Sbiancamenti dentali laser assistiti con laser a diodi (810-980 nm)

Riassunto
Il sorriso è di particolare interesse per un gran numero di persone che richiedono cure odontoiatriche, e il colore dei denti riveste una notevole importanza cosmetica. I progressi nel campo hanno permesso di sviluppare delle tecniche sempre più efficaci e poco invasive per un trattamento estetico come lo sbiancamento. Lo scopo di questo lavoro è quello di dimostrare l’efficacia del laser a diodi nell’attivazione del perossido di idrogeno, abbassando i tempi di lavoro e i possibili conseguenti danni allo smalto. L’utilizzo della luce laser come attivatore del gel perossido si è dimostrata molto efficace, in quanto permette di effettuare trattamenti sbiancanti in un tempo ridotto, con risultati ripetibili, predicibili e duraturi.

 

Il sorriso e i denti di una persona sono tra i primi particolari che si notano quando si comunica con gli altri e rappresentano pertanto un biglietto da visita che contribuisce alla prima impressione che gli altri si fanno di noi. Avere un sorriso con denti bianchi e luminosi aiuta senz’altro a migliorare e a rendere più gradevole l’aspetto generale di una persona, sia di fronte a sé stessa, migliorandone l’autostima, che di fronte agli altri. Negli ultimi anni l’interesse dei pazienti nei confronti dei trattamenti sbiancanti è notevolmente aumentato grazie alla diffusione di foto sui giornali e a programmi televisivi che presentano personaggi con sorrisi impeccabili, oltre alla grande pubblicità di prodotti sbiancanti a uso domiciliare.

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CENNI STORICI 

Fin dopo la metà dell’800 molti Autori si cimentarono nella tecnica di sbiancamento utilizzando i più svariati agenti chimici per raggiungere un risultato soddisfacente. Varie publicazioni riferiscono dell’utilizzazione di acidi, perossidi e altri composti chimici per trattare le discromie dentali1. Le prime soluzioni si basavano sull’uso di perossido di idrogeno, alcool etilico, etere e, a volte, anche della corrente elettrica (Westlake, 1895). Quest’ultima miscela, chiamata Pyrazone (H2O2, etere e corrente elettrica) venne testata per la cura della fluorosi su 40 bambini tra gli 8 e 14 anni senza che si manifestassero effetti indesiderati1,2. Come spesso accade la scoperta che l’efficacia dello sbiancamento poteva protrarsi nel tempo con l’applicazione della tecnica domiciliare avvenne durante l’utilizzo di un prodotto non specifico. Il dottor Klusmier, specialista in ortodonzia, nel 1968 utilizzò il Gly-oxide, un prodotto antisettico contenente perossido di carbamide al 10%, per curare degli aspetti infiammatori provocati dai positioner a livello gengivale. Notò così che le gengive miglioravano il loro stato di salute e i denti si sbiancavano.

Nel 1976 altri Autori (Nutting e Poe) introdussero una tecnica per sbiancare i denti devitalizzati utilizzando perborato di sodio e perossido d’idrogeno al 35%. Un altro prodotto antisettico, il Proxigel contenente sempre perossido di carbamide al 10%, venne commercializzato con più successo sotto indicazione del dottor Klusmier in North Carolina e, nel 1988, anche il dottor Munro del Tennessee utilizzando un prodotto sempre a base di perossido di carbamide al 10% lo indicò come sbiancante a un commerciante che lo produsse diventando il primo sbiancante domiciliare odontoiatrico (White and Brite). Nel 1989 Haywood ed Heymann pubblicarono il primo studio sull’utilizzazione degli sbiancanti domiciliari notturni applicati con l’ausilio di tray porta gel da indossare per 7-8 ore di notte per 2-5 settimane. Era nata così la tecnica (Nightguard) di sbiancamento domiciliare3,4,22.

COLORE E DISCROMIE

L’aspetto del colore del dente dipende dalla quantità e qualità della luce riflessa ed è anche, di conseguenza, dipendente dalla luce incidente. Inoltre, ad alterare il colore del dente possono essere presenti su di esso o in esso delle sostanze cromogene che causano discromie e che portano il dente ad avere un colore alterato. Possiamo generalmente classificare le discromie in due categorie: intrinseche ed estrinseche. Le discromie intrinseche si verificano in seguito a un cambiamento a livello della composizione strutturale o dello spessore dei tessuti duri dentali. È noto che alcune malattie metaboliche e fattori sistemici possono influenzare lo sviluppo della dentizione e causare discromie come conseguenza. Le discromie estrinseche possono essere divise in due sottocategorie: composti che sono incorporati nella pellicola acquisita che producono un pigmento come risultato del loro colore di base e quelli che inducono una pigmentazione a seguito di interazioni chimiche con la superficie del dente5,6. Queste sostanze si riscontrano nella componente organica dei tessuti del dente, quindi nello smalto interprismatico e nella componente organica della dentina. Sono complessi organici contenenti doppi legami coniugati, sistemi chinonici e aromatici.

Lo sbiancamento dentale deve la sua efficacia a una reazione chimica di ossidoriduzione in cui, partendo da perossidi, vengono liberate molecole di ossigeno nascente in grado di diffondersi all’interno dei tessuti duri del dente ed eliminare i pigmenti responsabili delle discromie. Alla base di queste reazioni vi sono processi di ossidoriduzione o redox, dove l’ossigeno ossida le molecole cromogene rendendole incolore. I composti che si formano, spesso acidi carbossilici, sono incolori, molto solubili in acqua e possono facilmente diffondersi all’esterno del dente, anche grazie alla caratteristica effervescenza dell’ossigeno. Come principio attivo vengono impiegati prevalentemente il perossido d’idrogeno e il perossido di carbamide7-13. Il principale agente sbiancante impiegato in odontoiatria è il perossido d’idrogeno (H2O2) comunemente definito “acqua ossigenata”. Viene usata prevalentemente in soluzione acquosa e in percentuali mai superiori al 60%. La decomposizione del perossido d’idrogeno è tanto più veloce quanto maggiore è la sua concentrazione, motivo per il quale non è possibile avvalersi di presidi sbiancanti a elevate concentrazioni (max 45% in peso)15. Il perossido d’idrogeno nella sua reazione di dissociazione libera ossigeno e questa reazione viene favorita dal Ph acido della soluzione e dall’impiego di catalizzatori, come ad esempio una fonte di energia. L’utilizzo della luce laser è un presidio relativamente nuovo per lo sbiancamento dentale e presenta alcuni vantaggi rispetto a molti prodotti sbiancanti professionali, domiciliari o da banco.

Il trattamento può essere completato in un’unica seduta e permette di trattare anche un singolo elemento o una sua determinata parte (per esempio, pigmentazioni da tetraciclina localizzate). La scelta della lunghezza d’onda dipende dall’interazione luce-tessuto bersaglio. Il gel sbiancante, da una parte, deve assorbire la luce e il dente, dall’altra parte, dovrebbe esserne colpito il meno possibile. Perciò nei gel vengono incorporati fotoiniziatori o pigmenti in grado di assorbire la luce emessa da una data lunghezza d’onda. Questo effetto fototermico è utilizzato dai laser KTP (532 nm), a diodi (810-980 nm) e Nd:YAG (1064 nm). Gli agenti sbiancanti laser attivati penetrano più in profondità nei tessuti duri dentali, fino agli strati più superficiali della dentina, in modo da ottenere uno sbiancamento più efficace e duraturo rispetto a uno non fotoattivato, senza comunque causare alla polpa danni da stress ossidativi o termici. Infatti, se utilizzato a potenze congrue il riscaldamento della polpa è inferiore ai 5,5 °C, temperatura limite per evitare danni irreversibili al tessuto pulpare15. Per effettuare trattamenti sbiancanti si utilizza uno specifico manipolo che consente di irradiare uniformemente la superficie del dente. Scopo del presente lavoro è proporre una metodica semplice e ripetibile per lo sbiancamento con laser a diodi di denti vitali.

MATERIALI E METODI

Il protocollo clinico da noi utilizzato prevede:
• anamnesi generale e odontoiatrica;
• esame dei tessuti molli;
• esame dei tessuti duri;
• esame radiografico;
• esame fotografico e rilevazione del colore;
• consenso informato;
• preparazione iniziale.

Anamnesi generale e odontoiatrica

Con questo tipo di anamnesi si pone l’attenzione sullo stato di salute generale del paziente. Non riteniamo necessario approfondire questo argomento se non per puntualizzare l’importanza di valutare l’aspetto psicologico del paziente per evidenziare:

• aspettative eccessive riposte nelle sedute di sbiancamento (il paziente deve conoscere i limiti del trattamento);
• poca “compliance” del paziente nel sopportare i 30-45 minuti necessari a eseguire la seduta. In questi casi è consigliabile non eseguire uno sbiancamento professionale, ma ricorrere al solo trattamento domiciliare.

Questo tipo di anamnesi serve, inoltre, a individuare eventuali abitudini scorrette (eccesso di fumo e caffé o altre sostanze pigmentanti) che potrebbero compromettere il risultato finale e la durata dello sbiancamento11.

Esame dei tessuti molli

Lo sbiancamento dentale è un trattamento che si effettua solo in presenza di un parodonto sano. Per questo motivo serve valutare l’integrità dei tessuti orali e in modo più specifico dei margini gengivali per evitare che alterazioni della mucosa orale rilevate dal paziente al termine dello sbiancamento vengano imputati al trattamento stesso. Se si evidenziano recessioni gengivali è necessario valutare eventuali fenomeni di ipersensibilità che, se presenti, andranno risolti prima di effettuare lo sbiancamento11.

Esame dei tessuti duri

Lo sbiancamento è una procedura che viene sconsigliata a pazienti che presentano fratture dello smalto, carie primarie o secondarie, ipersensibilità dentale o patologia parodontale in atto. Se sono presenti patologie cariose o parodontali è necessario procedere alle terapie necessarie prima di effettuare il trattamento cosmetico di sbiancamento. È opportuno ricordare che il gel sbiancante non ha effetto su manufatti protesici e restauri diretti e indiretti. Occorre quindi informare il paziente che, se presenta restauri diretti o indiretti nei settori estetici, si dovrà procedere al loro rifacimento dopo il trattamento sbiancante15.

Esame radiografico

Possiamo avvalerci di questo tipo di esame per valutare la possibile insorgenza di sensibilità dovuta, specialmente nel paziente giovane, all’ampiezza della camera pulpare. Le radiografie endorali trovano indicazione anche nel caso di sbiancamento di elementi devitalizzati, per i quali è opportuno sincerarsi che il trattamento endodontico sia stato eseguito correttamente15.

Esame fotografico e rilevazione del colore

Serve a valutare il tipo e il grado di discromia. È indispensabile effettuarlo sia prima che dopo il trattamento sbiancante, in modo da documentare i risultati raggiunti e poterli mostrare al paziente. Si effettua registrando il colore del dente paragonato a quello proposto dalla “scala Vita” o in modo più preciso utilizzando lo spettrofotometro15.

Consenso informato

Il consenso informato vuole porre l’attenzione del paziente sul fatto che:

• eventuali restauri diretti o indiretti presenti nelle aree trattate non verranno cromaticamente modificati dallo sbiancamento;
• può manifestarsi, durante o dopo il trattamento sbiancante, una sensibilità termica transitoria la cui intensità varia in modo soggettivo;
• nonostante l’utilizzo di specifici ausili a protezione dei tessuti molli (barriere chimiche fotopolimerizzabili o diga di gomma), il gel sbiancante venuto accidentalmente a contatto con le mucose può determinare lievi causticazioni delle stesse visibili come transitorie decolorazioni reversibili in tempi che variano da poche ore a qualche giorno.

Per evitare contestazioni sotto il profilo medico-legale è bene informare il paziente dei risultati che si possono ottenere con il trattamento, che non sono sempre predicibili. Inoltre, un paziente con tinta tendente al grigio potrà modificare il croma, ma non la tinta base (più chiari, ma sempre tendenti al grigio)15.

Preparazione iniziale

È essenziale, prima di effettuare uno sbiancamento, eseguire un’accurata valutazione parodontale. Solo dopo aver proceduto a un’adeguata terapia parodontale e aver ottenuto la risoluzione della patologia si potrà procedere allo sbiancamento. Nel caso che dai parametri rilevati non emergano segni di patologia parodontale sarà comunque doveroso effettuare un trattamento di igiene dentale per eliminare placca, tartaro e pigmenti esogeni dalla superficie del dente. Si può effettuare un’ablazione meccanica o manuale per eliminare i depositi duri, un deplaquing per i depositi molli e un polishing selettivo per eliminare i pigmenti estrinseci.

SEQUENZA OPERATIVA

Per prima cosa si applica vaselina in crema per evitare che la cute perilabiale si disidrati durante la seduta. Si inserisce un apribocca in silicone, tale da proteggere labbra e guance dai prodotti sbiancanti. Vengono deterse le superfici dei denti da trattare utilizzando una coppetta da profilassi in gomma, montata su micromotore a bassi giri, con pomice micronizzata miscelata con perossido di idrogeno al 3% che sgrassa la superficie del dente facilitando la penetrazione dei radicali liberi prodotti dal gel attivato. Successivamente si asciugano denti e gengive con un getto d’aria e si applica la diga liquida fotopolimerizzabile sul margine gengivale dei denti da sbiancare, per un’altezza di 2-3 mm, aiutandosi con lo specillo in modo che le gengive siano perfettamente protette e per evitare che la diga protettiva invada la superficie coronale del dente, compromettendo così la buona riuscita del trattamento. A questo punto si applica il gel sbiancante a base di perossido di idrogeno al 35% sulle superfici dentali interessate (di solito da secondo premolare a secondo premolare) per uno spessore di 2-3 mm. Molte ditte forniscono il gel sbiancante in una pratica siringa già pronta all’uso, altre prevedono la miscelazione di due liquidi o di una polvere e un liquido; in questo caso il gel sbiancante può essere applicato mediante una spatola di Heidemann.

Si può procedere con la tecnica “double arch”, agendo sulle due arcate in contemporanea o, preferibilmente, sbiancando un’arcata per volta. Consigliamo di eseguire il solo sbiancamento dell’arcata superiore e, a distanza di una settimana, quello dell’arcata inferiore in modo da rendere il paziente maggiormente consapevole del risultato conseguito. A seconda della lunghezza d’onda del laser utilizzato è necessario variare i parametri di potenza del laser. Impostare il laser in modalità continua (CW) con potenza di 2,0 watt per il diodo 810 nm, 1,0 W per il diodo 980 nm. Mediante l’utilizzo di un manipolo defocalizzato (No contact) irradiare ogni superficie dentale per circa 30 sec, mantenendo il manipolo in movimento a una distanza di circa 1 cm15. Durante questa procedura l’operatore e il paziente devono indossare occhiali di protezione specifici per il laser a diodi utilizzato. Irradiare a denti alterni in modo che uno stesso elemento non subisca una sovraesposizione di luce laser durante l’irraggiamento del dente contiguo. L’ossigeno attivo che si libera durante le reazioni di sbiancamento non viene diretto totalmente verso la superficie del dente, ma una parte di questo viene disperso nell’ambiente esterno. A tale proposito, si consiglia di interporre tra il gel e l’ambiente una barriera rappresentata da un foglio di pellicola trasparente adagiato da un lato alla diga fotopolimerizzata, e dall’altro al versante linguale/palatale dei denti facendo attenzione a non dislocare parte del gel sulle mucose.

La barriera consente così di indirizzare la totalità di ossigeno nascente verso la superficie del dente. Dall’applicazione della pellicola si calcolano 15 min nei quali si lascia agire il gel sulle superfici dentali. Tempi di applicazione troppo lunghi o prodotti molto aggressivi possono portare a danni irreversibili dello smalto10. Terminato questo tempo rimuoviamo il tutto e controlliamo il risultato ottenuto valutando l’eventuale presenza di ipersensibilità o di lesioni a livello dei tessuti molli. Nel caso sia presente una lesione (che può andare dalla lieve discolorazione alla profonda causticazione chimica) procediamo a un’immediata idratazione del tessuto con siringa d’acqua e all’applicazione di una pomata a base di vitamina E. Allo scopo di uniformare il risultato ottenuto, il paziente prosegue il trattamento sbiancante domiciliarmente, utilizzando mascherine preformate a base di perossido di idrogeno al 10% per una settimana, al termine del quale si rivaluteranno fotograficamente i risultati15.

EFFETTI INDESIDERATI 

Possiamo suddividere gli effetti determinati dagli sbiancanti odontoiatrici in due grandi categorie20:
• effetti minori,
• effetti maggiori.

Gli effetti collaterali minori degli sbiancamenti dentali sono così suddivisi:
• ipersensibilità dentinale,
• riduzione dell’adesività delle resine composite,
• interferenze con materiali da restauro,
• irritazioni gengivali,
• sindrome algico-disfunzionale all’ATM.

Gli effetti collaterali maggiori sono così riassunti:
• tossicità sistemica acuta e cronica,
• overbleaching.

Effetti minori

Ipersensibilità dentinale
L’effetto di ipersensibilità dentinale è per lo più individuale e solitamente transitorio. Pazienti che risultino all’anamnesi positivi per ipersensibilità dovrebbero essere esclusi dai trattamenti sbiancanti e andrebbero appurate le cause del problema. Per la teoria idrodinamica il fluido dentinale si muove cambiando direzione e stimolando i barocettori che danno inizio alla depolarizzazione e fanno partire lo stimolo doloroso. Uno studio di Jorgensen e Carrol (JADA 2002) ha stabilito che su 50 pazienti il 14% ha subito un’elevata ipersensibilità scomparsa spontaneamente in circa 2 settimane. I pazienti con recessioni gengivali sono i più esposti agli effetti collaterali dello sbiancamento. Una buona protezione dei colletti scoperti dovrebbe evitare eccessive reazioni dolorose dopo il trattamento. Attenzione particolare va posta in questi pazienti agli effetti collaterali legati alle mutazioni istologiche per l’uso di soluzioni al 35% di perossido d’idrogeno, già note dalla fine degli anni Settanta, che mostrano reversibilità tra i 2 e i 3 mesi dal trattamento. Sono esclusi da questi effetti collaterali gli sbiancanti con concentrazioni basse (5-6%) usati per i trattamenti domiciliari19-21.

Riduzione dell’adesività delle resine composite
Sbiancamenti con perossido d’idrogeno al 35% riducono in modo significativo l’adesione dei compositi con un’azione inibente l’adesività, in particolare diminuendo di numero i resin tag del bonding, assottigliandoli e frammentandoli. Si rende così necessario rimandare di almeno due settimane qualsiasi restauro in materiale composito in modo da evitare problemi di tenuta del restauro stesso13,14.

Interferenze con materiali da restauro
Non tutta la letteratura è concorde nell’affermare che vi sia un’effettiva alterazione sui materiali da restauro resinosi da parte degli agenti sbiancanti. Il perossido d’idrogeno causa una diminuzione della forza tensile sulle resine “microfilled” mentre non ci sono significative variazioni sulle resine ibride e su quelle per i restauri nelle zone posteriori. Queste alterazioni si verificano con H2O2 al 34%, ma non con il perossido di carbamide al 10%. Bisogna quindi porre particolare attenzione durante gli sbiancamenti alla presenza di restauri resinosi ed evidenziare altresì la presenza di microfissurazioni su restauri in amalgama o intarsi di altra natura. Le alterazioni provocate sull’amalgama dentale, in particolare quella contenente poco stagno e rame quindi più soggetta alla corrosione, sono tempo-dipendenti e causano un aumento dell’ossidazione con conseguente corrosione per fenomeni intensi di dissoluzione metallica. Se per la corrosione viene rimossa la parte protettiva superficiale dell’amalgama si può esporre nella cavità orale la matrice argento-mercurio con conseguente assorbimento tessutale, anche se questo non eccede i limiti imposti nelle linee guida del WHO. I metacrilati a contatto con il perossido di carbamide variano il loro colore verso l’arancione quindi è sconsigliabile eseguire sbiancamenti su protesi mobili16-18.

Irritazioni gengivali
Per la sua natura caustica il perossido di idrogeno può irritare le mucose che vengono accidentalmente a contatto con il prodotto. Se durante lo sbiancamento il prodotto viene a contatto con la gengiva non adeguatamente protetta dalla diga fotopolimerizzabile, si verificherà il fenomeno per il quale temporaneamente la gengiva si colorerà di bianco. Solitamente il fenomeno dura qualche minuto e passa spontaneamente senza lasciare segni di lesione24.

Sindrome algico-disfunzionale all’ATM
Questo è un problema che può insorgere durante il trattamento sbiancante domiciliare con mascherine individuali. Normalmente le mascherine hanno uno spessore di 1-1.5 mm e, per alcuni trattamenti, vengono lasciate in sede per 6-8 ore creando naturalmente un’interferenza occlusale che potrebbe peggiorare un quadro pregresso di malocclusione. Il trattamento sbiancante nei pazienti con sindrome disfunzionale andrebbe eseguito modificando l’eventuale bite già in uso per evitare i problemi suddetti23.

Effetti Maggiori

Possibile tossicità sistemica acuta
Numerosi studi hanno evidenziato che solo una grande quantità di perossido di idrogeno ingerita accidentalmente può dare tossicità acuta. Nel caso di contatto accidentale prolungato sulle gengive (6-8 ore) si può verificare vacuolizzazione ed edema anche a basse concentrazioni (1%). L’ingestione può provocare crampi addominali con disorientamento sensoriale18,19.

Possibile tossicità sistemica cronica
Nell’uomo non è stata dimostrata una tossicità sistemica cronica, anche per un uso prolungato di collutori contenenti perossidi o perborato (fino a 3 anni), in particolare con percentuali superiori o uguali all’1.5%. L’uso di un collutorio addizionato con perossido di idrogeno, con una buona azione antimicrobica, non va comunque prolungato se non per il periodo necessario alla cura della gengivite da cui il paziente è affetto. Per quanto riguarda gli effetti citotossici, il perossido di carbamide al 10% è risultato meno citotossico dell’eugenolo che spesso rimane a contatto con i tessuti biologici per qualche settimana20.

Overbleaching
Lo sbiancamento dentale avviene attraverso il processo chimico della rottura dei doppi legami carbonio-carbonio. Se noi andiamo oltre lo sbiancamento ottimale, prolungando i tempi di esposizione del dente al gel sbiancante (20 minuti), possiamo andare incontro a un overbleaching, ossia alla formazione dei prodotti finali di un’ossidazione (H2O e CO2). A livello del dente l’overbleaching si manifesta come un aumento della porosità, fino ad arrivare alla perdita di sostanza dura, con aumento estremo della sensibilità dentinale e necessità di devitalizzazione dell’elemento stesso, considerando che la maggior parte degli sbiancamenti avviene nelle zone estetiche su denti mono o biradicolari25,26.

CASI CLINICI ESEMPLIFICATIVI 

Caso clinico 1

Si presenta alla nostra osservazione una giovane paziente di 21 anni che evidenzia un croma B3 (figura 1) in assenza di patologie parodontali, cariose o sistemiche. Dopo aver eseguito l’anamnesi, le foto pre-operatorie e la preparazione iniziale, si decide di procedere con trattamento sbiancante laser-assistito secondo il protocollo precedentemente descritto. Si procede quindi a detergere gli elementi con pomice e acqua ossigenata a dodici volumi mediante uno spazzolino montato su anello blu (figura 2). Si inserisce l’apribocca (figura 3), si isolano gli elementi dell’arcata superiore con diga liquida fotopolimerizzabile (figura 4) avendo cura di proteggere accuratamente gli spazi interprossimali, ma senza coprire i denti da sbiancare. Si applica il gel di perossido di idrogeno al 35% preparato seguendo scrupolosamente le istruzioni della casa produttrice (White-star Creation, Settimo di Pescantina, Verona) (figura 5). Si procede a irradiare a denti alterni con manipolo defocalizzato e laser a diodi 810 nm con potenza 2.0 W modalità continua e tempi di 30 secondi a elemento (figura 6).

Al termine dell’irradiazione si proteggono gli elementi con pellicola trasparente (figura 7) e si lascia agire il gel per 15/18 minuti. Successivamente si rimuove la pellicola trasparente, si aspira il gel dai denti e si rimuove la barriera fotopolimerizzabile. Il controllo fotografico eseguito al termine della seduta non evidenzia un cambiamento cromatico significativo (figura 8). Questo è in accordo con il meccanismo d’azione degli agenti sbiancanti attivati dal laser che devono avere il tempo (generalmente 48 ore) per raggiungere la dentina profonda e produrre l’effetto sbiancante. La paziente esegue per una settimana un trattamento domiciliare della sola arcata superiore mediante mascherine preformate con principio attivo perossido di idrogeno al 10% (Treswhite, Ultradent, South Jordan Utah, Usa). Nella seduta successiva (dopo 7 giorni) si decide di ripetere il trattamento dell’arcata superiore contestualmente a quello dell’arcata inferiore. Si procede quindi a detergere nuovamente gli elementi, a posizionare la barriera foto polimerizzabile, ad applicare e attivare il gel sbiancante e a posizionare la pellicola trasparente (figura 9). Dopo una settimana di trattamento domiciliare della sola arcata inferiore, si rivede la paziente e si valuta il risultato ottenuto (figura10).

Caso clinico 2

Paziente di 28 anni che evidenzia un croma A2-A1 (figure 11, 12, 13 e 14) rilevato sia con scala colorimetrica Vita, sia con mappa cromatica effettuata con spettrofotometro (Spectro Shade). L’irradiazione a denti alterni viene effettuata con laser a diodi 810 nm con manipolo da sbiancamento, fibra 600 micron, potenza 2.0 W in modalità continua (CW) e tempi di 30 secondi a elemento (figure 15 e 16), posizionando del gel sbiancante sulle superfici dentali a base di perossido di idrogeno al 35%, ricco di pigmento rosso.

 

Al termine dell’ irradiazione si proteggono gli elementi con pellicola trasparente (figura 17) e si lascia agire il gel per 15/18 minuti. L’immagine finale (figura 18) confortata dalla valutazione spettrofotometrica (figura 19) evidenzia un buon risultato post-operatorio in assenza di effetti collaterali.

Caso clinico 3

Il paziente non presenta patologie sistemiche né dento-parodontali e presenta una tinta base A2 rilevata con lo spettrofotometro (Spectro-Shade) (figure 20-23). Nonostante la tinta già molto chiara, il paziente richiedeva un trattamento sbiancante. Si è proceduto dunque all’isolamento delle labbra e delle guance con l’inserimento di un apribocca in silicone e di una diga fotopolimerizzante di protezione (figura 24). Dopo aver polimerizzato la diga si è passati al posizionamento del gel sbiancante sulle superfici dentali a base di perossido di idrogeno al 35% ricco di pigmento rosso (figura 25).

Dopo aver applicato il gel sbiancante si è proceduto con l’attivazione con un laser a diodi 810 nm, utilizzando il manipolo da sbiancamento montato su una fibra da 600 micron, seguendo i parametri: 2.0 W in CW per 30 sec a elemento (figura 26). Si lascia agire il gel per 15 minuti prima di rimuoverlo proteggendolo con pellicola trasparente (figura 27). Infine, dopo aver rimosso il gel si procede alla rimozione della diga e al controllo del colore finale con lo spettrofotometro (figure 28-31). Il risultato ottenuto appare soddisfacente. Non è stato quindi prescritto un trattamento domiciliare.

DISCUSSIONE

La crescente richiesta da parte dei pazienti di trattamenti sbiancanti ha portato negli ultimi anni a un costante sviluppo di materiali e tecniche per ottenere risultati predicibili con metodiche sicure, semplici e ripetibili. Tra queste tecniche, l’utilizzo della luce laser trova una sua collocazione ideale in quanto ci permette di ridurre i tempi operatori e quindi il rischio di overbleaching e sensibilità post-operatoria, permette all’ossigeno nascente di penetrare in profondità nello smalto e nella dentina esplicando un’azione efficace anche sulle discromie più profonde come quelle da tetraciclina15 e, infine, determina un minimo incremento di temperatura intrapulpare, quindi viene scongiurato il rischio di danni per la polpa16.

CONCLUSIONI

In base ai risultati raggiunti possiamo considerare che il trattamento sbiancante realizzato con attivazione del gel tramite luce laser diodica a 810 o 980 nanometri e applicazione di una pellicola per indirizzare tutto l’ossigeno nascente verso la superficie dentale consente di ottenere risultati efficaci, rapidi e sicuri se utilizzato correttamente secondo i protocolli indicati.

Corrispondenza
Stefano Benedicenti
Ospedale San Martino- Pad 4 – Largo R. Benzi, 10
16132 Genova
benedicenti@unige.it

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Sbiancamenti dentali laser assistiti con laser a diodi (810-980 nm) - Ultima modifica: 2011-06-01T11:51:47+00:00 da Redazione

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