Anchilosi dentale: diagnosi e terapia

Come parzialmente anticipato nella prima parte dell’articolo, la diagnosi di anchilosi in un paziente adulto, soprattutto nel caso in cui il processo patologico si sia manifestato successivamente al termine dell’eruzione, non presuppone nella maggior parte dei casi un trattamento particolarmente complesso.

Nell’adulto, diversi Autori sostengono che il dente anchilosato non equivale necessariamente o immediatamente a un dente hopeless. L’estrazione è tipicamente l’end stage, ma l’odontoiatra potrà anche pianifiicare un mantenimento.

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Proprio perché del tutto simile a un impianto, il dente anchilotico è teoricamente candidabile a un restauro protesico fisso convenzionale. Ciò dipende però dalle condizioni della radice, la quale potrebbe essere sottoposta a una fase progredita di riassorbimento, e pertanto non si troverebbe in grado di assicurare la futuribilità del restauro. In tal caso, l’estrazione risulta essere un’opzione contemplabile.

Trattamento di anchilosi dentale nel subadulto

Più complesso è l’approccio al paziente subadulto. Un primo aspetto fondamentale consiste nel fatto che qualsiasi trattamento richiede tempistiche prolungate e uno scrupoloso monitoraggio clinico.

Nel caso in cui la problematica si presentasse in un’età molto precoce, le conseguenze possibili sarebbero maggiormente evidenti. Anche in questo caso, poi, la prognosi viene influenzata dal modello di riassorbimento radicolare evidenziato.

Una prima opzione impiegata nei casi di entità medio-grave è rappresentata dalla sublussazione-lussazione dell’elemento, che poi viene mobilizzato e portato nella sede desiderata per via ortodontica. Il successo del trattamento dipenderà dal grado di anchilosi: risulta infatti maggiormente efficace nei casi di anchilosi parziale e localizzata (“spot”).

Casi più gravi potranno richiedere l’isolamento chirurgico dell’intero segmento osseo coinvolto, da accoppiare a sua volta a recupero ortodontico (ivi comprese tecniche di osteodistrazione).

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In alcuni casi, infine, si considera come mantenere il paziente in attesa della maturità scheletrica, al fine di accompagnarlo verso una soluzione implanto-protesica. Saranno favoriti necessariamente quei pazienti che, al momento della diagnosi, si trovano già in una fase terminale della crescita. A questo scopo, reputando non predicibili le metodiche alternative, Malmgren, nel 1984, propose la coronectomia. Si tratta in sostanza di una procedura di asportazione della porzione coronale del dente – indicativamente fino a 1 mm sottogengiva – a cui segue la strumentazione del canale radicolare. L’obiettivo sarebbe la ridge preservation, ovvero il mantenimento dei diametri dell’osso alveolare in attesa della fase implantologica.

Da ultimi, i casi più complicati sono i pazienti maschi (termine crescita a 21-22 anni) che riportano anchilosi e relative complicanze di crescita in un periodo particolarmente precoce (9-10 anni). Nei casi in cui l’estrazione sia inevitabile, Autori sottolineano come l’autotrapianto costituisca un’opzione efficace e predicibile. Si tratta della sostituzione dell’elemento perduto in zona estetica con un elemento posteriore (tipicamente un secondo premolare), a condizione che la radice di questo si trovi a 2/3 dello sviluppo e l’apice sia beante. L’obiettivo ideale è dunque la sostituzione dell’elemento anchilosato con un dente che mantenga vitalità e la capacità di partecipare allo sviluppo del complesso dentoalveolare.

Anchilosi dentale: diagnosi e terapia - Ultima modifica: 2017-06-02T07:53:36+00:00 da redazione

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