Nell’ambito dei restauri in materiale ceramico, siano essi metallo-ceramiche o ceramiche multi-strato, il chipping (cioè lo scheggiarsi) della porcellana rappresenta la complicanza principale. Le fratture cosiddette “catastrofiche” sono eventi fortunatamente molto rari: secondo Sailer 2015, si tratta di una complicanza contemplata a 5 anni nel 2.3% dei casi di corona singola in vetroceramica. Peraltro è difficile che il danno si manifesti ex abrupto: solitamente ha inizio come crepa a livello dell’interfaccia cemento-ceramica. Al fine di studiare il comportamento di questi materiali sono messi in atto test in vitro che seguono criteri rigorosi nel riprodurre il microambiente orale. Secondo quanto affermato da Lodi nell’introduzione al proprio lavoro, il modello sperimentale che più si avvicina alla realtà consiste nel sottoporre il campione a uno stimolo stressogeno ciclico – dunque un fatigue test – in un ambiente umido e con temperatura e pH variabili. Queste ultime due variabili hanno difatti un ruolo nella propagazione della crepa. Tali requisiti non sarebbero soddisfatti nei test standard meccanici fast-fracture. I dati del singolo carico risultano tuttavia utili nel determinare i parametri di fatica.
Fatigue-test: valutazione della resistenza dei materiali ceramici
L’allestimento di un fatigue test non è semplice, in quanto le indagini di questo tipo richiedono un elevato numero di campioni e l’impiego di metodologie che simulino in maniera accelerata lo stress quotidiano: i parametri stressogeni sono pertanto fissati a un’ampiezza intermedia tra quella dei test fast-fracture, più elevata, e quella della realtà clinica, più ridotta. Nello studio a cui si fa riferimento, il valore critico di frattura con il test di fatica è risultato essere 10 volte inferiore di quanto atteso per il fracture test.
Al fine di simulare ancora meglio l’ambiente stomatognatico, i campioni vengono cementati su di un substrato analogo alla dentina. Sperimentatori come Kelly hanno sviluppato un sistema di rilevazione acustica delle crepe – è proprio il caso di dire dei crack – iniziali.
Nel suo lavoro, Lodi ha sottoposto dei campioni di vetroceramica rinforzata con leucite a un test da carico compressivo monotonico o a un test ciclico di fatica. Come detto, i campioni (piastre di vetroceramica dalle dimensioni di 1.5×8.3×8.4 mm) sono stati mordenzati con acido idrofluoridrico al 10%, silanizzati e cementati con un cemento resinoso autoadesivo a un analogo della dentina, in questo caso una resina epossidica rinforzata con fibra di vetro, dello spessore di 4 mm.
L’indagine ha stabilito come le proprietà meccaniche del materiale risultino significativamente ridotte dopo 1-2 milioni di cicli. I risultati stabiliscono una differenza fra i pattern di frattura del fast-fracture test, che è risultato essere più comunemente una crepa a livello della superficie di intaglio, e quelli del fatigue test, il quale ha visto l’associazione di crepe radiali con danno da contatto (cone crack o chipping).
Riferimenti bibliografici