Metodiche alternative nella diagnosi carie interprossimali

4c. Situazione iniziale: carie su 24 visibile clinicamente

Il riconoscimento di carie interprossimali costituisce un elemento di difficoltà nella diagnostica quotidiana in ambito odontoiatrico. Queste, in virtù della loro posizione, risultano spesso non visibili né sondabili e possono pertanto sfuggire all’esame clinico obiettivo, soprattutto nelle fasi iniziali della progressione patologica. Nel caso in cui l’odontoiatra abbia un sospetto concreto della presenza di un’infiltrazione, potrà avvalersi di un accertamento di tipo radiografico. Nel complesso, l’esame clinico radiografico garantisce alta specificità ma sensibilità più bassa nella diagnosi di carie interprossimali in fase precoce, come riportato dalle revisioni sistematiche di Gimenez e Schwendicke, entrambe del 2015. Diversi studi riportano comunque buoni risultati quando l’esame clinico viene accoppiato all’uso delle radiografie endorali di tipo bitewing, specificamente indicate nella diagnosi di lesioni di questo tipo.

Di per sé si tratta di una metodica semplice dai costi biologici relativamente contenuti: con l’ausilio del centratore rosso, è normalmente possibile osservare tutti i siti interprossimali della regione premolari-molari utilizzando un totale di 4 radiogrammi di dimensione standard.

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Ciò detto, non è sempre pensabile esporre necessariamente un paziente a un esame radiografico. Le indicazioni fornite dalla Letteratura, inoltre, suggerirebbero comunque di orientarsi su metodiche maggiormente sensibili. Sulla base di tali presupposti, sono oggi disponibili alcune metodiche alternative non radiografiche: verranno ora brevemente illustrate le principali.

Metodiche non radiografiche per l’individuazione di carie

Transilluminazione a fibra ottica (FOTI): metodica semplice e già piuttosto diffusa, si basa sull’esposizione dei tessuti duri a un raggio luminoso con una precisa lunghezza d’onda. Le aree di demineralizzazione risultano scure a causa della variazione di assorbimento e rifrazione della luce. Uno sviluppo della procedura è la cosiddetta transilluminazione digitale (DIFOTI), che prevede l’impiego di un sensore CCD, utilizzato anche in radiologia digitale, da accoppiare però a radiazione elettromagnetica a lunghezza d’onda compresa nello spettro del visibile, anziché raggi X. Il sensore cattura immagini in tempo reale dall’aspetto occlusale, linguale o vestibolare del dente. DIAGNOcam (KaVo®) è una sistematica che utilizza tale tecnologia.

Fluorescenza laser (LF): altro sistema molto conosciuto (DIAGNOdent, KaVo®), prevede l’applicazione di un laser rosso (lunghezza d’onda 655 nm). Sul tessuto sano non si osserva fluorescenza mentre quello cariato presenta fluorescenza proporzionale al grado di demineralizzazione.

Fluorescenza LED: in questo caso la luce rossa viene emessa da un diodo a fibra ottica e raccolta da un altro cavo che rileva e analizza le variazioni di rifrazione e riflessione determinate dall’eventuale presenza di carie.

Radiometria fototermica / luminescenza modulata (PTR/LUM): The Canary System® (Quantum Dental Technologies – 3M ESPE). PTR è un sistema che raccoglie le variazioni nella radiazione del corpo nero dipendenti da cambiamenti nella temperatura, mentre LUM si basa sulla variazione dell’energia assorbita.

Metodiche alternative nella diagnosi carie interprossimali - Ultima modifica: 2017-10-19T07:13:17+00:00 da redazione

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