Recentemente, l’attenzione di ANDI è stata catturata dalla nuova proposta di legge “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario” e, in particolar modo, agli articoli n° 1 e 7.
Tale norma si pone l’ambizioso compito di combattere la medicina difensiva che, secondo lo Stato, si tradurrebbe in analisi ed esami non necessari, prescritti solo per evitare possibili contenziosi, ridefinendo le regole che governano l’ambito medico, affidando al paziente l’onere della prova e riducendo il tempo di prescrizione per le cause nei confronti di medici e dentisti da 10 a 5 anni.
Una proposta importante, se non fosse che il testo in Commissione prevede la riduzione dei termini di prescrizione solamente per i convenzionati e dipendenti del SSN, escludendo del tutto i liberi professionisti.
Una norma come questa, in uno Stato in cui la professione viene esercitata per oltre il 90% in studi e strutture private, non può essere ignorata. Si verrebbe a creare infatti una disparità che il Presidente ANDI, Gianfranco Prada, ha definito assolutamente inaccettabile.
L’Associazione Nazionale Dentisti Italiani ha proposto due emendamenti al testo, che sono attualmente in discussione presso la Commissione Affari Sociali alla Camera, per far sì che non vengano create disparità tra professionisti iscritti allo stesso Albo professionale.
Di seguito riportiamo i due emendamenti proposti da ANDI.
Articolo 1
All’articolo 1, al comma 5, le parole da « erogate nell’ambito» fino a «Servizio Sanitario Nazionale (SSN) » sono soppresse.
MOTIVAZIONE
L’art. 1 della proposta di legge definisce l’atto sanitario, riferibile a ogni prestazione erogata dal medico anche in regime privatistico e riguardante tutte le attività professionali, svolte al fine di promuovere la salute, prevenire le malattie, effettuare diagnosi e prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei confronti di pazienti, individui, gruppi o comunità, nel quadro delle norme etiche e deontologiche. La limitazione dell’esecuzione dell’atto sanitario solamente a quelle prestazioni erogate in regime pubblico, in quanto contestualizzate a quelle rientranti nei LEA ed erogate nell’ambito del SSN, escluderebbe l’applicabilità della norma a quegli atti che sono erogati fuori dal contesto della sanità pubblica, determinando, da un lato, un’evidente disparità di trattamento all’interno della stessa categoria professionale degli iscritti all’Albo dei medici e degli odontoiatri, dall’altro una disfunzione tra pubblico e privato in considerazione del fatto che uno stesso professionista può trovarsi ad erogare le proprie prestazioni sia nel proprio studio privatamente sia nel pubblico in collaborazione con enti convenzionati con il SSN. In tal caso si avrebbe come conseguenza il fatto che il medesimo professionista sarebbe assoggettato a regimi di responsabilità diversa a seconda del luogo dove esegue la prestazione. Sotto tale angolo prospettico, in aderenza a quanto previsto all’art. 5 del D. Lgs. n. 30 del 2 febbraio 2006, rubricato “Dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della Legge 5 giugno 2003, n. 131”, che enuncia i principi di “dell’affidamento del pubblico e della clientela” ogni professionista pubblico e privato è obbligato a tutelare la salute umana come diritto inalienabile, individuale e collettivo, con la conseguenza che il regime della relativa responsabilità deve essere il medesimo senza distinguo di luogo o prestazione eseguibile. Quindi, l’obiettivo finale del presente emendamento è quello di eliminare qualsiasi forma di disuguaglianza di trattamento all’interno di una precisa categoria professionale e qualsiasi anomalia tra pubblico e privato.
Articolo 7
All’articolo 7, al comma 2, dopo le parole « la professione sanitaria » vengono aggiunte le seguenti «e della struttura liberoprofessionale».
MOTIVAZIONE
Il libero professionista iscritto all’Albo dei medici e degli odontoiatri esegue la propria prestazione nella propria struttura libero professionale: pertanto, determinare ex lege una dicotomia di responsabilità civile tra la struttura e il professionista non ha avrebbe alcuna ratio, laddove la struttura libero professionale coincide con il professionista che la gestisce. L’attività medica e quella odontoiatrica si inseriscono nell’ambito delle “professioni intellettuali” di cui all’art. 2229 cod. civ. qualificate come professioni “tipizzate”, che si differenziano dal lavoro di impresa proprio perché l’obbligazione è riferibile al soggetto che la esegue piuttosto che alla struttura dove questa viene erogata. L’attuale realtà sociale e giuridica ha, invero, distinto l’opera professionale e l’attività della struttura laddove la prestazione sia resa in strutture complesse, nelle quali oltre alla prestazione vengono erogati altri servizi (si pensi alle case di cura nel privato e agli ospedali nel pubblico), che divergono dall’atto sanitario vero e proprio. Per le strutture sanitarie complesse, perciò, ha una sua ragion d’essere il distinguo tra l’attività professionale, prestata dal professionista abilitato, e i servizi di supporto forniti dall’ente a titolo contrattuale (si pensi ai servizi di degenza, mensa ed infermieristici). Laddove la prestazione sanitaria è resa in uno studio libero professionale resta il fatto, sotto il profilo del regime della responsabilità civile, che non sono erogati servizi di supporto, per cui l’aspetto oggettivo (struttura) coincide con quello soggettivo (medico o odontoiatra): pertanto, non avrebbe alcuna ratio la norma che per lo stesso atto determinerebbe un doppio binario di responsabilità (ex art. 1218 e 2043 c.c.).