La protesi inferiore fissa impianto-sostenuta in un caso di II classe scheletrica Caso clinico

1. Il caso clinico prima del trattamento. Notare la perdita completa dei normali rapporti occlusali e la pessima igiene orale.

Riassunto

Uno degli obiettivi della riabilitazione protesica è la sostituzione dei tessuti persi, al fine di restituire un’adeguata funzionalità in un contesto armonico con un’estetica il più vicino possibile a quella naturale. La riabilitazione della seconda classe è da sempre una sfida per il protesista in quanto le determinanti occlusali sono sfavorevoli alla distribuzione dei carichi durante la cinematica mandibolare. La situazione è ancora più complicata quando l’arcata antagonista è rappresentata da una protesi totale che necessita del maggior numero di contatti simultanei per avere stabilità. Questo lavoro evidenzia come sfruttare la versatilità della protesi fissa mandibolare avvitata su impianti per risolvere queste problematiche. Il paziente in esame presentava una dentatura residua non mantenibile con perdita delle relazioni cranio-mandibolari. Si inserirono previa bonifica sei impianti in zona intraforaminale caricati immediatamente trasformando la protesi totale in protesi impianto-supportata provvisoria. Dopo due mesi viene confezionata la protesi definitiva che ristabilisce una relazione di I^ classe con la protesi totale superiore attraverso un cantilever vestibolare di 11 mm. In conclusione si può affermare che la scelta di un corretto disegno della protesi implantare può essere ottenuta solo con un attento protocollo diagnostico-decisionale che includa lo studio tridimensionale dei rapporti intermascellari, la classe dento-scheletrica e una valutazione dei costi-benefici.

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La riabilitazione dei pazienti edentuli con protesi rimovibile si associa solitamente a diverse limitazioni. Le protesi fisse sostenute da impianti stanno sempre più confermando la propria idoneità a restaurare la funzione masticatoria e l’estetica. La riabilitazione protesico-implantare nell’edentulismo totale rappresenta una sfida operativa di notevole difficoltà a causa delle complesse condizioni di cui è necessario tener conto. Occorre in primo luogo considerare le conseguenze di carattere anatomo-funzionale ed estetiche determinate dalla perdita degli elementi dentari ed evidenziabili sia a livello intraorale che extraorale.  Nel soggetto edentulo si verifica un riassorbimento osseo a livello della zona anteriore mandibolare quattro volte maggiore rispetto al mascellare: l’anterotazione che ne consegue, associata alla perdita del supporto dei tessuti periorali, porta a profonde alterazioni estetiche del volto1. Il mascellare si riassorbe in direzione centripeta: la posizione degli incisivi fa sì che la loro perdita determini un’atrofia mascellare marcata, mentre a livello molare ciò è meno accentuato. La mandibola si riassorbe, invece, secondo un vettore centrifugo e questo porta a un aumento del suo raggio di curvatura. Questo processo di riassorbimento provoca un’inversione dei rapporti scheletrici nelle tre dimensioni dello spazio, collasso della dimensione verticale e, nei casi gravi, superficializzazione del nervo mandibolare.

1. Il caso clinico prima del trattamento. Notare la perdita completa dei normali rapporti occlusali e la pessima igiene orale.
1. Il caso clinico prima del trattamento. Notare la perdita completa dei normali rapporti occlusali e la pessima igiene orale.

A livello extraorale la perdita di dimensione verticale si evidenzia con diminuzione dell’altezza del terzo inferiore del viso, accentuazione del solco labiomentoniero, approfondimento del solco naso labiale, diminuzione relativa del vermiglio del labbro e mancato sostegno del filtro, ipotonia e collasso della muscolatura periorale con modificazione dell’estetica e dell’espressione2. Solo grazie a una diagnosi accurata e a un’attenta pianificazione si recuperano tutte queste determinanti anatomo-funzionali andate perse rendendo predicibile la riabilitazione impianto-protesica del paziente edentulo. Attraverso l’esame obiettivo extraorale valuteremo la simmetria del volto, il profilo facciale, la dimensione verticale, la classe scheletrica, la morfologia delle labbra e la linea del sorriso. Con l’esame obiettivo intraorale si valutano i tessuti molli, la morfologia ossea macroscopica e i rapporti intermascellari. Il montaggio dei modelli in articolatore consente di analizzare lo spazio disponibile per la protesi, i rapporti tra le arcate nei tre piani dello spazio e di realizzare la ceratura diagnostica. Questa fornirà informazioni precise sull’altezza, la forma, la dimensione e la posizione delle corone nonché sul sito ideale di posizionamento dell’impianto. Nell’edentulismo totale le scelte terapeutiche sono determinate da diversi fattori quali l’importanza del riassorbimento osseo, il rapporto tra le arcate e le richieste del paziente. Stabilito che non ci siano controindicazioni di carattere generale, il paziente può essere candidato alla terapia implantare. Le riabilitazioni impianto-sostenute di un’arcata edentula possono essere classificate come:

  • protesi totale ancorata a impianti,
  • overdenture su barra fissata a impianti,
  • protesi fissa full-arch con ricostruzione dei tessuti molli o Toronto bridge,
  • protesi fissa full-arch, avvitata o cementata, senza ricostruzione dei tessuti molli o natural fixed bridge.

La protesi Toronto bridge classica è proposta da più di 40 anni e nasce come sovrastruttura protesica avvitata a un numero variabile dai 4 ai 6 impianti posizionati in zona mentoniera o mascellare anteriore. Per estendere il tavolato occlusale il più possibile distalmente venivano inserite delle estensioni distali (cantilever). La costruzione di queste estensioni dipendeva da numerose variabili tra cui il numero e la posizione degli impianti, la distanza tra essi, la forma di arcata, il tipo di arcata antagonista ecc.La protesi tipo Toronto bridge offre il vantaggio di poter inserire gli impianti senza i vincoli di direzionalità propri della protesi fissa su impianti, potendo sfruttare al meglio l’osso residuo. Questo vale soprattutto nel mascellare superiore, dove l’inserimento di impianti angolati permette di distalizzare il più possibile la struttura protesica evitando di interferire con i seni mascellari4. Inoltre, in situazioni caratterizzate da elevato grado di atrofia la protesi tipo Toronto offre la possibilità di recuperare le discrepanze scheletriche marcate sia verticali che sagittali senza dover ricorrere alla protesi rimovibile. Esistono però alcuni svantaggi come la difficoltà nelle manovre di igiene (soprattutto in persone anziane) e le problematiche fonetiche legate alle riabilitazioni dell’arcata superiore, spesso legate però all’errata esecuzione del manufatto.

2. I denti montati sulle protesi totali evidenziano un rapporto di IIa classe.2. I denti montati sulle protesi totali evidenziano un rapporto di IIa classe.
2. I denti montati sulle protesi totali evidenziano un rapporto di IIa classe.2. I denti montati sulle protesi totali evidenziano un rapporto di IIa classe.

Caso clinico

È giunto alla nostra osservazione un uomo di 50 anni con difficoltà masticatorie e dentatura residua compromessa.  All’esame obiettivo si evidenzia superiormente una Protesi Parziale Rimovibile (PPR) ancorata con un gancio a filo al 17. Inferiormente è presente una protesi fissa in oro-resina collassata distalmente. La protesi è cementata a 33, 32, 31, 42 e 43 che presentano carie destruenti a livello cervicale e due estensioni distali in prossimità di 34, 35 e 44, 45. A questo si aggiunge una pessima igiene orale con degrado dei manufatti protesici (figura 1).  Il paziente manifestava la volontà di riabilitare solo l’arcata inferiore con una protesi fissa in quanto era già abituato a portare un’estesa PPR superiore. Dall’esame clinico, da quelli radiologici e dallo studio dei modelli montati in articolatore, previo rilevamento di una arco facciale, si escludeva la mantenibilità degli elementi residui. Dopo la bonifica di entrambe le arcate sono state confezionate due protesi totali provvisorie con lo scopo di ripristinare una corretta dimensione verticale, restituire un’estetica adeguata e recuperare le determinanti occlusali. Le protesi sono state confezionate seguendo i criteri di costruzione standard della protesi totale (valutazione clinica della Posizione fisiologica di riposo e controllo dei valli con il metodo fonetico e la valutazione del profilo)5 e posizionando quindi gli elementi dentari di conseguenza. Queste protesi sono servite, perciò, anche a quantificare la discrepanza tra la posizione delle corone degli elementi dentari della protesi e la cresta ossea in modo da pianificare la riabilitazione implanto-protesica definitiva. Alla fine di questa fase il paziente presentava un rapporto occlusale di II classe (figura 2), sfavorevole alla distribuzione dei carichi durante la cinematica mandibolare6,7. Nella realizzazione delle protesi provvisorie abbiamo seguito il principio di occlusione bilaterale bilanciante libera in centrica in modo da garantire il numero maggiore di contatti possibili sia in relazione centrica che nei movimenti eccentrici al fine di aumentare la stabilità delle protesi durante i movimenti funzionali7,8. Questo è fondamentale soprattutto in pazienti con II classe scheletrica in cui è necessario garantire la libertà dei movimenti eccentrici e la libertà in occlusione da Cr a Co (relazione centrica – occlusione centrica)9.

3. La protesi provvisoria immediata ricavata dalla protesi totale pre-operatoria.
3. La protesi provvisoria immediata ricavata dalla protesi totale pre-operatoria.

L’ortopantomografia eseguita due mesi dopo le estrazioni evidenzia una quantità di tessuto osseo tale da permettere la progettazione di una protesi fissa su impianti, ma l’impossibilità di risolvere la seconda classe con questo tipo di soluzione e l’onere economico non sostenibile dal paziente hanno fatto cadere la scelta su una protesi tipo Toronto bridge sostenuta da sei impianti e caricata immediatamente con una protesi provvisoria avvitata ricavata dalla protesi totale.
La terapia farmacologica pre-chirurgica ha previsto l’assunzione di due grammi di amoxicillina triidrato (Augmentin, GlaxoSmithKline SpA) un’ora prima dell’intervento, seguiti da un grammo sei ore dopo. A partire da tre giorni prima dell’intervento il paziente ha cominciato l’utilizzo di colluttorio a base di Clorexidina digluconato 0,20% (Dentosan, Johnson & Johnson S.p.A), 10 ml 2 volte al giorno fino a una settima dopo l’intervento. Previa raccolta di un consenso informato scritto, abbiamo proceduto all’intervento. Dopo infiltrazione locale con mepivacaina 2% – adrenalina 1:100.000 (Carbocaina 2% è stata effettuata un’incisione crestale a spessore totale; dopo regolarizzazione della cresta ossea sono stati inseriti 6 impianti osteointegrati in zona intraforaminale (Nobel Biocare Speedy Groovy RP, Nobel Biocare Holding AG, Zurigo, Svizzera) utilizzando come guida la dima metallica di Malò (All on four Guide – Nobel Biocare Holding AG, Zurigo, Svizzera). La protesi inferiore del paziente è stata quindi immediatamente trasformata in protesi Toronto provvisoria (figura 3).

Il carico immediato offre indubbi vantaggi:

  • riduzione dei tempi operativi garantendo al paziente la protesi fissa senza attendere l’osteointegrazione;
  • condizionamento protesicamente guidato dei canali mucosi e delle selle intercalate attraverso il provvisorio in caso di natural fixed bridge;
  • eliminazione di una fase chirurgica con maggior comfort e risparmio di tempo per il paziente.

La trasformazione della protesi totale in provvisoria è avvenuta forando la flangia linguale in prossimità dei cilindri per provvisori avvitati alle teste implantari prima della sutura, per unirla poi al corpo dei cilindri con resina metacrilica rosa portando il paziente in occlusione. In tal modo si è certi di replicare la relazione cranio-mandibolare ottenuta con le protesi totali diagnostiche.  Completata la polimerizzazione, la protesi viene svitata e rimossa, i cilindri per provvisori rifilati e la flangia in resina rimossa fino a ottenere un manufatto a totale appoggio implantare facilmente accessibile alle manovre di igiene orale.

L’impianto in zona 3.4 non è stato caricato perché presentava un torque di inserimento inferiore ai 35 N/cm.: in uno studio sperimentale Trisi e coll. hanno dimostrato che al di sotto dei 35 Ncm di inserimento si possono avere micromovimenti che oscillano tra 83 e 143 micron, laddove micromovimenti di ampiezza superiore ai 100 micron provocano necrosi dei vasi neoformati con stimolazione dei processi osteoclastici e formazione di tessuto fibroso10. La stabilità primaria può essere valutata con il Periotest (Periotest, Siemens, Germania), con l’analisi della frequenza di risonanza (Osstell ISQ, Osstell AB, Göteborg, Sweden) e con torque di inserimento. Il Periotest (PTV) misura l’arco di tempo in cui un terminale percuote a ripetizione un impianto, mentre l’Ostell misura la frequenza di risonanza (RFA) tramite un trasduttore applicato all’impianto. Questo strumento, sebbene largamente utilizzato, non si è dimostrato attendibile in quanto impianti con medesimo grado di contatto impianto-osso (bone to implant contact, BIC) possono dare risultati dissimili e, per contro, impianti con differenti BIC possono dare risultati sovrapponibili11. Inoltre, nulla può nello stabilire la presenza di micromovimenti implantari. A oggi, il torque di inserimento è la misura più attendibile della stabilità primaria di un impianto12 e sono allo studio chiavi dinamometriche elettroniche in grado di misurare con estrema precisione questo dato superando la problematica della progressiva perdita di taratura dei micromotori per usura dei componenti. Comunque, nel caso in cui gli impianti vengano solidarizzati si possono caricare immediatamente anche se uno presenta un torque di inserimento inferiore a 35N in quanto la solidarizzazione attraverso la protesi di fatto riduce i micromovimenti sfruttando un principio ben noto in ortopedia dove fissazioni esterne garantiscono la riparazione di fratture13.

In questo caso, però, abbiamo comunque preferito lasciare il 3.4 sommerso. Il paziente è stato motivato e istruito su come mantenere una corretta igiene onde non compromettere l’esito finale del trattamento.

Dopo due mesi è stata effettuata l’impronta definitiva in polietere Impregum Penta (3M ESPE, St Paul, Minnesota) con i monconi da impronta splintati con resina idonea (Pattern Resin LS, GC Company Tokyo, Giappone). Gli impianti inseriti secondo una corretta direzionalità protesica hanno permesso alla struttura protesica in cromo cobalto di emergere direttamente dalle teste implantari, garantendo così maggior estetica e semplicità operativa.

4. Visione occlusale del lavoro terminato. Notare come il corretto posizionamento implantare non interferisce con il disegno della protesi.
4. Visione occlusale del lavoro terminato. Notare come il corretto posizionamento implantare non interferisce con il disegno della protesi.
5. Visione frontale del lavoro terminato. Si notino l’ottima estetica e i rapporti di Ia classe.
5. Visione frontale del lavoro terminato. Si notino l’ottima estetica e i rapporti di Ia classe.

Dopo le prova di precisione e passività della barra, questa è stata rivestita in resina metacrilica rosa mentre i denti sono stati realizzati in resina composita. La protesi così ottenuta (figure 4 e 5) ha permesso di garantire rapporti interocclusali di prima classe sfruttando un cantilever a livello incisale di 9 mm, non ottenibile con nessun altro tipo di protesi fissa impianto-sostenuta (figura 6).  Il sostegno dei tessuti periorali è soddisfacente con un buon supporto del filtro e del vermiglio delle labbra e un solco labio-mentoniero correttamente rappresentato (figura 7). Il controllo a due anni dimostra la stabilità dei tessuti e addirittura il miglioramento di quelli perimplantari a livello dell’emergenza degli impianti in zona 3.3, 3.4, 4.4 (figura 8), testimonianza dell’ottima biocompatibilità della superficie ruvida implantare e della buona integrazione della struttura protesica. La fase iniziale di motivazione ha radicalmente cambiato le abitudini di igiene del paziente, garanzia primaria e indispensabile per un buon mantenimento del risultato ottenuto.

6. Il cantilever orizzontale di 9 mm ha permesso di ottenere rapporti di Ia classe.
6. Il cantilever orizzontale di 9 mm ha permesso di ottenere rapporti di Ia classe.
7. Il profilo testimonia il corretto sostegno del filtro del labbro, del vermiglio e un solco labio-mentoniero poco accentuato.
7. Il profilo testimonia il corretto sostegno del filtro del labbro, del vermiglio e un solco labio-mentoniero poco accentuato.
8. Il controllo a due anni. Notare il radicale cambiamento dell’igiene del paziente e l’ottimo mantenimento della salute tissutale. In zona 44 il margine gengivale è migrato coronalmente, segno di un ottimo condizionamento tissutale garantito dal complesso impianto-protesi.
8. Il controllo a due anni. Notare il radicale cambiamento dell’igiene del paziente e l’ottimo mantenimento della salute tissutale. In zona 44 il margine gengivale è migrato coronalmente, segno di un ottimo condizionamento tissutale garantito dal complesso impianto-protesi.

Discussione

Le protesi inferiori impianto-sostenute tipo Toronto bridge pongono il problema dei cantilever in quanto il posizionamento degli impianti in zona intraforaminale è sempre più linguale della posizione che avrà il gruppo frontale della sovrastruttura protesica e obbliga a montare i denti diatorici in estensione al gruppo frontale. Il cantilever funziona come leva di classe I e sottopone gli impianti, la connessione impianto-protesica e l’osso perimplantare a stress alternati di trazione e compressione durante la funzione14. Esistono numerosi studi sul cantilever posteriore, ma poche sono le informazioni disponibili sull’estensione anteriore per protesi avvitate impianto-sostenute. In questo tipo di protesi avvitate su impianti il cantilever distale è necessario per ottenere un’occlusione posteriore. Storicamente la lunghezza è stata teorizzata in relazione all’A-P spread, ovvero alla distanza tra il centro dell’impianto più anteriore e una linea che congiunge i margini distali dei due impianti posteriori. Il protocollo classico Branemark per una protesi con cantilever in caso di inserimento di 4-6 impianti intraforaminali prevede la costruzione di 2-3 premolari bilateralmente. Per evitare il sovraccarico degli impianti il cantilever distale deve rimanere in un rapporto di 1,5:1 con l’A-P spread (2:1 per altri Autori) con una lunghezza del cantilever dai 15 a massimo 20 mm4,14,15.

Lo studio di Brosky et Al.14 non ha rilevato correlazione significativa tra l’ampiezza del cantilever anteriore e la perdita di osso perimplantare, mentre il rapporto AP spread/estensione del cantilever posteriore è statisticamente correlato alla perdita delle viti di fissaggio. In questo studio è stato analizzato un gruppo di soggetti che presentava una riabilitazione protesica su impianti mandibolari avvitata da più di 7 anni e come antagonista una protesi totale rimovibile. Tutti questi pazienti sono stati riabilitati in modo da ottenere un’occlusione di prima classe. Si è registrata la lunghezza del cantilever anteriore che andava da 5,9 a 14,4 mm con una media di 8,8 mm. In letteratura è infatti consigliato riabilitare i soggetti che presentano una discrepanza vestibolo linguale tra il mascellare superiore e quello inferiore maggiore agli 8 mm con una overdenture su impianti rimovibile2. Questo probabilmente perché se l’estensione del cantilever è troppo elevata al paziente è richiesta manualità e compliance ancora maggiore per la manutenzione domiciliare della protesi. Inoltre, se la discrepanza sagittale è troppo marcata questo tipo di protesi ibrida non riuscirebbe comunque a essere esteticamente soddisfacente. Bisognerà perciò valutare caso per caso quando questo tipo di protesi è indicata e fin dove ci si può spingere in base all’anatomia delle arcate edentule, alla collaborazione e alle necessità del paziente.

Conclusioni

La protesi fissa tipo Toronto bridge è senza dubbio la soluzione più ambita dal paziente edentulo laddove una protesi fissa su impianti non sia realizzabile o economicamente sostenibile. L’overdenture su impianti, infatti, se da un lato semplifica la risoluzione del sostegno dei tessuti periorali attraverso la flangia in resina, facilita le manovre di igiene e, non ultimo, non comporta l’impegno per l’operatore di posizionare gli impianti secondo una direzionalità protesicamente dettata, dall’altro è pur sempre per il paziente una protesi rimovibile con tutte le ripercussioni psicologiche che ne conseguono. Se aggiungiamo che il costo è superiore a una protesi di tipo Toronto per l’aggiunta di una mesostruttura a barra, si comprende come sia difficile proporre questo tipo di riabilitazione e come l’industria si stia prodigando per rendere l’approntamento di una protesi tipo Toronto bridge meglio programmabile e più predicibile attraverso l’ausilio della chirurgia computer assistita e delle tecnologie CAD-CAM per la produzione della struttura protesica. In questo senso la problematica dei cantilever può essere più facilmente e attentamente studiata dall’operatore prevedendo con estrema precisione la lunghezza della futura estensione. Aspettando e auspicando che questi strumenti possano diventare di facile diffusione, la letteratura e la nostra esperienza sono comunque confortanti riguardo ai cantilever, permettendo estensioni che garantiscono la risoluzione della maggior parte dei casi che si candidano per questo tipo di protesi, ricordando comunque che il cantilever è fonte di stress biomeccanico per cui andrebbe ridotto al minimo e che la scelta del tipo di protesi impianto-sostenuta deve essere dettata da un protocollo diagnostico-decisionale ben preciso.
Corrispondenza
Dr. Marco Castagnola
Via Boccaccio 24 – 20123  Milano
castagnolamarco@libero.it

Bibliografia

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La protesi inferiore fissa impianto-sostenuta in un caso di II classe scheletrica Caso clinico - Ultima modifica: 2011-10-01T15:59:07+00:00 da adelecaracausi

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