Alzi la mano chi, consultando la lista mensile delle entrate e delle uscite della propria attività, è davvero in grado di stabilire a quanto ammonta il guadagno. Il calcolo, più complesso di una semplice operazione aritmetica, estrapola il ricavo analizzando ben più fattori in gioco. 

A chi esercita un’attività in proprio possono servire alcune nozioni di base dell’economia aziendale. In questo articolo si illustrano alcune elaborazioni numeriche che mostrano, per un certo periodo, l’ammontare delle entrate e delle uscite e la loro differenza, cioè il “flusso di cassa”. Se si prendono i totali di periodo, si riesce soltanto a sapere se, in un dato mese, quanto incassato a seguito di prestazioni offerte ai clienti è stato o meno sufficiente per “coprire” le uscite.
È probabile che nel modo di ragionare di chi non si intende di economia aziendale la differenza fra entrate e uscite possa essere scambiata per il “guadagno” se risulta positiva o, altrimenti, per una “perdita”. In pratica, si trasferisce all’attività il ragionamento tipico, corretto nella vita privata, del vecchio adagio che riassumeva la buona amministrazione di sé stessi: “mai spendere più di quello che si incassa”. Per la vita privata funziona, ma per un’attività non basta, perché la situazione è molto più complessa.
In primis perché ormai in molti casi si opera a credito e poi perché, per lavorare, si utilizzano beni, come immobili e attrezzature, che durano nel tempo e che si devono ricostituire e rinnovare. Basarsi anche nella gestione dell’attività sulla sola cassa può creare notevoli distorsioni rispetto al giudizio sul suo andamento.

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Il controllo degli incassi

Il primo passo è affiancare alla misura degli incassi, per esempio su base mensile, quella della “produzione”, ossia la somma dei prezzi delle prestazioni eseguite, al netto di eventuali sconti.
Il fatto che in genere si conceda credito ai clienti fa sì che parte delle prestazioni effettuate non sia pagata “alla consegna”. Il dato della produzione dovrebbe essere quello più osservato, in quanto rappresenta direttamente la quantità dei clienti e il livello medio dei prezzi praticato in ogni studio.
In un mese, quanto si incassa non dipende solo dalle prestazioni relative a quel mese, ma anche dal recupero degli incassi di prestazioni eseguite a credito in passato e perfino dalla pura aspettativa di prestazioni eseguite in futuro, grazie al fatto che sovente si verificano incassi in acconto.
Un incasso esuberante calcolato in un certo mese, pertanto, non deve essere guardato nel suo ammontare assoluto, ma va rapportato alla produzione effettivamente eseguita in quel preciso lasso temporale. Se, ad esempio, l’incasso superasse di molto i lavori eseguiti, quel mese potrebbe essere caratterizzato da una scarsa produzione, eventualità che avrebbe riverberi negativi nell’immediato futuro. Al contrario, un incasso inferiore alla produzione può dipendere dal fatto che, in quel mese, si è concesso molto credito ai pazienti. Un indice per eseguire rapidamente questo controllo consiste nel dividere l’importo incassato nel mese per la produzione relativa allo stesso periodo. L’indice normalmente dovrebbe oscillare attorno al valore 1.

Volendo essere più analitici, si dovrebbe misurare l’indice descritto riferendolo però solamente agli incassi delle prestazioni eseguite nel mese, escludendo i recuperi di incassi del credito concesso nei mesi precedenti e gli acconti per future prestazioni. Tale indice segnala direttamente la capacità di farsi pagare velocemente, e se fosse di molto inferiore a 1 significa che si è concesso molto credito ai pazienti.

Il calcolo del “conto economico”

In analogia con l’analisi relativa alle entrate, anche quella delle uscite va associata a un concetto aziendalistico, ossia quello di “costo”. Gli studiosi di economia aziendale chiariscono bene come l’uscita di denaro in quanto tale non rappresenti il “costo”, ma ne sia soltanto un riflesso. Se si è in grado di afferrare questa differenza e a farsi un’idea veritiera del costo sostenuto in un periodo preciso, per esempio nell’arco di un mese, si potrà effettuare il calcolo noto come “conto economico”: si toglie al valore della produzione mensile, che la dottrina ragionieristica chiama “ricavo”, quello del relativo costo, cioè quello che è servito per eseguire quella produzione. Se la differenza sarà positiva, significa che il ricavo è più grande del costo e dunque sarà stato realizzato un vero guadagno, creando nuova ricchezza per sé e per il futuro dell’attività. Altrimenti, se la differenza fosse negativa, cioè i costi del periodo superano i suoi ricavi, si sarà subita una perdita.

Uscita o costo?

Mentre un’uscita non sempre è collegata alla produzione di un periodo, il costo, per definizione, è tale proprio perché si colloca, in quel periodo, al servizio esclusivo della produzione realizzata. Le uscite del mese, o di periodi più lunghi, possono servire per pagare il prezzo di acquisti di beni e servizi che sono già stati utilizzati per eseguire altre prestazioni in passato, oppure per quelle future. L’uscita è una mera manifestazione monetaria, che deriva sempre da un costo, ma non lo rappresenta del tutto. I beni e servizi che servono per operare diventano costi soltanto nel momento in cui sono utilizzati: o perché, come nel caso dei materiali odontoiatrici, sono consumati fisicamente, o perché “maturano” in base allo scorrere del tempo: si pensi agli affitti, ai leasing, agli stipendi.

Mentre nel caso dei materiali la coincidenza dell’uscita con il sorgere del costo si può tranquillamente escludere, per gli altri costi indicati, quelli legati al tempo, ci può anche essere coincidenza con l’uscita, ma dal punto di vista della misurazione aziendale quel costo (l’affitto, lo stipendio), deve essere comunque associato alla produzione del periodo a cui si riferisce, anche se non fosse stato ancora pagato. Per quanto riguarda i materiali, in particolare, se si vuole disporre di una vera misura del loro costo in relazione alle prestazioni effettuate, la regola di registrarne il reale consumo non trova scorciatoie. Ad esempio, considerare come costo dei materiali gli importi delle fatture di acquisto darà una misura che, nella grandissima maggioranza dei casi, sarà inesatta. La fase finale della misurazione dei costi è facoltativa, ma può essere di grande aiuto in vari frangenti, ad esempio quando si stabiliscono i prezzi da chiedere per le varie cure.
Si tratta di assegnare i costi ai vari tipi di prestazioni effettuate, in modo da sapere quanto è costato eseguire, ad esempio, le prestazioni di conservativa piuttosto che quelle di protesi.
Tale operazione, nell’economia aziendale, prende il nome di “analisi dei costi”. In questa assegnazione, di solito non si incontrano difficoltà nel collegare i vari materiali al tipo di prestazioni cui servono, mentre per i costi che maturano con il tempo si deve utilizzare una ripartizione arbitraria, ma ciò non deve indurre a ritenerla poco significativa o veritiera, associando quei costi ai vari tipi di prestazioni, secondo criteri che devono tenere conto della loro rispettiva capacità di sopportare il volume di costi loro assegnato. Avrà dunque poco senso assegnare lo stesso volume di costi a prestazioni che hanno un ben diverso volume di ricavo, solamente perché nel mese, o nell’anno, lo studio vi ha dedicato la stessa quantità di tempo.

 

 

Il conto economico dello Studio - Ultima modifica: 2023-06-19T15:51:28+00:00 da K4
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