comparse intense algie spontanee nella regione mascellare e sotto-orbitale sinistra durante i movimenti e le attività fisiche della paziente. La stessa, che era in cura da molti anni dal sanitario, ha eseguito allora di propria iniziativa una radiografia panoramica OPT e solo in tale occasione ha appreso dal radiologo della presenza dell’impianto libero all’interno del seno mascellare sinistro quale causa dei suoi problemi.
Errore diagnostico-terapeutico: migrazione dell’impianto nel seno mascellare, in mancanza sia di TAC preliminare che di verifica radiografica post-intervento e in assenza di consenso informato. Ulteriore errore la mancata rimozione dell’impianto, con prosecuzione della riabilitazione protesica.
Errore di comportamento: in ben due occasioni la migrazione dell’impianto non è stata comunicata alla paziente, che ha scoperto l’impianto migrato nel seno dopo una latenza di oltre due anni attraverso radiografia di controllo eseguita di propria iniziativa. Ulteriore errore di comportamento è stato l’aumento di oltre il 50% del preventivo iniziale (oltretutto scarsamente dettagliato), contabilizzando tutti e 4 gli impianti. La paziente ha avviato il contenzioso più che per l’impianto fallito per il comportamento scorretto del sanitario che ha taciuto l’evento avverso e ha richiesto l’intero onorario, oltretutto maggiorandolo, come se la prestazione fosse stato correttamente fornita.
Errore di gestione: mancata consegna della cartella clinica, anche alle richieste del legale della paziente, che ha impedito di individuare correttamente le pre-esistenze e, quindi, di definire con esattezza il danno iatrogeno. Non dimentichiamo, inoltre, che il fatto “noto”19 al sanitario della migrazione dell’impianto deve essere comunicato cautelativamente all’assicurazione, in quanto la comunicazione tardiva, a 2 anni di distanza dall’intervento come in questo caso, potrebbe condizionare la mancata manleva assicurativa.
Caso 6: errato trattamento implantologico, con colpevolizzazione del paziente e ulteriore richiesta economica per rimediare al fallimento
Sintesi caso: trattamento ortodontico fisso in un ragazzo per ottenere spazio protesico in presenza di agenesia degli incisivi superiori laterali 12-22. Fallimento precoce degli impianti, eseguiti quando il paziente era, oltretutto, ancora minorenne.
Errore diagnostico-terapeutico: errato posizionamento di entrambi gli impianti, eseguiti senza esame TAC preliminare in grado di confermare la biodisponibilità ossea, in un paziente minorenne, senza acquisizione di consenso informato dai genitori26.
Errore di comportamento: non è stato sottoposto nessun preventivo scritto delle terapie da eseguirsi né ortodontiche né implanto-protesiche, ma solo verbale, che non è stato poi nemmeno rispettato, perché il sanitario ha continuato durante le terapie a chiedere ulteriori compensi oltre a quanto verbalmente concordato all’inizio, facendo lievitare i costi e, oltretutto, senza emettere nessuna fattura per gli onorari già corrisposti. Alle rimostranze dei genitori per l’errato posizionamento degli impianti e per le conseguenze algiche-ascessuali, il sanitario ha incolpato il giovane del fallimento implantare riconducendolo al suo status di fumatore e, alle insistenze dei genitori, ha accettato di rieseguire il trattamento implantologico, chiedendo però ulteriori 3000 €. La mancanza di preventivo iniziale ortodontico-implantologico, l’abnorme e continua lievitazione dei costi durante le cure, la colpevolizzazione del paziente per il fallimento implantare e l’ulteriore richiesta economica hanno esasperato i genitori del paziente, spingendoli inevitabilmente al contenzioso.
Errore di gestione: il sanitario che, come sopra esposto, non ha eseguito l’indispensabile documentazione clinica e radiografica di un delicato caso ortodontico-chirurgico, oltretutto in un soggetto minorenne (mancanza di fotografie, modelli in gesso, radiografie, preventivo, consenso informato, diario clinico con tracciabilità operatori, TAC pre-implantologica, fatture), si è posto in una situazione di totale chiusura alle richieste di documentazione e alle lamentele del paziente.
Caso 7: parestesia da impianto malposizionato e assenza di comunicazione assicurativa
Sintesi caso: paziente di 73 anni, portatrice di protesi mobile scheletrata inferiore con ganci, che ha richiesto una riabilitazione protesica fissa. Il sanitario ha proposto una riabilitazione protesica fissa inferiore sulla dentatura presente, previo trattamento ortodontico al fine di distalizzare i denti presenti a sinistra, in modo da poter poi realizzare un’arcata protesica fissa con estensioni a coprire la zona dei molari. Per ottenere la distalizzazione è stato utilizzato un impianto osteo-integrabile come ancoraggio in zona 37 (e non mini-impianto ortodontico). L’impianto in zona 45 è stato malposizionato perché in contatto con la radice del premolare 44, mentre l’impianto in zona 37 ha oltrepassato nettamente il canale mandibolare, provocando la lesione del nervo alveolare inferiore con comparsa di estesa zona di anestesia della regione mentoniera.
Errore diagnostico-terapeutico: errata progettazione tecnica per utilizzo di pilastri naturali poco affidabili, inserimento non protocollare di impianti osteo-integrabili come ancoraggio ortodontico27, inadeguato posizionamento di entrambi gli impianti inseriti 45-37, il tutto in mancanza di esame TAC pre-operatorio in una situazione di atrofia ossea evidente28.
Errore di comportamento: plurimi errori di comportamento da parte del sanitario. Possono essere:
- mancanza di preventivo dei costi da sostenersi;
- mancanza di informazione sulla fattibilità critica di questo tipo di progettazione, sulle varie alternative terapeutiche e sui materiali di utilizzo e assenza di consenso informato in forma scritta;
- rassicurazione della paziente sulla sicura transitorietà della lesione neurologica;
- richiesta di compensi alla paziente con emissione di fattura relativa all’impianto in zona 45, prestazione ritenuta dal sanitario “efficace” perché la fixture si era ben integrata nella mandibola, malgrado il posizionamento a stretto contatto con la radice del dente 44;
- mancato riadattamento della protesi mobile inferiore esistente a protesi provvisoria dopo il trattamento implantologico, con i relativi disagi masticatori ed estetici che si sono aggiunti a quelli provocati dalla lesione nervosa.
Lo scatenamento del contenzioso si è verificato per un insieme di errori di comportamento del sanitario, perché la paziente, inizialmente portatrice di una protesi mobile senza però problemi funzionali, si è ritrovata con una parestesia invalidante, senza poter utilizzare la protesi mobile esistente, senza la riabilitazione protesica fissa prevista e per di più con una richiesta economica da pagare per l’impianto 45 malposizionato e funzionalmente inutilizzabile al momento della presentazione della parcella.
Errore di gestione: oltre alla mancata consegna della cartella clinica anche al legale della paziente, sia nella fase stragiudiziale sia in fase di procedimento civile, il sanitario ha peggiorato la soccombenza omettendo di avvisare la propria compagnia assicurativa29, chiamandola in causa solo nella fase di giudizio, oltre 2 anni dopo la notifica della diffida del legale della paziente. La compagnia ha pertanto negato la manleva al sanitario.
Caso 8: fallimento implantare con scarico di responsabilità tra i vari operatori intervenuti
Sintesi caso: in una struttura privata low-cost a un paziente maschio di anni 38 (con pregresso intervento otorinolaringoiatrico ai turbinati) sono stati inseriti 3 impianti superiori per vicariare le edentulie presenti, terapie per le quali sono intervenuti tre diversi operatori. Al termine del trattamento si sono verificati numerosi inconvenienti implanto-protesici (svitamento degli abutment e ripetute decementazioni delle corone protesiche), fino alla comparsa dopo 2 anni di sinusite mascellare bilaterale acuta30,31, che è stata causalmente attribuita alla penetrazione degli impianti nei seni mascellari.
È stata eseguita in ospedale la revisione dei seni mascellari con la rimozione degli impianti, a cui sono seguiti interventi di innesto osseo bilaterale a blocco (con prelievo extra-orale dall’anca) e inserimento differito di nuovi impianti.
Errore diagnostico-terapeutico: mancata valutazione pre-operatoria dell’omeostasi del seno mascellare, errato intervento implantologico con penetrazione degli impianti nei seni, imprecisa realizzazione degli abutment implantari e delle relative corone protesiche.
Errore di comportamento: mancanza di attenzione da parte dei sanitari alle rimostranze del paziente già durante le cure (assente accertamento radiografico delle problematiche verificatesi), limitandosi gli stessi a rassicurazioni, infondate, sul buon esito delle terapie eseguite.
Già durante la fase stragiudiziale vi è stato lo scarico continuo di responsabilità tra la struttura e i tre operatori intervenuti. Da un lato la struttura, malgrado contrattualmente responsabile, ha negato ogni addebito di responsabilità, riconducendo la colpa interamente ai tre collaboratori e non intervenendo nemmeno proponendo la restituzione dei compensi e dall’altro l’atteggiamento degli operatori, comunque tutti responsabili – seppur con diverso “grado” di colpa – che si sono reciprocamente accusati (l’uno per non avere eseguito gli impianti, l’altro per essere solo il direttore sanitario e il terzo per avere trattato il paziente solo in alcune sedute in occasione dei rifacimenti protesici).
Il paziente ha intrapreso il contenzioso consapevole che il precoce accertamento della situazione avrebbe ridotto in modo significativo il quadro sinusitico che invece, per negligenza dei sanitari, si è protratto per ben tre anni, oltre che perché fortemente deluso sia dal fatto di essere stato sempre falsamente rassicurato sul buon esito delle terapie da sanitari che non si sono mai posti il problema di approfondire la sintomatologia da lui indicata sia dalla mancata restituzione dei compensi da parte della struttura, malgrado la necessità di rifare completamente i trattamenti.
Errore di gestione: malgrado le richieste del legale del paziente, la cartella clinica è stata consegnata incompleta e comunque priva della chiara e precisa tracciabilità degli operatori in tutte le sedute eseguite; la soccombenza della struttura e dei sanitari responsabili è stata aggravata da un lato dalla mancata adesione delle parti coinvolte al procedimento di mediazione e dall’assenza di volontà di addivenire a una conciliazione nel successivo procedimento di ATP ex art. 696-bis promosso dal paziente e dall’altro dalla mancanza di copertura assicurativa da parte del sanitario implantologo (maggiore responsabile).
Caso 9: errato trattamento ortodontico con allineatori trasparenti e denuncia penale
Sintesi caso: il paziente (anni 23) ha chiesto al sanitario un trattamento ortodontico estetico per rimediare a un lieve affollamento dei 2 incisivi inferiori 41-31. Il sanitario ha eseguito un trattamento con allineatori trasparenti32 non brandizzati con 3 sole mascherine, ricorrendo sia a invasive tecniche di stripping interdentale sia a estesi molaggi con strumenti rotanti, che hanno portato alla necrosi pulpare dei 2 denti, con conseguente discromia e alterazione della morfologia dentale, con evidente inestetismo, e necrosi pulpare che ha reso necessarie le devitalizzazioni da parte del nuovo curante intervenuto dopo l’interruzione dei rapporti medico-paziente33.
Errore diagnostico-terapeutico: esecuzione di trattamento ortodontico con allineatori trasparenti al di fuori dei protocolli validati da precise sistematiche, con inidonea esecuzione degli stripping e dei molaggi.
Errore di comportamento: il giovane paziente si era recato dal dentista con una dentatura in ottimali condizioni (seppur con lieve affollamento inferiore) per migliorare la propria situazione clinica esclusivamente dal punto di vista estetico, mentre si è trovato al termine del trattamento, prospettato senza rischi dal sanitario, con un notevole peggioramento proprio dell’estetica e con dolori prolungati nel tempo per la negligenza e l’inerzia del sanitario, a cui è seguita sindrome ansioso-depressiva certificata dallo psichiatra e addirittura denuncia penale alla Procura della Repubblica.
Errore di gestione: trattamento eseguito in mancanza non solo di consenso informato (con particolare riferimento alle alternative terapeutiche e allo stripping), ma anche della sempre necessaria documentazione clinica e radiografica pre-intervento (modelli in gesso, fotografie e radiografie) e cartella clinica, come di norma nei trattamenti ortodontici.
Caso 10: impianto migrato nel seno mascellare eseguito senza dimostrazione dell’acquisizione del consenso informato
Sintesi caso: errato posizionamento di impianto in sede 26, con migrazione dello stesso nel seno mascellare e permanenza comunicazione oro-antrale e necessario recupero chirurgico in ambiente ospedaliero34,35.
Errore diagnostico-terapeutico: errato posizionamento dell’impianto post-estrattivo immediato in zona 26, comparsa di comunicazione oro-antrale perdurata fino alla riapertura con migrazione implantare nel seno mascellare a seguito delle manovre di protesizzazione.
Errore di comportamento: il sanitario non ha eseguito accertamenti radiografici alla comparsa della comunicazione oro-antrale lamentata dalla paziente, non l’ha prontamente inviata a un otorino per la valutazione della situazione continuando il trattamento protesico che ha peggiorato la situazione, provocando la migrazione completa dell’impianto nel seno. La paziente ha intrapreso il contenzioso consapevole che il ritardo di diagnosi ha provocato un aggravamento della situazione, con conseguenze permanenti.
Errore di gestione: il sanitario ha smarrito la cartella clinica, con accluso il modulo di consenso informato all’implantologia pre-cure sottoscritto dalla paziente. Si ricorda infatti che il dovere di informazione del paziente, oltre che presupposto indispensabile per la liceità di cura, è implicito nell’obbligo contrattuale proprio del rapporto medico-paziente.
Tale circostanza ha di fatto peggiorato e aggravato la soccombenza del sanitario nella causa giudiziaria che, oltre a essere chiamato a risarcire l’intero danno alla paziente (di manleva assicurativa), è stato condannato dal giudice a risarcire personalmente un’autonoma voce di danno (non di competenza assicurativa) per lesione del diritto di autodeterminazione del paziente, per non avere potuto dimostrare di avere adeguatamente informato lo stesso non solo dei possibili rischi e complicanze dell’implantologia, ma anche e soprattutto delle alternative terapeutiche all’impianto, sicuramente possibili e indicate nel caso specifico, come da sentenza che di seguito si riporta: “… Tale orientamento è certamente condivisibile cosicché deve ritenersi che (cfr. nei termini anche Cass. Civ. Sez. III. 29-7-2004 n. 14488) il risarcimento del danno può essere riconosciuto per il solo fatto dell’inadempimento dell’obbligo di esatta informazione che il sanitario era tenuto ad adempiere: tale inadempimento dà luogo al diritto al risarcimento dei danni conseguenti a tale specifica causa che va tenuto distinto dal risarcimento dei danni legati al tipo di intervento praticato. L’attrice ha quindi diritto al risarcimento del danno per il semplice fatto che le sono stati praticati più interventi senza essere stata resa edotta delle possibili conseguenze negative degli stessi.
Operando ai fini della quantificazione con valutazione necessariamente equitativa e considerando che i postumi invalidanti residui sono, tutto sommato, di modesta entità, ritiene il Tribunale sufficiente liquidare a tal fine l’ulteriore somma di € 1000,00, già rivalutata alla data odierna…”.
Sempre più spesso nei procedimenti civili si assiste al risarcimento per inadeguato o assente consenso informato che viene posto a carico del sanitario, non essendo di manleva assicurativa.
Caso 11: decreto ingiuntivo per ottenere il saldo di trattamento dimostratosi poi fallimentare
Sintesi caso: il sanitario al termine di un trattamento globale conservativo, endodontico e protesico ha chiesto al paziente il saldo dell’onorario delle prestazioni mediante decreto ingiuntivo. Il paziente, infatti, appena conclusa la riabilitazione non aveva terminato di saldare le cure a causa del distacco per frattura dell’elemento protesico 22, a cui il medico si rifiutava di rimediare in mancanza del saldo globale, trattenendo oltretutto la corona protesica.
Errore diagnostico-terapeutico: oltre all’errore terapeutico della frattura della saldatura sottodimensionata dell’elemento 22, che ha provocato il distacco della corona protesica stessa a conclusione delle cure, in fase di contenzioso si sono evidenziati radiograficamente plurimi fallimenti endodontici con compromissione estrema degli elementi devitalizzati e conseguente necessità di rimozione dell’arcata protesica per le cure necessarie.
Errore di comportamento: il paziente, già insoddisfatto dalla lievitazione del 50% del preventivo iniziale, al momento del distacco della corona in sede 22 si è rifiutato di saldare l’onorario in mancanza del necessario intervento riparativo. Il sanitario anziché rimediare prontamente, ha trattenuto la corona protesica distaccatasi, offrendosi di rimediare gratuitamente, ma solo a seguito del saldo completo.
Il paziente, che aveva accettato il preventivo iniziale già al limite delle proprie possibilità economiche, si è trovato in grande difficoltà a causa del notevole aumento dei costi dello stesso, ma in prima ipotesi avrebbe pagato il sanitario se non fosse stato messo di fronte all’obbligo di saldo immediato, per di più per rimediare a un fallimento non certo dovuto a propria responsabilità. Il fatto che il sanitario abbia poi trattenuto la corona distaccata36 ha fatto precipitare la situazione di tensione, perché ha lasciato il paziente per vari mesi senza un dente anteriore.
Errore di gestione: il sanitario ha promosso un decreto ingiuntivo14-16 senza mai verificare la situazione radiografica del paziente e senza avvisare la propria compagnia assicurativa, considerato che era già a conoscenza delle lamentele del paziente (fatto “noto”) per perdita della corona 22 che avrebbe potuto portare a una richiesta di risarcimento. Si riporta a titolo di esempio sull’appropriazione indebita e sul “diritto di ritenzione” la Cass. Pen. Sez. II, 24 febbraio-12 giugno 2009, n. 24487, ric. Weifner e altro: “… Nella specie, la Corte ha ritenuto correttamente ravvisato il reato a carico di un dentista, il quale, avendo ottenuto il possesso della radiografia effettuata da una paziente presso una Asl, in previsione di una prestazione terapeutica, aveva rifiutato di riconsegnarla alla paziente, con la giustificazione che la consegna sarebbe potuta avvenire solo previo pagamento dell’onorario, quantificato in una somma che la controparte contestava a causa di prospettati vizi dell’intervento terapeutico…”.
Risultati e conclusioni
Dall’analisi dei casi sopra esposti è chiaramente emerso come più frequentemente all’errore diagnostico-terapeutico, più o meno significativo ed evidente, si associno errori di comportamento del sanitario e di gestione del conflitto anche con la propria compagnia assicurativa.
In particolare si sono evidenziati più frequentemente:
- abbandono del paziente e disinteresse per il danno iatrogeno provocato, spesso allo stesso neppure comunicato, senza prescrizione di tempestivi accertamenti e idonee terapie per ridurre i disagi e i sintomi;
- infondate rassicurazioni sulla transitorietà delle problematiche e sulla spontanea risoluzione delle stesse, con prolungamento eccessivo dei disagi oltre che peggioramento dei quadri patologici in atto;
- attribuzione del danno iatrogeno a complicanze;
- richiesta di ulteriori esborsi economici per rimediare al danno iatrogeno prodotto;
- tentativi di colpevolizzazione del paziente;
- distribuzione di responsabilità sui collaboratori;
- assenza di esaustiva compilazione o smarrimento della cartella clinica, unico documento in grado di comprovare lo stato anteriore del paziente oltre che l’evoluzione in ogni fase dei trattamenti (dall’assenza di privacy e di anamnesi medica, eventualmente incompleta, nonché di preventivi scritti e dettagliati, al diario clinico con la tracciabilità degli operatori, motivazioni del trattamento, problematiche verificatesi e prescrizioni conseguentemente adottate; assenza di fotografie e/o radiografie eseguite prima e durante le cure nonché dei modelli in gesso; assenza di certificati di conformità protesica);
- mancata consegna della cartella clinica al paziente (per garantire la continuità terapeutica) o all’assicurazione (per permettere adeguata gestione del contenzioso);
- preventivi inadeguati perché verbali o scritti ma non dettagliati, con mancanza degli aggiornamenti in caso di variazioni terapeutiche significative;
- consensi informati inadeguati perché verbali o, se scritti, non datati e non controfirmati dal paziente o non contestuali all’esecuzione delle cure37,38;
- fatturazione inadeguata dei trattamenti (mancanza di fatture o sotto-fatturazione, assenza di dettaglio nelle fatture e mancata corrispondenza tra quanto eseguito e quanto indicato in fattura);
- mancata restituzione dei compensi percepiti, se richiesti a tacitazione della vicenda, nelle fasi iniziali di conflitto con il paziente;
- assente comunicazione cautelativa alla propria compagnia assicurativa della conoscenza dei danni provocati in grado di portare potenzialmente a richieste risarcitorie e mancata (o non tempestiva) comunicazione alla stessa del ricevimento della diffida del legale del paziente;
- emissione di decreti ingiuntivi per ottenere il saldo dell’onorario, senza idonea documentazione clinica, radiografica e fiscale dei trattamenti eseguiti e senza avere valutato la situazione orale del paziente.
In conclusione, è chiaramente emerso come siano più spesso proprio l’errore comportamentale e di gestione del conflitto a inficiare il rapporto medico-paziente rispetto all’errore tecnico in sé, sia esso diagnostico o terapeutico, causa di danno iatrogeno al paziente che peraltro solitamente ha valore economico notevolmente inferiore rispetto ad altre branche specialistiche mediche. Il loro ricorrere pressoché inevitabilmente scatena il contenzioso, impedendo la conciliazione extragiudiziale e aggravando significativamente la soccombenza del sanitario nel procedimento giudiziario.
Master con lode in “Odontologia Forense” nel 2007/08 – Università di Firenze. Mediatore Professionale dal 2011 (ex D.M. 180-2010). Professore a c. dal 2007 ad oggi – Corso di Laurea in Odontoiatria Università Milano Bicocca. Docente al Master in Odontoiatria Legale – Università Foggia dal 2012 ad oggi.
Libero professionista Monza e Sesto San Giovanni, esercita dalla laurea esclusivamente l’odontoiatria. Iscritto all’Albo Consulenti Tecnici del Giudice presso il Tribunale di Monza. Svolge attività di consulenza tecnica odontoiatrico-legale in ambito privato e come CTU per vari Tribunali.
Nell’anno 2009/2010 è stata docente presso il Corso di Perfezionamento in Odontoiatria Forense tenutosi presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca.
Dall’anno 2014 svolge attività di docenza presso alcune Scuole di Specialità dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.
Svolge attività di consulenza tecnica medico-legale per conto di numerosi Tribunali con incarichi in ambito di patologia forense, responsabilità professionale medica, risarcimento del danno biologico, lesioni personali.
Ricercatore confermato dell’Università Milano Bicocca (Odontostomatologia)
dal 2012, dal 2015 è Responsabile dell’US Odontostomatologia dell’Ospedale S. Gerardo di Monza.
Corrispondenza
Claudio Radice
info@studioradice.it
radiceclaudio@pec.studioradice.it
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Buongiorno.
Mi complimento per la esaustività e documentazione iconografica dell’articolo “Malpractice Odontoiatrica”. Chiedevo se fosse possibile utilizzare parte della vostra iconografia per una lezione, rigorosamente locale, da tenersi qui all’Ospedale Maggiore di Parma , riservata ad una decina di studenti.
Ovviamente riconoscendo pubblicamente la fonte (“Il Dentista Moderno”) e gli Autori
Grazie
Buongiorno Dottore,
il suo interesse e gradimento ci fa molto piacere.
Citando la fonte non dovrebbe esserci alcun problema ad utilizzare parte del materiale.
Un cordiale saluto