Risoluzione di un caso complesso di pigmentazione da tetraciclina

1. Foto iniziale del caso. Notare le discolorazioni con striature, le LCNC e le recessioni multiple.

Riassunto
Lo scopo di questo lavoro è stato quello di ripristinare l’estetica del settore centrale dell’arcata superiore  utilizzando sei faccette in ceramica in una paziente con pigmentazioni da tetraciclina. La situazione clinica era complicata dalla presenza di lesioni cervicale non cariose, recessioni gengivali e linea del sorriso alta.  Il piano terapeutico ha avuto inizio con un lembo coronale multiplo  per la correzione chirurgica parodontale e la ricopertura radicolare. Questo primo intervento ci ha permesso di raggiungere migliori risultati estetici. Sei mesi dopo l’intervento chirurgico sono state cementate sei faccette in ceramica. Questo lavoro sottolinea  la rilevanza clinica che una corretta pianificazione  ha sul risultato finale. Solo un piano di trattamento ben organizzato e razionale ci assicurerà il successo finale.

 

Il colore dei denti naturali è dettato dai tessuti che lo compongono,ovvero lo smalto e la dentina. La dentina è senza dubbio il tessuto che ha maggior influenza. Essa è composta per circa il 79% da cristalli di idrossiapatite, per il 20% da sostanze organiche e per il 10% da acqua. La sostanza organica che la compone è responsabile della relativa opacità del dente, e il suo cambiamento nel corso della vita spiega la variazione delle proprietà ottiche del dente stesso. Infatti la dentina secondaria che continua a formarsi con il progredire dell’età è più ricca di minerali ed è di croma più intenso rispetto alla dentina primaria. Inoltre, in caso di insulto carioso o traumatico, la zona immediatamente adiacente è sede di deposizione di dentina sclerotica o terziaria, e di croma ancora più intenso della dentina secondaria. Lo smalto che ricopre la dentina è costituito per il 95% da idrossiapatite e per il 5% da sostanza organica: l’elevato contenuto di minerali, la disposizione particolare dei cristalli di idrossiapatite e il suo spessore conferiscono al dente un aspetto di leggera traslucenza ed elevato valore. Con il passare degli anni lo smalto si assottiglia lasciando trasparire la dentina sottostante: il dente diventa più tralucente, diminuisce il suo valore cromatico e aumenta l’intensità della tinta. Inoltre, la sostanza organica interprismatica è soggetta all’azione dei pigmenti esterni che, in alcuni casi, possono penetrare in profondità e legarsi alla dentina. Ecco perché il dente subisce variazioni cromatiche durante il corso della vita Le pigmentazioni possono essere ricondotte a due tipologie1:

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• pigmentazioni esterne: thè, caffè e tabacco sono i principali responsabili delle pigmentazioni esterne. Batteri cromogeni e sostanze quali la clorexidina possono altresì provocare discolorazioni peraltro facilmente eliminabili nella maggior parte dei casi con una lucidatura di superficie o con trattamenti a base di ossidanti come il perossido di idrogeno o la carbamide perossido che, legando i gruppi cromofori, li rendono solubili;
• pigmentazioni interne: rappresentano le discolorazioni propriamente dette e sono molto più difficili da trattare delle precedenti.

Possono essere:

• genetiche, come l’amelogenesi imperfetta e la dentinogenesi imperfetta;
• congenite, ovvero acquisite in età prenatale per patologie materno-fetali quali la rosolia o la sifilide;
• postnatali, ovvero la pigmentazione da invecchiamento, i traumi, le pigmentazioni iatrogene, le fluorosi, le pigmentazioni da tetraciclina.

Le pigmentazioni da invecchiamento sono legate all’usura dello smalto, al restringimento della camera pulpare con conseguente aumento della quota di dentina e alle pigmentazioni esterne. Il tutto si traduce in un ingiallimento del dente peraltro molto sensibile all’azione sbiancante degli agenti chimici. I traumi agiscono con due modalità. La prima è legata all’emorragia pulpare: lo stravaso ematico compenetra i tubuli e il ferro dell’emoglobina, legandosi prima all’ossigeno e poi a composti solforati, causando il tipico colore grigiastro. La seconda è legata alla massiva deposizione di dentina sclerotica in risposta al trauma, che spesso esita in una completa obliterazione della camera pulpare. Al colore grigiastro si sovrappone nel tempo un colore aranciato legato alla produzione di dentina. Le pigmentazione iatrogene sono legate ai materiali da otturazione coronale e canalare. Gli amalgami utilizzati negli anni passati producevano ossidi metallici all’interfaccia dente-otturazione che, penetrando nella dentina attraverso i tubuli, conferivano un colorito grigio-bluastro. I materiali da otturazione canalare, se non correttamente rimossi a fine terapia, si diffondono attraverso i tubuli dentinali conferendo al dente il colore che li contraddistingue. Le pigmentazioni da sostanze inorganiche sono difficili da trattare con i sistemi sbiancanti.

Le fluorosi sono causate da un’eccessiva assunzione di fluoro soprattutto tra il quarto mese di vita intrauterina e gli otto anni di età. Il danno si esplica direttamente sul metabolismo degli ameloblasti con la comparsa di tipiche pigmentazioni brunastre. Le pigmentazioni da tetraciclina sono legate all’assunzione di questa molecola durante il periodo dell’odontogenesi, cioè tra il quarto mese di gestazione e i 7/8 anni di età. Già nel 1958 Schwachman e coll.2 suggerirono l’ipotesi che la tetraciclina potesse attraversare la barriera placentare e legarsi ai tessuti duri in fase di mineralizzazione. La tetraciclina è un chelante degli ioni calcio ai quali si lega formando un complesso di ortofosfato di calcio-tetraciclina. Tali complessi hanno una fluorescenza e uno spettro di assorbimento della luce completamente differente dai tessuti dentari. Il colore assunto dal dente varia a seconda del tipo di tetraciclina: giallo-marrone per le cloro-tetracicline, giallo per le dimetil-cloro-tetracicline. L’esposizione alla luce porta poi all’ossidazione di questi complessi che tendono a scurirsi conferendo al dente la tipica discromia3. Generalmente possiamo riconoscere due tipologie di discromia che si differenziano nella gravità e nel trattamento:

• una leggera discolorazione omogenea gialla, priva di striature, sensibile ai trattamenti sbiancanti,
• una discolorazione più intensa ma sempre omogenea che può variare dal giallo al marrone chiaro al grigiastro e sempre sensibile ai trattamenti sbiancanti,
• una discolorazione intensa, molto satura con striature che vanno dal giallo ocra al marrone scuro, al grigio, all’indaco. Il trattamento sbiancante è inefficace e l’unica soluzione è la terapia protesica.

Il trattamento sbiancante risale all’inizio del secolo scorso,quando negli Stati Uniti venne scoperto che il fluoro contenuto nell’acqua era causa di pigmentazioni. Kane cercò di eliminarle applicando con un batuffolo una soluzione di acido cloridrico che produce una demineralizzazione dello smalto in grado di asportare per microabrasione chimica le pigmentazioni. Contemporaneamente Abbot4 utilizzò perossido di idrogeno al 37% attivato con il calore, gettando le basi per le moderne tecniche di sbiancamento che ebbero un forte impulso negli anni ’70 quando le pigmentazioni da tetraciclina cominciarono a manifestarsi e a crescere di numero. Progressivamente vennero abbandonate le alte concentrazioni di perossido di idrogeno e l’applicazione del calore per le rilevanti precauzioni da osservare e per i forti fattori di rischio per denti e tessuti molli. Ultimamente tutti i prodotti contengono un gel di perossido di idrogeno dal 20 al 37% o di perossido di carbamide. Quest’ultimo fece la sua apparizione agli inizi degli anni ’90 quando Haywood e Heymann5 propagandarono l’uso di uno sbiancante, o il perossido di carbamide o quello di urea al 10%, corrispondente al perossido di idrogeno al 3,6%, da utilizzare in mascherine trasparenti per diverse ore al giorno per un periodo di 1-2 settimane. Il perossido di carbamide è un composto di perossido di idrogeno e urea in soluzione con glicerolo stabilizzato con acido fosforico o acido citrico.

Entrando in contatto con la saliva si scompone in urea e perossido di idrogeno. Questa tecnica incontrò un considerevole successo per via della sua facilità di applicazione e per l’assenza di rischi ed è attualmente di largo impiego. Gel di perossido di idrogeno a più elevata concentrazione, mediamente del 35%, vengono utilizzati alla poltrona, previo isolamento dei tessuti molli con un gel siliconico fotopolimerizzabile e attivati da una fonte luminosa per 15-20 minuti. Indipendentemente dalle modalità di utilizzo, il perossido di idrogeno agisce attraverso le sue proprietà ossidanti una volta che la luce o il calore lo attivano. Il basso peso molecolare delle molecole di O₂ che si liberano e degli ioni HO₂ permette loro il passaggio attraverso la matrice interprismatica fino a raggiungere la giunzione amelo-dentinale e penetrare nella dentina stessa ossidando l’agente colorante. Generalizzando, si può affermare che lo sbiancamento a domicilio è indicato per modeste pigmentazioni uniformi gialle o marrone chiaro, mentre lo sbiancamento alla poltrona dovrebbe essere riservato ai casi di pigmentazione uniforme più intensa con dominanti grigie o blu. Un discorso a parte merita lo sbiancamento dei denti non vitali. La tecnica di Nutting e Po6 che utilizzava una miscela di perossido di idrogeno ad alta concentrazione e perborato di sodio riscaldata da una fonte di calore è stata abbandonata per l’incidenza significativa, 10-15%, di riassorbimenti cervicali a 5-15 anni di distanza7.

L’utilizzo di una soluzione di perossido di idrogeno al 10% e perborato di sodio o di acqua e perborato di sodio è priva di rischi e garantisce ottimi risultati a patto che la sostanza pigmentante sia di origine organica. Non sempre le tecniche di sbiancamento danno risultati soddisfacenti, soprattutto in caso di discolorazioni endodontiche da sostanze inorganiche e nei casi di pigmentazione da tetraciclina con presenza di striature. In questi casi è bene prevedere una terapia protesica che mascheri la discromia garantendo, nel contempo, la massima conservazione della struttura dentale. L’odontoiatria adesiva ha dato un grosso impulso alla produzione di ceramiche integrali in grado di mascherare con restauri parziali pigmentazioni dentinali mantenendo nel contempo una discreta traslucenza. È questo il caso delle vetroceramiche arricchite con leucite o con fluorapatite che verranno in seguito descritte.

1. Foto iniziale del caso. Notare le discolorazioni con striature, le LCNC e le recessioni multiple.
1. Foto iniziale del caso. Notare le discolorazioni con striature, le LCNC e le recessioni multiple.

Caso clinico

Giunge alla nostra osservazione una donna di 44 anni che lamenta un inestetismo legato a una spiccata decolorazione dei denti (figura 1). La richiesta della paziente era quella di risolvere il problema a livello del gruppo frontale superiore essendo questo il distretto a maggior valenza estetica. All’esame obiettivo la paziente presenta una discolorazione compatibile con l’assunzione di tetraciclina. I denti presentano una colorazione con striature in prossimità del terzo cervicale-terzo medio che vanno dal giallo al marrone scuro, al grigio blu con erosione su 11 e 21, diffuso e grave assottigliamento dello smalto su tutto il gruppo frontale superiore suggestivo per un’alterata amelogenesi. Sono presenti otturazioni in composito di III classe su 11 e 21 e una leggera mesio-rotazione del 12. Il sondaggio parodontale da 13 a 23 non evidenzia tasche, ma sono presenti recessioni vestibolari di 2 mm su 11, 21 e 22 mentre su 13 e 23 sono presenti lesioni cervicali non cariose (LCNC) rispettivamente di 4 e 3 mm.

I picchi ossei interprossimali e le papille sono perfettamente conservati. Il caso necessita quindi di un approccio terapeutico combinato parodontale e protesico mirato a risolvere le recessioni multiple associate a LCNC e a restaurare il gruppo frontale superiore con terapia protesica mininvasiva. La correzione chirurgica parodontale è stata eseguita con un lembo coronale multiplo8. Previa anestesia è stata eseguita un’incisione intrasulculare da 14 a 23 raccordate da incisioni oblique dirette verso la papilla interincisiva, centro di rotazione del nostro lembo. Lo scollamento è stato a spessore parziale fino alla base delle papille, poi a spessore totale fino alla giunzione muco-gengivale, quindi nuovamente a spessore parziale per incidere il periostio e separare il lembo dalle inserzioni muscolari. La superficie radicolare esposta dalle recessioni è stata preparata manualmente con curettes. Quindi, previa anestesia all’emipalato destro, è stata eseguita un’incisione lineare a 4 mm dall’apice delle parabole da 14 a 17. Approfondendo a spessore parziale è stato prelevato tessuto connettivale per compensare la perdita di sostanza cervicale a livello del 13. L’incisione palatale è stata suturata con punti a materassaio incrociati ancorati ai denti, mentre l’innesto è stato fissato in sede con una sutura sospesa e bloccato con due punti di sutura mesiali e distali al periostio. Dopo la disepitelizzazione delle papille si è provveduto a coronalizzare il lembo e a fissarlo in posizione mediante suture sospese.

2. La coronalizzazione del lembo una settimana dopo l’intervento.
2. La coronalizzazione del lembo una settimana dopo l’intervento.

 

A distanza di 15 giorni è comparsa una fessurazione al margine gengivale del 21 che ci ha costretto, a distanza di due mesi, a una nuova coronalizzazione del lembo limitata a questo elemento (figura 2). Dopo otto mesi dall’ultima chirurgia si è affrontata la risoluzione protesica Nel nostro caso si trattava di dare ai denti un colore naturale e gradevole e di restituire loro lo spessore di smalto originario. La nostra scelta non poteva che cadere su di un restauro protesico mininvasivo quale la faccetta in ceramica attraverso la quale è possibile un’azione di re-enameling. I materiali ceramici con i quali si possono confezionare questi manufatti sono le ceramiche feldspatiche e le vetroceramiche pressofuse. Occorre ricordare che questi manufatti richiedono una cementazione adesiva per cui le ceramiche densamente sinterizzate quali la zirconia non possono essere utilizzate perché non mordenzabili. La ceramica feldspatica è controindicata in caso di denti fortemente pigmentati perché troppo traslucente. La vetroceramica è invece un materiale ceramico policristallino ottenuto attraverso un processo controllato di nucleazione e cristallizzazione. I cristalli si formano attraverso un processo di germinazione guidata dove dimensione e numero dei cristalli vengono regolati in maniera mirata, e alla fine del processo la fase cristallina occuperà dal 50 a quasi il 100% del materiale. L’alto contenuto di cristalli garantisce un eccellente balance fra traslucenza e opacità. In questo caso abbiamo utilizzato una vetroceramica arricchita con leucite (IPS Empress, Ivoclar Vivadent, Italia), che presenta un’ottima resistenza alla flessione pari a 160 MPa, un’ampia gamma di colorazioni in diversi gradi di traslucenza e una buona mordenzabilità, utile presupposto per un’efficace adesione ai tessuti dentali9.

È inoltre un materiale che vanta un lungo follow-up clinico con elevate percentuali di sopravvivenza che vanno dal 94 al 98% di successo a 12 anni10,11. L’analisi della forma e della dimensione dei denti da restaurare non evidenziava grossolane anomalie di aspetto e posizione, per cui si decideva di non procedere con una ceratura diagnostica e di passare direttamente al confezionamento di due mascherine in silicone, una opportunamente sezionata per il controllo della riduzione dei denti e l’altra per il confezionamento delle faccette provvisorie. Quindi, previa anestesia al gruppo frontale superiore, si procedeva sotto il controllo della mascherina alla riduzione assiale dello smalto. La riduzione deve essere tale da asportare solamente il tessuto di smalto o smalto-dentinale necessario a ripristinare l’originaria anatomia del dente con gli spessori minimi garantiti dal materiale, che sono con l’utilizzo di questa vetroceramica di 0,6 mm per la superficie vestibolare e di 1,5 mm a livello incisale (figura 3). La preparazione viene effettuata con una fresa diamantata a tronco di cono con punta arrotondata. La linea di finitura cervicale è un chamfer orizzontale ottenuto previa protezione del margine gengivale con filo retrattore. La preparazione sarà sopragengivale, di modo che una volta rimosso il filo il margine della preparazione risulterà iuxtagengivale. Le superfici mesiali e distali vengono preparate fino a quando le due superfici giustapposte sono separate da uno spazio sufficiente alla penetrazione del materiale da impronta: onde non approfondirsi troppo interprossimalmente è buona norma crearsi lo spazio necessario con uno stripping.

3. La mascherina in silicone guida la rimozione di smalto fino a raggiungere gli spessori desiderati.
3. La mascherina in silicone guida la rimozione di smalto fino a raggiungere gli spessori desiderati.

 

La superficie palatale viene preparata anch’essa con un chamfer orizzontale avendo cura di non comprendere la zona del cingolo interessata dai contatti occlusali. Tutti gli angoli devono essere rigorosamente smussati per non creare mancanza sulle repliche in gesso e tensioni a livello della ceramica. Abbiamo ritenuto opportuno estendere i margini interprossimali di 11 e 21 fino a comprendere tessuto dentale sano onde evitare grossi volumi di composito sotto le faccette. Terminata la preparazione si è provveduto all’adesione dentinale immediata in quanto si visto che l’applicazione di primer e bonding (OptiBon, Kerr Corporation, California) previa mordenzatura sono più efficaci quando la dentina è appena tagliata e proteggono dalla sensibilità e dall’infiltrazione batterica durante il periodo dei provvisori12. Quindi, riempita la mascherina di silicone con resina metacrilica (Jet Kit, Lang Dental MFG, Illinois) la si posiziona in bocca attendendone l’indurimento. La reazione di polimerizzazione sviluppa calore, per cui è necessario cercare di raffreddare la resina con lo spray aria-acqua. Tolta la mascherina, si rimuovono delicatamente i provvisori e si rifilano gli eccessi a mano con un bisturi onde evitare di fratturare i sottili gusci di resina che verranno poi lucidati con l’applicazione di una glasura fotopolimerizzabile (figura 4). Dopo l’inserimento dei fili per la dislocazione dei tessuti gengivali (Ultrapak, Ultradent, Utah) (figura 5), viene rilevata un’impronta con una tecnica monofase bipasta, composta da polietere a bassa viscosità applicato sulle preparazioni (Permadyne Blu, 3M Espe, Italia) con una siringa e polietere a media viscosità nel cucchiaio (Impregum Penta, 3M Espe, Italia).

Terminata l’impronta e sciacquati abbondantemente i denti, abbiamo provveduto a fissare i provvisori con uno spot di bonding fotopolimerizzato (OptiBon, Kerr Corporation). Terminata la fase clinica, il laboratorio provvedeva a colare un modello master con gesso di tipo IV e procedeva alla ceratura delle faccette e alla loro produzione scegliendo un blocchetto di colore e traslucenza adeguati (figura 7). Una volta terminata la stratificazione della ceramica, le faccette sono pronte per essere cementate. Dopo la prova in bocca le faccette sono state mordenzate sulla superficie interna con acido fluoridrico al 10% (Porcelain Etch, Ultradent) per 90 secondi, quindi abbondantemente risciacquate e poste in una vaschetta a ultrasuoni con acqua distillata per rimuovere i residui della mordenzatura. Una volta asciugata, la faccetta viene sottoposta alla silanizzazione attraverso l’applicazione di un sottile strato di silano (Silane, Ultradent). Si devono attendere almeno cinque minuti per permettere l’evaporazione del solvente. Quindi si passa all’applicazione del bonding (OptiBon, Kerr Corporation) e di un sottile strato di composito incisale trasparente microibrido (Enamel Plus, Micerium, Italia).

7. Le faccette pressofuse prima della stratificazione della ceramica di superficie.
7. Le faccette pressofuse prima della stratificazione della ceramica di superficie.

 

La nostra scelta è caduta sui compositi per restauro e non sui cementi compositi duali in quanto questi ultimi sono di scarsa manipolabilità per via del tempo di applicazione limitato. La loro fluidità rende difficilissima la rimozione degli eccessi una volta polimerizzati e l’instabilità chimica intrinseca di questi materiali rende instabile pure il colore13. Un’unica accortezza è quella di riscaldare i compositi da restauro per aumentarne la scorrevolezza. Contemporaneamente i denti interessati sono stati isolati con la diga di gomma e puliti con pomice e coppetta da profilassi. La superficie della resina applicata dopo la preparazione viene riattivata con una fresa di carborundum14. Le faccette vengono quindi applicate alternate con una modesta pressione che faccia defluire l’eccesso di cemento. Ripetuta più volte questa operazione di pressione e rimozione degli eccessi si fotopolimerizza 120 secondi per parte. Una volta rimossa la diga si sono eseguite le operazioni di controllo occlusale15 (figure 8 e 9). Un controllo a un anno dimostra un ottimo mantenimento dei restauri e del tessuto parodontale, fatta eccezione per una modesta recidiva a carico della recessione su 23 (figura 10).

Conclusioni

Il successo clinico di casi complessi ad alta valenza estetica può essere coronato solo attraverso un’attenta pianificazione. Modelli di studio montati su articolatore sem-individuale valutazione parodontale, foto e colloquio con il paziente sono passaggi imprescindibili. Così come una buona conoscenza dei materiali da restauro rappresenta un momento fondamentale per il successo a lungo termine. Soprattutto oggi, con il progredire della tecnologia, nuovi materiali si affacciano quotidianamente sul mercato creando spesso disorientamento e mode rapidamente smentite che non giovano certo alla predicibilità e alla longevità dei nostri risultati clinici. Accade poi che il materiale più nuovo e quindi tecnologicamente più avanzato non sia il più indicato in quella situazione clinica. Capacità di scelta, attenta pianificazione e rigorosa applicazione dei protocolli rappresentano la chiave di volta per il successo nella risoluzione dei casi più complessi.

Corrispondenza
Dr. Marco Castagnola
castagnolamarco@libero.it

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Risoluzione di un caso complesso di pigmentazione da tetraciclina - Ultima modifica: 2011-07-01T16:24:35+00:00 da Redazione

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