La malattia parodontale costituisce, con la carie, la principale patologia di competenza odontoiatrica e, come questa, viene classicamente approcciata con una terapia prevalentemente locale. L’avvento della periomedicine, tuttavia, ha cambiato l’approccio riguardo alla parodontopatia, che oggi viene sempre più trattata come una condizione di tipo sistemico. Da qui, diversi autori hanno iniziato a considerare la possibilità di associare alla terapia locale l’utilizzo di immuno-modulatori e farmaci propriamente detti. Tra questi, sono stati proposti gli anti-riassorbitivi.
I bifosfonati sono tra i farmaci che l’odontoiatra conosce meglio, ma non per ragioni prescrittive, bensì per la loro associazione con una complicanza tra le più gravi della chirurgia orale, l’osteonecrosi dei mascellari. Per questo, essi costituiscono da alcuni anni un importante warning anamnestico. Un paziente – o più frequentemente una paziente – che li includa nella propria anamnesi farmacologica deve essere attentamente indagato, per quanto concerne dosi, modalità e periodo di somministrazione, e spesso dovrà essere sottoposto a profilassi preoperatoria.
I bifosfonati, somministrati per os o endovena, sono tra i principali farmaci impiegati nel trattamento dell’osteoporosi e delle patologie osteolitiche. Agiscono interferendo con l’azione degli osteoclasti, al fine di ridurre il processo del riassorbimento del tessuto osseo, a vantaggio dell’attività osteoblastica e, quindi, dell’apposizione di matrice.
Essendo la parodontite una patologia infiammatoria in grado di distruggere, in maniera estensiva, l’apparato di sostegno radicolare, osso alveolare compreso, alcuni autori hanno proposto l’impiego di bifosfonati in associazione alla terapia parodontale meccanica. Recentemente, il gruppo di Gomes Muniz si è proposto di organizzare le evidenze sull’argomento all’interno di una revisione sistematica, i cui risultati sono stati da poco pubblicati su Journal of Oral Biology and Craniofacial Research.
La ricerca ha coinvolto un totale di 5 banche dati biomediche (MEDLINE-Pubmed, Web of Science, Scopus, EMBASE e Cochrane Central Register of Controlled Trials), aggiornate a fine 2020.
Partendo da un pool di 2628 record, al netto dei duplicati, i revisori hanno selezionato 45 lavori potenzialmente rilevanti, pertanto considerati integralmente. Di questi, 13 sono stati valutati, rivelando una qualità dell’evidenza invero non elevata.
I risultati della metanalisi, comunque, inducono a mantenere un cauto interesse, soprattutto per i bifosfonati a somministrazione locale, i quali hanno indotto miglioramente significativi (non nei gruppi con soli soggetti fumatori) in termini di riduzione di PPD e guadagno di CAL e anche nella valutazione radiografica. La scelta della modalità di somministrazione pare vantaggiosa anche per quanto concerne il rischio di osteonecrosi, che comunque non è stato indicato come outcome sfavorevole in alcuno dei lavori inclusi.