Evoluzione tassonomica, classificativa e diagnostica dei disordini temporomandibolari

Un altro schema classificativo meritevole di citazione è quello tuttora utilizzato dall’American Rheumatism Association36, proposto da Stegenga37 nel 1996 che, basandosi su quelle già esistenti, suddivide i DTM in: disordini articolari e non, a carattere infiammatorio e non infiammatorio. Un punto critico per lo studio dei DTM era rappresentato dalla mancanza di criteri diagnostici standardizzati che consentano di distinguere clinicamente i diversi sottotipi. Per colmare questo vuoto è stato quindi intrapreso un progetto il cui scopo è appunto quello di stabilire criteri diagnostici per la ricerca. Nel 1992, Dworkin e LeResche hanno proposto un insieme di criteri, noti come «Research Diagnostic Criteria for Temporomandibular Disorders» (RDC/TMD)38, applicabili ai DTM nel tentativo di permettere la standardizzazione e la riproducibilità delle ricerche nell’ambito delle più comuni forme di DTM intra ed extra-capsulari.

I RDC/TMD, utilizzati dai 45 istituti di ricerca internazionali membri dell’International Consortium for RDC/TMD-based Research, sono stati formalmente tradotti in 18 lingue e sono attualmente in corso processi di validazione e valutazione dell’equipollenza trans-culturale39.

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Tale sistema classificativo è di tipo biassiale in quanto risulta costituito da:

  • Asse I: consente, attraverso un questionario anamnestico e un accurato esame clinico, di classificare le diverse forme di DTM permettendo la formulazione di diagnosi somatiche (tabella 3);
  • asse II: permette di valutare la compromissione psico-sociale del paziente dovuta all’esperienza del dolore valutando il grado di intensità del dolore, il grado di disabilità legato al dolore, la tendenza alla depressione e la presenza di sintomi fisici aspecifici.

Il sistema diagnostico proposto dall’Asse I è di tipo non gerarchico e all’interno di ogni gruppo le diagnosi sono mutuamente esclusive. Questo sistema consente, inoltre, la formulazione di diagnosi multiple40 in quanto a ogni soggetto possono essere assegnate da zero a cinque diagnosi. Infatti, per ciascun paziente è possibile formulare una diagnosi di gruppo I in associazione a una diagnosi di gruppo II e una di gruppo III, quest’ultime per entrambe le ATM. Tuttavia, i casi in cui vengono assegnate più di tre diagnosi sono estremamente rari.

Conclusioni

Jean-Martin Charcot, considerato il fondatore della moderna neurologia, sosteneva che « […] per imparare a trattare una patologia la prima cosa da fare è imparare a riconoscerla. La diagnosi è l’asso nella manica di ogni schema di trattamento […]». L’universalità di un linguaggio largamente accettato dai clinici, anche di campi medici differenti, è alla base della comunicazione tra specialisti, elemento indispensabile per la corretta gestione dei pazienti con patologie eterogenee come i DTM. Tali pazienti necessitano, infatti, di un inquadramento multidisciplinare che preveda la collaborazione con specialisti di altre branche sia odontoiatriche sia mediche10.

Nel corso degli ultimi decenni, numerosi autori2,11,17,19,30-33,35,37,38 hanno cercato di introdurre termini tassonomici e conseguenti criteri diagnostici, clinici e classificativi sempre più adeguati per definire tutte le patologie dell’apparato stomatognatico non odontogene. Tale evoluzione, accompagnata dall’aumentata comprensione di tali patologie, ha prodotto, da un lato, accesi dibattiti ancora irrisolti tra le diverse scuole di materia13-18,41, ma ha permesso di ottenere terminologie largamente condivise dal mondo scientifico quali per esempio il termine DTM (disordine temporomandibolare) e strumenti classificativi e diagnostici attuali molto accurati, tra cui i Research Diagnostic Criteria for Temporomandibular Disorder (RDC\TMD).

Quest’ultimi, nati dall’esigenza di standardizzare i diversi criteri diagnostici e di fornire parametri che possano essere impiegati a fini scientifici e di ricerca, costituiscono, attualmente, lo strumento più accreditato per l’ottenimento di diagnosi cliniche valide e affidabili. I risultati di numerosi studi presenti in letteratura42-45 hanno evidenziato, infatti, un’elevata affidabilità inter-operatore dei RDC/TMD, sia per quanto concerne la ripetibilità dei quesiti anamnestici e clinici sia per la formulazione delle diagnosi, indipendentemente dal grado di abilità ed esperienza degli operatori, previo un accurato programma per impararne l’impiego, nonché di sessioni di retraining e ricalibrazione periodica46,47.

Corrispondenza
dott.ssa Irene Andriuolo
Via Valdera P, 109
56038 Ponsacco (PI)

Evoluzione tassonomica, classificativa e diagnostica dei disordini temporomandibolari - Ultima modifica: 2009-11-19T12:39:12+00:00 da Redazione

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