L’evoluzione della radioprotezione

L'evoluzione della radioprotezione

Abstract

I grembiuli, così come i collari di piombo, potrebbero appartenere al passato. L’uso della schermatura a contatto per il paziente per le applicazioni di radiologia diagnostica in genere non è più raccomandato. Oggi importanti società scientifiche di radiologia e fisica medica raccomandano che sia interrotta la prassi decennale di usare la schermatura dei pazienti durante l’esecuzione degli esami
Le nuove tecnologie di proiezione e scansione TC, come i recettori digitali e i sistemi di controllo automatico dell’esposizione, hanno ridotto le dosi e migliorato la coerenza delle immagini. Questi cambiamenti, insieme con una maggiore comprensione dei benefici e dei rischi derivanti dall’uso delle schermature, hanno portato a una revisione circa il loro uso in radiologia.
Malgrado ci sia un’incoerenza inutile e indesiderabile nella regolamentazione e nelle raccomandazioni sull’uso della schermatura in tutta Europa e che si pensi che possano esserci alcune situazioni specifiche ed eccezioni in cui essa possa essere ancora giustificata, come in caso di pazienti pediatrici in cui il particolare percorso di cura richieda un ingente numero di esami ripetuti nel tempo, sono molte le società scientifiche che hanno sollevato preoccupazioni in merito all’utilità e all’efficacia di tale presidio. Queste oggi invitano ad abbandonare tale rituale durante gli esami di imaging, sostenendo che si tratta di una misura che può compromettere la qualità dei test diagnostici e talvolta aumentare l’esposizione alle radiazioni. Il dietrofront ha lo scopo di bilanciare meglio i rischi- benefici, ma richiederà un grande sforzo per rassicurare le autorità di regolamentazione, gli operatori sanitari e il pubblico circa l’inopportunità di tale prassi.

The evolution of radiation protection 

Like lead collars, aprons might soon be a thing of the past. Contact shielding for patients in diagnostic radiology applications is generally no longer recommended. Today, major scientific societies in radiology and medical physics recommend discontinuing the decades-old practice of using patient shielding during examinations.
New projection and CT scanning technologies, such as digital receptors and automatic exposure control systems, have reduced doses and improved image consistency. These changes, along with a better understanding of the benefits and risks of using shields, have led to a reassessment of their use in radiology. Despite the unnecessary and undesirable inconsistency in regulations and recommendations regarding the use of shielding across Europe, and acknowledging that there may be some specific situations and exceptions where shielding might still be justified, such as in pediatric patients requiring a significant number of repeated exams over time, many scientific societies have raised concerns about the utility and effectiveness of such measures. These societies now advocate abandoning this practice during imaging exams, arguing that it can compromise the quality of diagnostic tests and sometimes increase radiation exposure. The reversal aims to balance the risks and benefits better. Still, it will require significant effort to reassure regulatory authorities, healthcare professionals, and the public about the inappropriateness of this practice.

L’evoluzione della radioprotezione
- Ultima modifica: 2024-09-02T12:54:54+00:00
da K4

Oggi importanti società scientifiche di radiologia e fisica medica raccomandano che sia interrotta la prassi decennale di ricorrere alla schermatura dei pazienti durante l’esecuzione degli esami di radiologia diagnostica. Le nuove tecnologie di proiezione e scansione TC, così come i recettori digitali e i sistemi di controllo automatico dell’esposizione, hanno ridotto le dosi e migliorato la coerenza delle immagini. Questi cambiamenti, uniti a una maggiore comprensione di benefici e rischi derivanti dall’uso delle schermature, hanno portato a una revisione circa il loro uso in radiologia.

La scoperta dei Raggi X fu un evento casuale

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Wilhelm Conrad Röntgen

L’8 novembre 1895, nel corso dei suoi studi, Wilhelm Conrad Röntgen, nel tentativo di “oscurare” la luminescenza indotta dal fascio di raggi catodici all’interno di un tubo catodico (tubo di Crookes) in cui era stato prodotto il vuoto e generata un’alta differenza di potenziale tra due elettrodi in esso contenuti, ricoprì il tubo con un sottile cartone nero e notò una debole emissione luminosa proveniente da un piccolo schermo fluorescente di platinocianuro di bario, che per caso si trovava a una certa distanza. Notò anche che, interponendo la propria mano tra il tubo e lo schermo fluorescente, compariva su quest’ultimo l’ombra delle proprie ossa, dimostrazione del fatto che qualcosa di sconosciuto, avente origine nel tubo, era in grado di attraversare il cartone opaco o una cassetta di legno o la mano e produrre fluorescenza sullo schermo: i raggi X. I raggi X appartengono alla famiglia delle radiazioni elettromagnetiche, che oltre alle onde radio e alla luce visibile include l’infrarosso, l’ultravioletto e i raggi provenienti da decadimenti radioattivi come i gamma e altri; il solo elemento discriminante tra queste radiazioni è la lunghezza d’onda. I raggi X, come le radiazioni provenienti dai decadimenti radioattivi, sono radiazioni ionizzanti, ossia nel loro passaggio attraverso la materia producono alterazioni della struttura elettronica degli atomi: le ionizzazioni. Gli effetti che le radiazioni inducono su un tessuto biologico sono la conseguenza di una serie complessa di processi dovuti al trasferimento di energia dalla radiazione al tessuto irradiato, con conseguente ionizzazione o eccitazione degli atomi che lo compongono.

La struttura cellulare più radiosensibile è il DNA, che può essere danneggiato sia per via diretta sia per via indiretta per azione dei radicali liberi prodotti. Alla scoperta di Röntgen seguì un periodo di enorme euforia, durante il quale numerosi fisici, tecnici e medici iniziarono a sperimentare le grandi potenzialità dei raggi X in modo estremamente disinvolto, ignorando gli effetti indesiderati di questa nuova energia. Tra il 1900 e il 1910 l’uso spensierato dei raggi X iniziò a mietere le prime vittime: il danno alla pelle si trasformò spesso in cancro, portando molti pionieri della radiologia a mutilazioni o alla scomparsa prematura. Nel 1901 William H. Rollins, un dentista di Boston, tra i primi mise in guardia circa gli effetti nocivi delle radiazioni. Descrisse i loro effetti lesivi delle radiazioni sui porcellini d’india e suggerì che chiunque si trovasse a lavorare con raggi X avrebbe dovuto indossare occhiali piombati, racchiudere il tubo radiogeno in una scatola contenente piombo e coprire tutte le zone del corpo con uno scudo radiopaco.

Ritenuto, però, inesperto, inizialmente non fu preso in considerazione. Ideò senza mai realizzarlo, il primo apparecchio radiogeno ad uso odontoiatrico, che fu prodotto poi nel 1905 ad opera di Reiniger, Gebbert et Schall. Nascevano quindi la radioterapia, nuova disciplina della medicina basata sull’utilizzo terapeutico degli effetti biologici delle radiazioni, e la radioprotezione, disciplina che tratta delle strategie di protezione dagli effetti delle radiazioni. Negli anni successivi furono molti i dispositivi di radioprotezione sviluppati e commercializzati in base alle acquisizioni raggiunte dalla fisica a partire dalla fine del XIX secolo e alle evidenze radiobiologiche, cliniche ed epidemiologiche maturate durante molti anni di impiego.

Priorità nell’imaging

L’obiettivo principale di un’esposizione medica che utilizza radiazioni ionizzanti è fornire un’immagine di qualità diagnostica sufficiente a rispondere alla domanda clinica o a guidare una procedura interventistica mantenendo le più basse dosi ragionevolmente possibili commisurate all’ottenimento di un’immagine di qualità adeguata. Tale bilanciamento tra rischi e benefici deve essere raggiunto ottemperando ai principi ALARA (As Low As Reasonably Achievable) : utilizzo delle più basse dosi che consentano la diagnosi, la giustificazione, l’ottimizzazione oltre a una adeguata tecnica radiografica. “Gli esami radiologici sono giustificati quando il beneficio che si ottiene, cioè la diagnosi, è superiore al rischio biologico cui sempre sottoponiamo il paziente”.I progressi tecnologici delle apparecchiature di imaging medico e l’ottimizzazione del protocollo hanno portato a significative riduzioni della dose.

Dosi

Nel 2010, il radiologo olandese Gerrit Kemerink, usando un’unità a raggi X del 1896, radiografò la mano di un cadavere al Maastricht University Medical Center. Le immagini risultarono “sorprendentemente buone” e offrirono una rappresentazione chiara dei dettagli anatomici, ma con una dose di 75 mSv, cioè 1.500 volte superiore a quella di un esame comparabile eseguito con apparecchiature moderne. A quei tempi, quindi, operatori e pazienti si esponevano a dosi enormi per un lasso di tempo tutt’altro che breve.
Due elementi devono essere presi in considerazione: la quantità di radiazioni richiesta oggi per una radiografia è circa un ventesimo di quella necessaria negli anni Cinquanta; dopo decenni di analisi dei dati, contrariamente a quanto asserito allora, si può ragionevolmente affermare che non c’è evidenza scientifica che le radiazioni da indagini mediche danneggino le cellule riproduttive. Non sono dimostrabili danni derivanti dall’esposizione alle radiazioni relative all’imaging né alle ovaie o ai testicoli né alla progenie. Infatti, nei soggetti di sesso maschile la fertilità non è modificata per dosi inferiori a 150 mGy e per la sterilità permanente bisogna superare 3500 mGy, mentre nei soggetti di sesso femminile la fertilità non subisce variazioni al di sotto dei 2500 mGy: dosi, queste, molto più alte di quelle utilizzata nelle procedure radiodiagnostiche. «Quello che ora sappiamo è che, al contrario da quanto sostenuto precedentemente, probabilmente non esiste alcun rischio ereditario», ha dichiarato il dottor Donald Frush, radiologo del Lucile Packard Children’s Hospital Stanford di Palo Alto, in California, che presiede la Image Gently Alliance.

 

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Tipi di radiazione

Oggetto esposto

Interazione raggi X-tessuti

Durante il loro passaggio attraverso i tessuti, i fotoni possono subire destini diversi:

  • attraversarli indisturbati, cioè senza subire alcuna attenuazione, e andare a impressionare il rivelatore (questa è la radiazione primaria che dà il maggior contributo alla formazione dell’immagine);
  • collidere con gli atomi che incontrano, ionizzandoli. Conseguenza di questa collisione sarà la loro completa attenuazione oppure, nel caso in cui cedessero solo parte della propria energia, una deviazione della loro traiettoria che li porta eventualmente a contribuire a impressionare il detettore. Gli atomi ionizzati, a loro volta, possono dar luogo a una radiazione diffusa (di solito di intensità inferiore allo 0,1% rispetto a quella del fascio primario) che, come è logico attendersi, sarà maggiore nella zona d’ingresso del fascio e, pertanto, potrà essere pericolosa per l’operatore che ivi stazioni.

La radiazione attenuata e, in parte, quella diffusa, avendo un angolo di incidenza diverso e casuale, contribuiscono al degradamento della qualità dell’immagine (velatura e perdita di contrasto) ragione per cui vanno accuratamente rimosse mediante appositi strumenti come la griglia anti diffusione, composta da una serie di lamelle radioopache (in piombo) intercalate da lamelle radiotrasparenti, in grado di lasciar passare la radiazione primaria parallela alla griglia e di fermare, invece, quella che presenta un angolo di incidenza diverso.

Fascio emergente

È il fascio costituito da un flusso fotonico attenuato in modo disomogeneo in funzione dalla rimozione dei fotoni durante l’attraversamento dei tessuti, che incide su un rivelatore analogico o digitale.

Radiazione primaria

La radiazione primaria è la radiazione emessa dal tubo a raggi X nel campo di irradiazione previsto. Negli esami radiologici sono tre le categorie di rateo di dose comunemente somministrato alla superficie del paziente come radiazione primaria:

  • la prima è compresa tra 1 e 10 mGy s e include le esposizioni fluoroscopiche;
  • la seconda varia tipicamente tra 15 e 25 mGy s-1 e include la radiologia proiettiva, esami odontoiatrici, acquisizioni angiografiche, acquisizioni fluorografiche e mammografie;
  • la terza può fornire da 50 a 100 mGy s ed è relativa esclusivamente ad esami di tomografia computerizzata (TC). Queste dosi sono almeno cinquanta volte superiori alla sorgente più significativa di radiazione secondaria, è quindi estremamente importante limitare l’area del fascio primario.

La dimensione del raggio primario è controllata per mezzo di un sistema di collimazione. L’uso efficiente dei collimatori contribuisce in modo significativo all’ottimizzazione della dose al paziente.

 

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È stato dimostrato che una collimazione inadeguata è una delle principali cause di aumento del rischio per i pazienti, in particolare bambini e neonati (uso di campi di grandi dimensioni o dimensioni troppo piccole possono richiedere la ripetizione dell’esame).

In radiografia generale, l’anatomia coinvolta e gli organi all’interno o in prossimità del raggio primario sono molto variabili, dipendono dalla patologia di interesse e dalla tecnica dell’operatore (ad esempio, posizionamento e collimazione). Quando si esegue l’esposizione, l’operatore deve tenere in considerazione quali siano gli organi da includere, quali quelli vicini al raggio primario e come sia possibile visualizzare l’anatomia di interesse escludendo quanto più possibile l’anatomia circostante.

Radiazione secondaria

Tutte le altre sorgenti di radiazioni all’interno della sala in cui è alloggiata la sorgente dei raggi X sono denominate radiazioni secondarie. Queste comprendono:

  1. dispersione dal tubo, dalla filtrazione e dall’alloggiamento (il raggio primario può essere oggetto di dispersione durante il transito attraverso gli elementi costruttivi e/o dell’alloggiamento del tubo, del refrigerante, del tubo e del collimatore);
  2. radiazione extrafocale o fuori fuoco (si verifica nelle zone adiacenti al campo di raggi X collimato ed è generata da elettroni eccitati che interagiscono con parti dell’anodo diverse dalla macchia focale. La loro traiettoria di uscita dall’alloggiamento del tubo e dal collimatore è diversa da quella prevista, dunque possono emergere dal collimatore con direzione più divergente rispetto al raggio primario);
  3. diffusione da oggetti irradiati (il paziente stesso e la struttura di supporto sono fonte di radiazioni secondarie durante l’esposizione).

La dispersione all’interno del paziente è difficile da quantificare, ma può essere la principale fonte di radiazione secondaria a un organo al di fuori del raggio primario. Iball e Brettle (2011) indicano che essa è la componente predominante delle radiazioni misurate all’interno del paziente in prossimità del raggio primario (<17 cm).
Questa non sarà influenzata dall’applicazione della schermatura locale. Matyagin e Collins (2016) hanno preso in considerazione la possibilità teorica che la dispersione in uscita dal paziente possa essere addirittura retrodiffusa verso lo stesso da eventuali schermature ivi applicate.
Il contributo relativo al feto dei tre tipi di dispersione (interno, esterno e retrodiffusione da uno scudo applicato) non viene generalmente attenuato dagli schermi e la retrodiffusione verso il paziente, che è ancora più piccola, contribuisce in modo insignificante alla esposizione totale. (N.B. tutti questi contributi sono di molte grandezze inferiori alla dose del fascio primario incidente).

Responsabilità dell’operatore

L’inveterata consuetudine storica necessiterà di tempo affinché venga universalmente messa in discussione tanto dagli operatori quanto dai pazienti. I sanitari dovranno essere adeguatamente formati per ottimizzare le esposizioni e motivare in modo appropriato l’utente in modo che questi possa meglio valutare i rischi/benefici anche nelle rare circostanze in cui si continui a raccomandare l’uso della schermatura.
Prima del posizionamento dovranno essere fornite informazioni adeguate a spiegare i vantaggi e i rischi ad esso associati.
Qualora il paziente insista nel richiederne l’uso, l’operatore dovrà valutare attentamente il rapporto rischi benefici relativo all’uso delle protezioni, rispetto a ritardare o addirittura non eseguire l’esame. È necessario considerare anche il beneficio psicologico che l’applicazione di ciò può garantire.
Si prevede che vi possano essere alcune situazioni specifiche ed eccezioni in cui la schermatura del paziente sia giustificata.
In questi casi, la decisione dovrebbe essere presa in modo multidisciplinare e le eccezioni essere elencate nella procedura locale.
Devono essere chiaramente documentati e comunicati i criteri di inclusione ed esclusione locali che specificano il tipo di esame e le caratteristiche del paziente in cui sia possibile utilizzarla.
La priorità dovrà sempre essere il raggiungimento di un’immagine diagnostica di alta qualità, in cui i benefici superino i rischi.

Radiologia medica

Radiosensibilità

La vulnerabilità agli effetti lesivi delle radiazioni ionizzanti è legata alla radiosensibilità individuale (proprietà delle cellule e dei tessuti di venire più o meno danneggiati dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti). In generale la sensibilità agli effetti dell’energia radiante è tanto maggiore quanto più intensa è l’attività riproduttiva delle cellule che compongono il tessuto.
I tessuti maggiormente radiosensibili sono pertanto quelli ricchi di elementi cellulari in mitosi (i tessuti linfoidi, il midollo emopoietico, l’epitelio di rivestimento della mucosa intestinale, l’epitelio seminale del testicolo, le strutture follicolari dell’ovaio) e i tessuti poco differenziati (come i tessuti embrionali).
Il rischio varia con l’età e il sesso del paziente, concetto che ribadisce il fatto che i pazienti pediatrici possono essere più vulnerabili e che l’organo a più alto rischio possa cambiare in relazione all’età.

Schermatura delle gonadi

Nel secolo scorso si era diffuso il timore che l’esposizione alle gonadi potesse provocare danni all’eventuale futura progenie.
Le conclusioni sugli effetti ereditari (o genetici) delle radiazioni furono desunte quasi interamente da esperimenti eseguiti sugli animali negli anni Cinquanta; in particolare furono gli studi sui moscerini della frutta a sollevare la preoccupazione che le radiazioni potessero danneggiare il DNA umano e causare difetti alla nascita.
Questo suscitò un notevole interesse nella misurazione delle dosi alle gonadi (ad esempio, il Comitato sui rischi radiologici per i pazienti istituito nel 1956 sotto la presidenza di Lord Adrian) e l’introduzione di specifici metodi di schermatura nei decenni successivi. Con il tempo, la prassi di utilizzare sistemi di schermatura è stata estesa ad altre zone del corpo, benché con regole non omogenee, né tra strutture radiologiche diverse, né tra operatori dello stesso reparto.
Tuttavia, stime più recenti del rischio genetico nelle popolazioni umane hanno concluso che non vi è alcuna evidenza diretta di un incremento di malattie ereditarie associato alle radiazioni. Nonostante la percezione pubblica sia diversa, gli effetti genetici delle radiazioni negli studi sull’uomo non risultano oggi dimostrati. Non si è mai osservato alcun effetto di questo tipo, neanche per esposizione a dosi molto più alte di quelle tipicamente associate alle indagini mediche.

In sintesi:

  • non c’è evidenza che le radiazioni impiegate nelle indagini mediche danneggino le cellule riproduttive;
  • la dose che può causare infertilità è molto più alta di quelle utilizzata nelle procedure radiodiagnostiche (la fertilità maschile non è modificata per dosi inferiori a 150 mGy e per la sterilità permanente bisogna superare 3500 mGy; la fertilità femminile non subisce variazioni al di sotto dei 2500 mGy).

Infatti, ICRP 103 ha ridotto il fattore di ponderazione tissutale per le gonadi a meno della metà del valore precedente (da 0,2 a 0,08). La copertura di testicoli e ovaie durante l’esposizione è stata raccomandata sin dagli anni Cinquanta, ma nell’ultimo decennio sono molte le società scientifiche che sulla base dei cambiamenti nella tecnologia di imaging e di una migliore comprensione degli effetti delle radiazioni hanno rivalutato tale pratica. Oggi concludono che non è necessario proteggere neanche le gonadi (ovaie e testicoli) perché le indagini mediche non possono produrre né danni alla discendenza né infertilità. Se la schermatura delle gonadi può essere presa in considerazione per i pazienti maschi (adulti e pediatrici) in cui le gonadi si trovano a meno di 5 cm dal fascio primario, la stessa non è raccomandata, invece, per le pazienti di sesso femminile.
Se la dose è stata ridotta a un livello di rischio “trascurabile”, non è necessario intraprendere ulteriori azioni per soddisfare l’ALARP. (As Low As Reasonably Practicable)

Schermatura tiroidea

La tiroide, universalmente riconosciuta come uno degli organi potenzialmente più vulnerabili, merita un’attenzione particolare. La radiosensibilità è massima nel bambino e diminuisce con l’aumentare dell’età. Sebbene la schermatura del paziente in genere non debba più essere utilizzata, potrebbero persistere eccezioni nel campo dell’imaging radiografico odontoiatrico a causa della vicinanza della tiroide al FOV e dell’elevata percentuale di pazienti pediatrici esaminati.Nella radiografia cefalometrica o nell’ortopantomografia, un collare tiroideo convenzionale può parzialmente sovrapporsi al FOV con la possibilità di mascherare o introdurre artefatti nell’immagine. Inoltre, sistemi come la CBCT, che incorporano un sistema di esposizione automatica possono essere ingannati dalla presenza di un componente fortemente attenuante dando luogo a immagini non ottimali o, paradossalmente, a dosi aumentate al paziente.

Cristallino

Gli occhi dovrebbero trovarsi al di fuori del raggio primario, ma possono ricevere una dose di radiazione secondaria a causa della loro vicinanza all’anatomia di interesse. Il rischio potrebbe essere la Cataratta Sottocapsulare Posteriore (PSC). Pertanto, la riduzione al minimo della dose del cristallino rimane una considerazione importante nella protezione dalle radiazioni. Tuttavia, nel caso di TC, studi più recenti suggeriscono che le strategie di riduzione della dose sono più efficaci della schermatura oculare.

Protezione del seno

Il tessuto mammario è altamente sensibile alle radiazioni, in particolare per le persone di età inferiore ai 30 anni. Lo schermo, che dovrebbe coprire la superficie anteriore del torace, qualora si trovasse all’interno del FOV potrebbe compromettere l’esame radiologico e/o dare origine a un aumento della dose agli organi e ai tessuti vicini.
Ad esempio, negli esami TC del torace di pazienti di età superiore ai 30 anni, il polmone è l’organo più radiosensibile e l’uso di una protezione del seno potrebbe portare a un incremento della dose polmonare, aumentando così, anziché diminuire, il rischio complessivo per il paziente.
Al di fuori del FOV, l’efficacia nel ridurre il rischio stocastico al paziente è generalmente segnalato come minimo.

Schermatura in mammografia

L’uso di schermature a contatto con il paziente non è raccomandato per la mammografia.
La dose alla tiroide in questo caso è estremamente bassa, ragione per cui la schermatura della tiroide non deve mai essere utilizzata perché può interferire con l’imaging o causare artefatti che richiedono la ripetizione dell’esame. Sebbene la dose all’utero non sia misurabile, alle pazienti in gravidanza possono essere forniti, su richiesta, schermi che coprono l’addome, poiché generalmente non interferiscono con l’imaging.

 

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Schermatura embrionale/fetale

Durante la gravidanza le indagini radiologiche in aree lontane dal feto sono consentite in qualsiasi momento e senza ulteriore schermatura a contatto, a condizione che venga utilizzata una collimazione accurata e che l’apparecchiatura stessa sia adeguatamente schermata.
Gli studi hanno dimostrato che gli scudi di radioprotezione hanno un valore limitato per la protezione del nascituro. Ulteriori dettagli sono disponibili nell’opuscolo RPC “Gonad Shielding in Radiology”, disponibile sul sito www.sghrpc.co.uk/Advice.htm.
Va ricordato però che le raccomandazioni dell’ICRP non considerano necessariamente l’effetto psicologico che un’esposizione a radiazioni ionizzanti potrebbe avere su una futura mamma.

Schermatura in TC

In TC l’uso di schermature a contatto non è raccomandato nella maggior parte dei casi. Qualora il professionista IR(ME)R ritenga che vi siano condizioni tali da giustificarne l’uso (in-beam o altro), il protocollo deve essere attentamente ottimizzato in collaborazione con l’operatore, l’esperto di fisica medica e lo specialista in radiologia. È molto probabile che si possa ottenere un risparmio di dose simile o addirittura maggiore prendendo attentamente in considerazione strategie di ottimizzazione alternative che non introducano artefatti significativi nell’immagine (ulteriori informazioni sono contenute nell’opuscolo RPC “Schermatura del paziente in TC”, disponibile all’indirizzo http://www.sghrpc.co.uk/Advice.htm).

Caratteristiche dei dispositivi di protezione a contatto

I dispositivi di radioprotezione sono posti a contatto con il corpo con la finalità di ridurre l’esposizione agli organi radiosensibili dei pazienti sottoposti a esami radiologici diagnostici e interventistici. Tale protezione è stata ampiamente utilizzata con l’obiettivo di proteggere da effetti genetici, neoplastici, infertilità, eccetera.
Il piombo è stato storicamente il materiale più utilizzato nella costruzione di tali DPI a causa dell’elevato potere di attenuazione delle radiazioni.
L’evoluzione tecnologica nonché il notevole peso e la difficoltà di smaltimento hanno favorito l’introduzione sul mercato di camici anti–raggi X composti sia da mescole contenenti una “piccola” percentuale di piombo sia da mescole totalmente prive di esso, per i quali vengono preferiti altri materiali quali il bario, il bismuto e l’antimonio. Ogni elemento ha delle proprietà di attenuazione correlate al suo numero atomico e alla energia di legame dei suoi elettroni. Trattandosi di materiali compositi, la classificazione dei dispositivi sulla sola base dello spessore di piombo equivalente, dichiarato per una sola energia, mostra evidenti limiti.

Le problematiche legate all’utilizzo di questi dispositivi sono:

  • il peso, nonostante gli sforzi fatti per ridurlo, rimane uno dei principali limiti;
  • il deterioramento, ovvero la formazione di fori o crepe che ne riducono l’efficienza;
  • la disinfezione, per evitare infezioni.

Svantaggi circa l’uso dei dispositivi di radioprotezione a contatto

L’Associazione Italiana di Fisica Medica (AIFM) e la Società Italiana di Radiologia Medica e Interventistica (SIRM) con l’appoggio della Federazione delle Associazioni Scientifiche dei Tecnici di Radiologia (FASTeR), condividono la seguente posizione relativamente all’uso dei dispositivi per la protezione individuale dei pazienti sottoposti a esami radiologici con raggi X:

“L’impiego dei dispositivi di protezione individuale anti-X, atti a schermare il feto e le gonadi del paziente durante l’indagine radiologica a raggi X, deve essere interrotto come pratica di routine in quanto può comprometterne i benefici”.

L’affermazione è stata pubblicata nel mese di aprile 2019 dall’Associazione Americana di Fisica Medica (AAPM), condivisa dalle Società Nordamericane di Radiologia (ACR e RSNA) nonché da numerose altre società e organizzazioni, ed è ora da considerarsi recepita anche a livello italiano.
La Food and Drug Administration ha proposto di rimuovere dal codice federale la raccomandazione di utilizzare la schermatura risalente agli anni Settanta. Diversi organismi professionali hanno già emesso linee guida a questo proposito.
Il presente articolo rappresenta l’attuale posizione di consenso dei principali organismi coinvolti nella sicurezza dalle radiazioni e nella diagnostica per immagini in Europa; le raccomandazioni sono state concepite per essere chiare e di facile interpretazione.
Rappresentanti della European Federation of Medical Physicists (EFOMP), European Federation of Radiographer Societies (EFRS), European Society of Radiology (ESR), European Society of Pediatric Radiology (ESPR), EuroSafe Imaging (ESI), European Radiation Dosimetry Group (EURADOS) e European Academy of DentoMaxilloFacial Radiology (EADMFR), nonché un rappresentante del Patient Advisory Group di ESR, hanno fondato il gruppo GAPS (Gonad and Patient Shielding) (presidente: P Gilligan) con il scopo di proporre una raccomandazione europea sull’uso della schermatura a contatto.

Le motivazioni che giustificano questo storico cambiamento nella gestione del paziente sono:

1. le attuali evidenze scientifiche relative ai rischi derivanti dall’esposizione ai raggi X mostrano che il beneficio dovuto alla presenza della protezione è minimo o nullo;

2. Il materiale altamente attenuante della schermatura può interferire con i sistemi di controllo automatico dell’esposizione, AEC, di cui i moderni sistemi di imaging radiologico sono dotati. Ciò può compromettere l’efficacia diagnostica e/o comportare addirittura un aumento ingiustificato della dose al paziente o rendere necessaria la ripetizione dell’esame.

3. Il posizionamento errato della schermatura da parte dell’operatore o il movimento involontario di essa durante l’esame può oscurare importanti patologie nell’immagine e/o richiedere l’esposizione ripetuta.

4. L’indurimento del raggio o gli artefatti da striature (Beam hardening or streak artefacts) causati dalla schermatura possono ridurre la qualità dell’immagine e possono comportare la necessità di ripetere l’esame.

5. La protezione del feto e delle gonadi fornisce benefici trascurabili o nulli per la salute dei pazienti. Le dosi utilizzate nella diagnostica per immagini:

a) non sono associate a danni misurabili alle gonadi o al feto;

b) la schermatura è inefficace nel ridurre la radiazione diffusa all’interno del paziente stesso.

6. Tali DPI possono mostrare criticità nella disinfezione e rappresentare un veicolo per infezioni.

I progressi tecnologici e le attuali evidenze dei rischi derivanti dall’esposizione ai raggi X ci impongono quindi di riconsiderare l’efficacia delle schermature, il cui uso è stato per decenni considerato coerente con il principio ALARA e quindi una buona pratica.
La preoccupazione principale quando si giustifica un’esposizione medica è il rapporto rischio- beneficio.
I probabili benefici della ridottissima riduzione della dose dovuta dalla schermatura a contatto potrebbero non superare i potenziali rischi di artefatti, di infezioni e il disagio del paziente.
Tale tendenza è già stata accolta favorevolmente da molte associazioni di categoria, come in Canada e Australia, dove è già stato approvato il cambiamento, o in Gran Bretagna, dove sono in corso alcune iniziative atte ad abbandonare tale pratica.
Negli USA l’ospedale Lurie di Chicago, che sino ad oggi la aveva regolarmente utilizzata nella maggior parte delle 70.000 procedure di radiologia medica eseguite annualmente, ha lanciato la campagna “Abandon the Shield” per motivare e informare i pazienti e gli operatori sanitari. Iniziativa che ha suscitato molte perplessità: interrompere la schermatura è stato quasi uno shock per alcuni, come ha affermato la dott.ssa Kate Feinstein, responsabile della radiologia pediatrica.
Negli USA alcuni Stati stanno rivedendo le normative a riguardo. In alcuni casi, gli ospedali hanno richiesto deroghe o le hanno aggirate assumendo atteggiamenti controversi.

 

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L’evoluzione della radioprotezione - Ultima modifica: 2024-09-02T12:54:54+00:00 da K4
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