I restauri in materiale resinoso realizzati secondo tecnica adesiva hanno rivoluzionato il workflow in ambito conservativo e protesico e costituiscono oggi uno standard operativo in termini di biocompatibilità, estetica e approccio mininvasivo. Purtroppo anche questi materiali sono esposti a complicanze a medio-lungo termine: la principale fra queste risulta essere l’infiltrazione cariosa dell’interfaccia dente-restauro. Diversi Autori sottolineano come la recidiva di carie (le cosiddette “second caries”) rappresenti oggi a tutti gli effetti la prima motivazione – stime raggiungono addirittura il 70% – per cui un restauro in composito necessita di un reintervento, il rifacimento dell’otturazione ad esempio.
Il presupposto fondamentale all’adesione all’interfaccia consiste nella formazione del cosiddetto strato ibrido, ovvero l’interazione tra il polimero che compone la resina e le fibre collagene del tessuto duro mordenzato.
L’integrità dell’interfaccia può essere compromessa dalla combinazione di un’incompleta sigillatura adesiva – fenomeno in un certo senso “iatrogeno” che viene appunto minimizzato con la tecnica operativa – con un processo degradativo di natura biochimica. Questo secondo fenomeno è a sua volta risultato dell’assommarsi di due distinti meccanismi fondamentali, ciascuno rivolto verso una delle due componenti dello strato ibrido: (1) l’idrolisi dei componenti resinosi sia dell’adesivo che della resina catalizzata dalle esterasi salivari e batteriche e (2) la digestione delle fibre di collagene non legate al polimero (e quindi parzialmente esposte) ad opera delle metalloproteinasi di matrice (MMP) dentinali.
Meccanismi alla base della riduzione dell’adesione in restaurativa
Il primo dei due meccanismi – quello interessante i materiali resinosi – viene anche definito biodegradazione e consiste nella lisi di monomeri metacrilati, quali il BisGMA o il meno noto trietilene-glicol-dimetacrilato (TEDGMA), dotati di legami esterei esposti e aggredibili da parte di enzimi. Come anticipato, si tratta di esterasi prodotte da batteri ma anche contenute nella saliva. Tra queste ultime, alcune colesterolo esterasi (CE) e pseudocolinesterasi (PCE) hanno evidenziato un forte potenziale dannoso, anche per gli adesivi.
Per quanto riguarda invece il collagene, le peptidasi native – la matrice dentinale ne contiene almeno 5: MMP-1, 2, 3, 8 e 9 – vengono attivate nello stesso momento della preparazione all’adesione. Si tratta pertanto di enzimi ad attività intrinseca: un inibitore (Galardin) è già stato proposto nel precondizionamento dello strato ibrido dallo studio pubblicato da Breschi nel 2011 sulla rivista specialistica Dental Materials.
Per un approfondimento e un aggiornamento scientifico sull’argomento si rimanda all’articolo di Huang del 2018, pubblicato sempre su Dental Materials, il cui obiettivo era di indagare il possibile effetto modulatorio delle MMP sulle esterasi salivari attive sull’interfaccia, effetto già evidenziato dallo studio di Serkies del 2016.
Riferimenti bibliografici