Lo splintaggio nel paziente che ha subito trauma dentario

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La traumatologia dentaria rappresenta un ambito particolarmente complesso all’interno della pratica clinica odontoiatrica. In primo luogo, questa non rappresenta per definizione una materia routinaria di approccio. Oltre a questo, va aggiunto che le lesioni traumatiche presentano una importante eterogeneità. Pertanto, è assolutamente fondamentale per il clinico agire tramite l’applicazione di protocolli semplici, collaudati e scientificamente provati.

Tipicamente, una delle metodiche impiegate nel trattamento dei traumi a carico del legamento parodontale prevede la temporanea solidarizzazione dell’elemento/i traumatizzato/i a quelli adiacenti mediante splintaggio. Nel corso degli anni, si è dibattuto ampiamente sui materiali e soprattutto sul grado di rigidità idonei per uno splintaggio. Questo con il fine di prevenire alcune complicanze tardive che possono interessare il dente traumatizzato, quali ad esempio la necrosi a carico del tessuto pulpare o quella delle cellule del legamento parodontale, che può predisporre ad anchilosi.

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Sin dalle indicazioni originali di Andreasen (1972), lo splintaggio dovrebbe idealmente:

  1. permettere al legamento parodontale di riformarsi, proteggendo anche il dente da ulteriori traumi
  2. essere facilmente rimovibile senza arrecare ulteriore danno
  3. stabilizzare il dente nella posizione originaria per tutto il periodo del trattamento
  4. permettere una minima mobilità che favorisca le cellule del legamento in via di riparo
  5. non irritare i tessuti molli
  6. non ostacolare le verifiche della vitalità e l’eventuale accesso endodontico
  7. permettere un’igiene orale adeguata
  8. non interferire con i movimenti occlusali
  9. garantire un’estetica accettabile
  10. assicurare il comfort del paziente.

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Attualmente, l’Associazione Internazionale di Traumatologia Dentale raccomanda dunque l’uso di splintaggi flessibili. Inoltre, il mantenimento dello splintaggio viene sempre consigliato per un periodo limitato, che copre 2 o 4 settimane, con l’unica eccezione della frattura del 1/3 cervicale della radice, in cui si arriva fino a quattro mesi.

Analizzando dunque le tipologie di splint attualmente in uso, la prima metodica da considerare – probabilmente la più diffusa – fa uso di filo metallico e composito. Per garantire le caratteristiche di flessibilità, il filo non dovrebbe superare un diametro di 0.3-0.4 mm.

Una sorta di evoluzione di questa tecnica di base prevede l’uso di una rete di titanio, alta 2.8 mm e dello spessore di 0.2 mm, che viene fissata con l’apposizione di materiale composito.

Una più comune alternativa prevede la sostituzione con un filo ortodontico, abbinato a bracket: la metodica richiede comunque controllo accurato, al fine di evitare forze ortodontiche, particolarmente di tipo intrusivo.

Un prodotto di nuova generazione è costituito dagli splintaggi in fibra. Si tratta di splint nastriformi formati da una maglia di fibra di polietilene o Kevlar, da fissare anche in questo caso tramite metodica adesiva (può essere sufficiente un composito non riempito). Il colore (bianco o trasparente) garantisce un maggiore mimetismo.

Lo splintaggio nel paziente che ha subito trauma dentario - Ultima modifica: 2017-05-20T06:43:05+00:00 da redazione

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