La pandemia e le strategie attuate per rispondervi non sono i soli fattori che concorrono a cambiare in parte volto alla professione. Evidenze ed evoluzione clinico-tecnologica impongono, per esempio, un ridisegno dei livelli d’assistenza, che è fra i temi di dibattito delle recenti iniziative istituzionali. Intervista al professor Enrico Gherlone.
Il Tavolo tecnico istituito per volontà del Ministero per la Salute il 10 aprile del 2020 si è occupato della redazione delle linee guida per l’operatività degli odontoiatri durante i momenti più caldi della pandemia, in accordo con il Comitato tecnico scientifico. All’orizzonte ci sono adesso la revisione e l’aggiornamento delle direttive alla luce di un quadro che si presenta fortunatamente ben diverso da quello della primavera dello scorso anno. È tempo di voltare pagina e concentrarsi anche su altre e non meno urgenti istanze, com’è nelle intenzioni del Gruppo Tecnico per l’Odontoiatria attivo già dallo scorso novembre. Dei risultati raggiunti e delle prospettive a venire Il Dentista Moderno ha discusso con il Rettore dell’Università Vita-Salute San Raffaele, professor Enrico Gherlone, impegnato come coordinatore in ambedue le iniziative. Dal Covid-19, con tutto ciò che n’è conseguito, la riflessione si è spostata ai progressi della tecnologia e alla necessità di un ridisegno dei LEA.
A che punto sono, professor Gherlone, i lavori del Gruppo e quali i passaggi più importanti?
Il Tavolo, nato con un decreto del capo di gabinetto del Ministero per la Salute e concentrato, grazie alla presenza di quattro direttori generali, negli ambiti della programmazione sanitaria, delle professioni sanitarie e risorse umane, della ricerca e innovazione, dei dispositivi medicali e del servizio farmaceutico, si pone più finalità. Parte, per esempio, dalla riflessione sul fatto che i Livelli di assistenza odontoiatrici sono a oggi molto pochi e poco sostenibili da un punto di vista economico. L’odontoiatria pubblica e sociale rappresenta quindi un aspetto cruciale del lavoro che stiamo portando avanti. L’allargamento dei LEA sulla base delle evidenze e delle più recenti evoluzioni in ambito clinico, tecnologico e scientifico, è oggetto di discussione e riflessione: l’obiettivo è aumentare il numero delle prestazioni in capo al Servizio sanitario nazionale e arrivare a una miglior copertura dei costi. Auspichiamo poi che una quota dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza possa essere indirizzata a questo.
Quali altri temi si stanno affrontando e quali risultati sono stati raggiunti?
Odontoiatria sociale e aggiornamento delle raccomandazioni cliniche in odontostomatologia sono parte dei lavori del Tavolo, che in passato hanno incluso l’adeguamento alle norme dell’Unione Europea sull’uso dell’amalgama. Si è trattato del prosieguo di un progetto avviato fra 2017 e 2018, ulteriormente revisionato alla luce di nuove evidenze e inviato al Consiglio superiore di Sanità. Altre azioni sono destinate a essere studiate nel corso dell’autunno, prima che tutto possa esser sottoposto all’attenzione del sottosegretario alla Salute senatore Pierpaolo Sileri, fra gli ispiratori dell’iniziativa.
Tornando al Tavolo tecnico sul Covid-19: cosa è rimasto di quell’esperienza?
Il dato più rilevante, a testimonianza della cautela e dell’efficacia con cui ci siamo mossi, è rappresentato dalla bassissima incidenza dei contagi presso il personale di studio. Alcune misure di sicurezza, va detto, erano, o avrebbero già dovuto essere, presenti presso i professionisti a fronte dei rischi di infezione da patologie come epatite e HIV. Abbiamo agito di concerto con il CTS e con altre sigle del settore quali CAO, ANDI e AIO e le indicazioni non sono state granché diverse rispetto a quelle fornite per altre categorie della disciplina medica. Un punto per noi particolarmente delicato è dato dalla presenza di droplet, che hanno richiesto da un lato il ricorso alle maschere protettive con visiera (face shield) e dall’altro la riduzione dell’utilizzo degli strumenti rotanti. Certo, il dovere di procedere a una adeguata sanificazione dei locali ha esteso i tempi di procedura e imposto una diversa organizzazione degli appuntamenti. I pazienti hanno risposto bene, ben contenti d’essere oggetto di controlli e triage.
Al San Raffaele è stata allestita una Covid-Safe Area dove sono eseguiti test antigenici rapidi su operatori ogni 15 giorni e, in caso di sintomi sospetti, anche su pazienti; in caso di positività si procede poi a tampone molecolare. In più, i purificatori d’aria ci hanno consentito un pressoché completo abbattimento delle particelle.
Cosa è destinato invece a permanere, nella pratica quotidiana, a Suo avviso?
Oggi, innanzitutto, si ipotizza un abbassamento dell’asticella in tema di procedure di sicurezza: se è difficile immaginare un futuro senza mascherina chirurgica, più probabile è lo snellimento dei tempi di attesa e la riduzione dei distanziamenti. Il quadro è in evoluzione e ogni cambiamento va analizzato usando buon senso e valutando attentamente il quadro epidemiologico, le evidenze, la percorribilità delle misure. Il vaccino fa la differenza e fra ospedale e università, i no-vax con cui ho avuto a che fare si contano sulle dita di una mano. Per via del Covid e non solo, la sensibilità e la consapevolezza dei pazienti sembrano aumentare. Il che da una parte è certamente un bene, dall’altra pone inevitabili interrogativi.
Vuole parlarcene, professore?
La richiesta di prestazioni odontoiatriche cresce proprio perché si comprende meglio la centralità della salute dentale per il benessere dell’intero organismo. Aumenta perciò il numero delle prestazioni erogate e il totale degli operatori in grado di fornirle, ma più sono gli interventi e maggiore è la difficoltà di mantenere livelli di servizio e qualità adeguati. Aumenta anche la concorrenza ed è giusto garantirla: al contempo è però necessario vigilare perché la qualità degli interventi resti, ovunque, elevata. Né si può dimenticare l’apporto delle nuove tecnologie e della digitalizzazione, che contribuiscono ad agevolare il nostro lavoro. Tuttavia, il rischio è che si perda qualcosa in termini di esperienza pratica, sul campo: dunque, ancora una volta, di qualità. Soluzioni come i sistemi CAD-CAM sono preziose ma non sono la panacea e l’attenzione alla formazione e alle tecniche tradizionali non deve venir meno, perché anche così, con queste competenze, potremo continuare a offrire servizi eccellenti.