Evoluzione tassonomica, classificativa e diagnostica dei disordini temporomandibolari

Materiali e metodi

La stesura del presente lavoro è stata effettuata previa revisione critica della letteratura accreditata internazionale dal 1934 al 2008. A tale proposito sono state effettuate ricerche tramite PubMed mediante l’impiego delle seguenti parole chiave: temporo mandibular joint, temporo mandibular disorder (TMD), muscle disorders, occlusal disorders, clinical diagnostic critreria for TMD, cranio mandibular disorder, oral facial pain, oral facial syndrome, disc derangement.

Pubblicità

Sono inoltre stati utilizzati gli operatori booleani «AND» e «OR» per rendere più efficace la strategia di ricerca.

La complessità del sistema stomatognatico ha posto la ricerca di fronte a limiti epidemiologici, classificativi e, conseguentemente, diagnostici.

Revisione della letteratura

La prima identificazione dei disordini temporo-mandibolari risale intorno agli anni Venti-Trenta del secolo scorso, a opera di Wright e Goodfriend; si deve però attribuire a Costen, un otorinolaringoiatra, il merito di aver dato un impulso al mondo scientifico verso lo studio di tali patologie. Nel 1934, Costen19-26 ha descritto una sindrome caratterizzata da alterazioni uditive, rigidità mandibolare, tinnitus, vertigini e cefalea, riconoscendo quindi un gruppo di segni e sintomi legati causalmente al dolore facciale.

Il termine «sindrome», dal greco cioè «che agiscono simultaneamente», indica un insieme di sintomi e segni clinici che si manifestano contemporaneamente e che costituiscono il quadro tipico di una malattia la cui eziologia non è stata ancora individuata. Costen, tuttavia, ha cercato anche di identificare i potenziali agenti eziologici, attribuendo un ruolo primario alla perdita dei denti posteriori, assegnando alla malocclusione e al digrignamento un ruolo come fattori di rischio. Negli anni successivi, altri autori hanno descritto un gruppo di sintomi analoghi a quelli esaminati in precedenza da Costen raccogliendoli sotto l’unico termine di «sindromi auricolo-temporali»27 da Goatcher nel 1954 e, successivamente, «TMJ dysfunction syndrome» da Shore28 nel 1959.

Quest’ultima denominazione, in particolare, racchiude in sé due importanti concetti, in quanto a quello di «sindrome» si aggiunge quello di «disfunzione» che consente di sottolineare l’alterata funzionalità dell’ATM. Nel 1962, Ramfjord e Ash29 hanno coniato il termine di «alterazione dell’articolazione temporo-mandibolare», proponendo una prima suddivisione delle patologie articolari in due gruppi:

  • artriti acute traumatiche/spasmo muscolare;
  • artriti croniche/spasmi muscolari ricorrenti.

Al primo gruppo appartengono condizioni caratterizzate da un esordio con dolore acuto, intenso all’ATM e da un’evoluzione verso la cronicizzazione della sintomatologia algica (dolore ottuso, sordo). Queste patologie sono frequentemente associate a trisma e deviazioni in apertura. Il secondo gruppo di disordini è caratterizzato da una graduale insorgenza ed è accompagnato da dolore cronico unilaterale e limitazione dei movimenti mandibolari, con possibile presenza di segni quali deviazione verso il lato affetto, click e crepitio.

Negli anni successivi, si sono susseguite numerose definizioni, al fine di raccogliere sotto un unico termine questo gruppo di patologie: Voss28 parla di «sindrome algico-disfunzionale» (1964), Laskin13 di «sindrome dolorosa da disfunzione miofasciale» (1969), Graber30 di «mioartropatia dell’ATM» (1971), Gerber31 di «disturbo occlusomandibolare» (1971), Farrar32 di «disturbo interno» o «disfunzione discale» (1972) e Okeson33,34 di «disturbi occluso-mandibolari» (1989). Oggi, il termine più utilizzato dalla comunità scientifica internazionale è quello di «disordini temporo-mandibolari» (DTM)34 proposto da Bell nel 1990; questo termine non include soltanto le problematiche legate all’articolazione temporo-mandibolare ma anche tutti i disturbi funzionali dell’apparato masticatorio.

Nel corso degli anni sono state presentate numerose proposte classificative caratterizzate, accanto ai vantaggi ipotizzati dagli ideatori, anche da svantaggi che ne hanno limitato la diffusione. L’organizzazione di tali classificazioni è estremamente variabile, tanto che i diversi disordini temporo-mandibolari sono stati suddivisi in base a fattori eziologici, a segni e sintomi comuni, alla concomitante presenza di patologie sistemiche o a una combinazione di tali fattori a seconda delle classificazioni.

Una prima valida classificazione fu proposta da Weinmann e Sicher11 che, nel 1951, suddivisero i disordini temporomandibolari in:

  • carenze vitaminiche;
  • disordini endocrini;
  • artriti.

Nel 1956, Schwarz ha suggerito una distinzione tra i disturbi dell’articolazione temporo-mandibolare e quelli sistemici. Successivamente, altri autori hanno tentato di distinguere i DTM in categorie più ristrette. Nel 1960, Bell suddivise i DTM in disordini intra-capsulari, capsulari ed extra-capsulari. Nel 1986 lo stesso autore35 ha proposto un altro sistema classificativo, adottato con poche modifiche dall’American Dental Association, che ha acquisito nel tempo la fama di guida per orientare il clinico verso una corretta diagnosi.

In tale classificazione, i DTM sono ripartiti in quattro grandi categorie:

  • patologie dei muscoli masticatori;
  • patologie dell’articolazione temporo-mandibolare;
  • ipomobilità mandibolare cronica;
  • patologie dell’accrescimento.

Tale schema classificativo segue largamente il modello medico ortopedico, basandosi su quattro criteri di base per la diagnosi clinica dei DTM: dolore alla masticazione, limitazione dei movimenti mandibolari, interferenze articolari durante la funzione e malocclusione acuta. A tale proposito, Bell capovolge le teorie tradizionali considerando la malocclusione acuta un effetto del processo patologico anziché un evento causale dello stesso (tabella 1).

Negli ultimi anni, la classificazione che ha raggiunto la maggior diffusione e credito scientifico è quella dell’American Academy of Orofacial Pain (AAOP), del 1996 (tabella 2), che si presenta come un’integrazione dei precedenti schemi classificativi dell’AAOP con la classificazione dell’International Headache Society (IHS).

Evoluzione tassonomica, classificativa e diagnostica dei disordini temporomandibolari - Ultima modifica: 2009-11-19T12:39:12+00:00 da Redazione

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome