Come classificare i difetti perimplantari

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Con tassi di successo superiori al 90% nelle diverse metodiche operative, l’implantologia rappresenta oramai da diversi anni il gold standard nella riabilitazione a lungo termine delle forme di edentulismo, parziale o completo. Negli ultimi anni, tuttavia, si è affacciata nell’ambito clinico la problematica delle perimplantiti, ovvero di forme di patologia, a carattere tipicamente cronico-degenerativo, che possono condurre alla perdita progressiva del supporto osseo dell’impianto. La problematica è stata ampiamente affrontata, in primo luogo con la definizione del quadro e della clinica ricorrente della patologia, condizione parallelo alla malattia parodontale sul substrato implantare. A tale riguardo sono già state documentate diverse strategie terapeutiche, molte delle quali sono degli adattamenti di trattamenti parodontali. In questo senso, il dibattito è ancora in corso e i protocolli disponibili in Letteratura sono vari.

In maniera analoga, si riconoscono molteplici criteri classificativi dei difetti perimplantari (non delle perimplantiti). Queste classificazioni, variamente impiegate nella ricerca, hanno anche potenzialità cliniche nella valutazione diagnostica e prognostica.

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Classificazione dei difetti perimplantari

Nel 2008 Schwarz propone una classificazione volutamente semplificata, che non richiede interpretazione clinica né radiografica, ma che si basa in maniera esclusiva sull’aspetto del difetto osseo. Esso viene definito in classe I se intraosseo e in classe II nel caso di difetto sopra-alveolare (in cresta).

Diversi anni prima, Spiekermann aveva proposto una classificazione a 5 variabili, basata al contrario proprio sulla forma del difetto: I orizzontale, II hey-shaped, IIIa a imbuto, IIIb gap, IV orizzontale-circolare.

Similmente, la recente classificazione di Zhang si basa sulla forma dei difetti, limitandosi però a considerarne l’aspetto radiografico (esattamente ortopantomografico): 1) difetti a coppa 2) a cuneo 3) piatti 4) sottosquadrati 5) a fessura.

Nishimura e colleghi codificarono un ulteriore modello classificativo che considerasse l’ammontare dell’osso perso sulla base della forma del difetto. Tale classificazione consta di 4 classi:

1) lieve perdita ossea orizzontale con minimo difetto perimplantare

2) moderata perdita ossea orizzontale associata a difetti verticali isolati

3) perdita ossea orizzontale da moderata ad avanzata associata ad ampi difetti circolari
4) perdita ossea orizzontale avanzata associata a difetti circonferenziali, che interessano anche la parete ossea linguale e/o vestibolare.

La principale lacuna di queste due ultime classificazioni consiste nella mancata correlazione tra aspetto del difetto perimplantare e proposta terapeutica o aspettativa prognostica.

Nel 2004 Vanden Bogaerde propose una nuova classificazione, a chiara ispirazione parodontologica. Questa, nella sua semplicità, definisce efficacemente il potenziale rigenerativo del difetto su base dicotomica:
1) difetti chiusi: caratterizzati dal mantenimento delle pareti ossee circostanti

2) difetti aperti: perdita di una o più pareti ossee.
Negli ultimi anni, al fine di implementare l’utilità clinica dell’indagine, si assiste a una tendenza a incrociare queste indicazioni con altre variabili, quali ad esempio l’aspetto della mucosa e la profondità del sondaggio perimplantari.

Come classificare i difetti perimplantari - Ultima modifica: 2017-10-04T07:44:32+00:00 da redazione

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