L’argomento qui affrontato costituisce senza dubbio una problematica tra le più temute da chi si occupa di endodonzia. Posto che la gravità della condizione è variabile, non si potrà certo affermare che si tratta di un fenomeno infrequente.
Questo processo di deposizione di tessuto calcifico viene operato da cellule facenti parte, dal punto di vista istologico, dell’organo della polpa. Questo materiale duro porta alla graduale obliterazione dello spazio canalare, parzialmente o completamente.
Un primo distinguo è ovviamente legato alla posizione della calcificazione: questa potrà interessare il terzo coronale o i rimanenti due terzi. Potranno variamente estendersi a diverse aree del tessuto pulpare, finanche obliterandolo del tutto. È interessante come la progressione tenda a seguire una direzione corono-apicale.
Le possibili cause scatenanti di tale processo possono essere molteplici: secondo il Manuale redatto dalla Società Italiana di Endodonzia, possono derivare da eventi traumatici a carico dell’elemento, incappucciamento, patologie parodontali, usura, processi cariosi o, infine, da terapie canalari incongrue. La più frequente tra quelle appena citate è senza dubbio il fattore traumatico che, oltre ad un evento propriamente definibile come “trauma”, può intendersi come una forte trazione ortodontica o come la conseguenza di un importante intervento chirurgico.
Sempre secondo le classificazioni accettate dalla SIE, le calcificazioni possono essere distinte su base morfologica: potranno essere formate da tessuti pseudotubulari, cioè dentina di reazione, o al contrario essere veri e propri calcoli di matrice amorfa; esistono anche calcificazioni cementizie. Naturalmente, l’importanza del dato nella realtà clinica è relativa, anche per quanto riguarda la fase successiva.
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L’approccio clinico alle calcificazioni canalari non è sicuramente dei più semplici. Per prima cosa, esse devono esse riconosciute. L’ausilio radiografico, in questo senso, può rappresentare un’arma a doppio taglio. Sarà perciò dirimente l’evidenza obiettiva: è fondamentale visualizzare lo stacco cromatico fra i tessuti duri, eventualmente tramite sostanze in grado di esaltare tali differenze. Detto in termini semplicistici (dato che la dentina non ha sempre lo stesso colore), una calcificazione presenterà sicuramente una colorazione che non è quella propria dei tessuti duri del dente.
La strategia terapeutica consiste idealmente nel rimuovere la calcificazione, liberando così lo spazio precedentemente occupato dal tessuto pulpare, per poi finalizzare la terapia endodontica.
Per quanto le calcificazioni costituiscano il corrispettivo intracanalare dei calcoli camerali, la loro rimozione è differente, perché prevede praticamente sempre la graduale erosione del tessuto (e non la rimozione in blocco). Fondamentale l’utilizzo delle soluzioni irriganti (ipoclorito di sodio, EDTA). L’asportazione del tessuto, a seconda del caso, può essere condotta tramite strumenti manuali, rotanti, ultrasonici o tramite tecnica combinata. Non sarà necessario, una volta liberati i tratti canalari obliterati, asportare tutto il tessuto calcifico prima di finalizzare la terapia.