Le colle di fibrina sono dei preparati a base, appunto, di fibrina arricchita dall’aggiunta di crioprecipitato, trombina, fibronectina, fattore XIII, agenti antifibrinolotici (ad esempio acido tranexamico), fattori di crescita (piastrinici, fibroblastici, epidermici). Fibrina e trombina, in particolare, sono proteine decisive della fase terminale della cascata coagulativa. Si tratta di preparati presenti in commercio sin da fine anni ’70 e indicati tutt’oggi comunemente come fattori emostatici da impiegare postoperativamente o in caso di alcune particolari condizioni (ad esempio nel paziente emofilico). Si tratta di un prodotto biocompatibile, simile alla matrice extracellulare e naturalmente biodegradabile: il processo inizia a 24 ore, l’emivita viene raggiunta a poco meno di 5 giorni e alcuni studi riportano la permanenza dell’organismo addirittura a un mese. Lo sviluppo più recente del prodotto prevede che questo sia ricavato direttamente dal plasma del paziente, sul modello del platelet-rich plasma (PRP) e utilizzato come scaffold nell’ingegneria tissutale. Rispetto ai prodotti del commercio, la colla di fibrina autologa è ulteriormente tollerabile, impiegabile e persino economicamente favorevole. Analizzando la colla di fibrina arricchita Thorne osservò come, rispetto allo stesso PRP, il contenuto in fibrinogeno e fattori di crescita (PDGF) fosse rispettivamente 12 e 8 volte superiore.
In ambito italiano, già nel 1987 Pini Prato incluse la colla di fibrina tra le opzioni emostatiche alternative alla sutura in ambito parodontale; i vantaggi clinici riportati consistono nella riduzione dei tempi operativi e nella riduzione del rischio di ematoma.
Colle di fibrina come scaffold per rigenerative ossee
È stato anticipato il fatto che la colla di fibrina sia utilizzabile come scaffold, ossia come impalcatura nelle rigenerative ossee (osteoinduzione). Secondo Giannini, la ricchezza di fattori di crescita sostiene direttamente il potenziale di guarigione dell’osso, probabilmente perché ne stimola le cellule staminali residenti. La fibrina in questo senso fa da guida alle cellule mesenchimali. Secondo Lee, mixando il prodotto al particolato osseo autologo nell’intervento di rialzo del seno mascellare, si ottengono risultati migliori rispetto al solo innesto in termini di altezza ossea e osteintegrazione degli impianti inseriti simultaneamente. La fibrina pertanto sembra indurre un effetto in fase di osteogenesi iniziale ma anche nei successivi processi di rimodellamento. In questo ambito d’uso, sembra dunque che la colla di fibrina non si presti tanto a un utilizzo esclusivo, ma che si esprima al meglio addizionata a un materiale da innesto vero e proprio. Non si fa in questo senso riferimento al solo autotrapianto (osso autologo), ma anche all’idrossiapatite e anche a sostanze più recenti, ad esempio i biovetri.