«Integriamo le esperienze per far crescere la ricerca»

Marco Ferrari è nato a Carrara nel 1959. Ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1983, quattro anni più tardi la specializzazione in Odontostomatologia. Una scelta, racconta, in parte maturata dopo avere frequentato per alcune settimane, nel periodo estivo e ancora da studente, lo studio odontoiatrico di un parente del babbo, ma anche condizionata dal desiderio di intraprendere la libera professione in ambito medico. Poi, l’incontro con la sua futura moglie, con cui condivide gli studi, segna definitivamente la strada intrapresa. Dopo la specializzazione, insieme, si recano a Boston, negli Stati Uniti, presso la Tufts University, per circa un anno. Poco più tardi conoscono Carel Davidson, professore di materiali dentali ad Amsterdam: è qui che decidono di iscriversi a un dottorato di ricerca. Nel frattempo Ferrari inizia le sue collaborazioni con la Tufts University di Boston (dove è ancora Research Professor di Protesi), ma anche con l’Università di Siena, dove dal 1997 diviene professore a contratto.

Nel 2000 vince il concorso come Professore Associato e subito dopo fonda il Ph D Program in Dental Biomaterials. Nel 2002 assume l’incarico di Professore Straordinario e di Presidente del Corso di Laurea in Odontoiatria, sino a divenire nel 2006 Professore Ordinario. Marco Ferrari dal 2003 al 2006 è stato «Delegato del Rettore per le Relazioni Internazionali», e dall’agosto del 2008 direttore del Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Oftalmologiche dell’Università di Siena. È socio attivo dell’Accademia di Conservativa, della SIOPI e della Società di Odontoiatria Conservatrice. Nel 2005 è stato nominato «Visiting Professor of Prosthodontics» alla Xi’an University e nel 2006 alla Rochester University, negli USA. È Segretario della Conferenza Permanente dei Presidenti dei Corsi di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, dal 2007 membro del board dello IADR Continental European Division. Attualmente ricopre la carica di Presidente dell’Accademy of Dental Materials ed è stato President (2005-06) della European Federation of Conservative Dentistry. Fa parte dell’editorial board di numerose riviste con fattore di impatto come Journal Dental Research, Dental Materials, International Journal of Prosthodontics, Journal of Adhesive Dentistry, American Journal of Dentistry, Journal of Dentistry. È Editor dell’International Dentistry South Africa e referee di numerose altre riviste di carattere scientifico.

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Professor Ferrari, 50 anni: è tempo di bilanci personali e professionali?

Certo, i 50 anni sono un traguardo che spinge a qualche riflessione. Gli anni passano e sono in molti a ricordarmelo: mia moglie, i nostri figli, ma anche gli amici. Scherzi a parte, al di là delle ambizioni, dei meriti e delle aspettative, il bilancio è positivo, anche grazie alla fortuna che non mi ha mai abbandonato. Non solo perché la mia carriera universitaria, seppur iniziata relativamente tardi, a 40 anni, è stata poi molto rapida, anche grazie a una serie di coincidenze favorevoli, ma soprattutto per le persone che ho incontrato e con cui lavoro da tempo nel nostro dipartimento. Sono ricercatori, insegnanti e clinici giovani e meno giovani, di altissima qualità: ci divertiamo insieme a fare ricerca di base e clinica e condividiamo la passione dell’insegnamento; questo gruppo si è formato nel tempo grazie alla lungimiranza del professor Bertelli, che ha diretto il nostro dipartimento per quasi 20 anni e che mattone dopo mattone con dedizione e capacità manageriale ha creato l’ambiente e il gruppo che ora vi lavora.

Quanto è importante il coordinamento delle risorse umane e la capacità di leadership nel suo lavoro?

È un aspetto fondamentale. Il mio scopo è aiutare le persone a capire se hanno le qualità per diventare non solo buoni clinici, ma anche buoni ricercatori. E in questo, lo ripeto, sono fortunato, perché gestire le risorse umane non basta, è necessario disporre di vere risorse umane, come quelle che fanno capo al nostro dipartimento, per esempio. L’Università di Siena, seppur piccola dal punto di vista numerico, gode di una buona reputazione, grazie al valore dei ricercatori che vi operano. Senza il loro contributo, da solo, non potrei far nulla.

Qual è il vostro filone di ricerca?

Ci siamo sempre occupati dei materiali da restauro, di conservativa, di protesi, ma anche di ortodontia e chirurgia. Più di recente abbiamo dato vita a un nuovo filone sugli impianti, orientato anche alla ricerca clinica.

Com’è organizzato il dipartimento di Odontostomatologia dell’Università di Siena?

È un dipartimento eterogeneo che comprende al suo interno anche la scuola di oftalmologia, una delle più prestigiose d’Italia. Vi operano 25 ricercatori, di cui sette, oculisti, 15 odontoiatri, un anatomo-patologo, un clinico medico e un anestesista. Il motore del dipartimento è il dottorato di ricerca internazionale che siamo riusciti a creare, ancora una volta, devo dire, con un po’ di fortuna. Ospita ogni anno circa 5-6 studenti, di cui uno o due, stranieri. Provengono da tutto il mondo, quelli italiani, invece, da ogni angolo del Paese. Una risorsa importante per noi, ma anche un modello che mi piacerebbe poter mettere a disposizione delle altre sedi universitarie per potenziare la forza della ricerca italiana. Ricordo che i nostri dottorandi per conseguire il titolo devono produrre almeno 5 lavori impattati come primo nome su riviste internazionali. È questa la garanzia sulla qualità del lavoro che intraprendono: la loro tesi viene approvata dai referee ed editor delle riviste internazionali, stimolandoli a lavorare ad alto livello e ricevendo in cambio grande soddisfazione e visibilità.

Un suggerimento prezioso quello dell’integrazione tra le esperienze…

Ci sono molte realtà di grande valore in Italia, a Milano, a Bari, a Bologna, a Chieti, a Trieste, a Firenze, a Torino e in molte altre sedi, la cui integrazione purtroppo è lasciata a iniziative spontanee. Sarebbe bello se il Collegio dei Docenti si facesse carico di coordinare i dottorati di ricerca, così come coordina altre attività della nostra accademia. La nostra ricerca è finanziata solo da pochi privati o sostenuta da autofinanziamenti, mentre i governi, già cronicamente e storicamente avari con la ricerca in generale, non supportano quasi per niente l’attività scientifica del nostro settore. Non dimentichiamo che nell’ambito della ricerca odontoiatrica, l’Italia, tanto vituperata in altri settori, gode di grande prestigio. Rispetto alla qualità e alla quantità dei lavori pubblicati su riviste impattate, l’Italia odontoiatrica è la VII potenza al mondo. Un risultato che andrebbe ulteriormente valorizzato. Penso, per esempio, come sarebbe bello organizzare un incontro dove tutte le Scuole di Dottorato di area ‘odontoiatrica’ si possano incontrare e confrontare dando spazio ai propri studenti e magari a qualche relatore di prestigio invitato a parlare su tematiche comuni alla maggior parte. D’altronde il coordinamento dei lavori di ricerca è una realtà consolidata in altri Paesi del mondo: in Germania, in Svizzera, ma anche negli Stati Uniti è una pratica che avviene abitualmente.

Sul versante della professione, invece, qual è la situazione? I pazienti stanno riscoprendo l’odontoiatria pubblica?

In effetti, forse anche a causa della crisi economica sopraggiunta, sono sempre di più i pazienti che si rivolgono al servizio pubblico per riabilitazioni importanti. Un fenomeno che però non deve preoccupare i liberi professionisti, che di norma ricevono pazienti di diversa situazione economica-sociale, ma solo gratificare chi opera nel pubblico. L’affluenza dei cittadini nelle cliniche universitarie permette anche di poter attuare una migliore preparazione dei nostri studenti che oltre alla teoria possono così cimentarsi in una pratica complessa e più articolata di un tempo. Comunque l’offerta pubblica resta sempre molto limitata, nell’ordine del 3-5% del totale delle prestazioni odontoiatriche erogate.

Un fenomeno che comunque riporta all’attenzione una questione non ancora risolta: qual è il punto di equilibrio tra clinica e sostenibilità delle cure?

È un tema centrale questo, la madre di tutti gli argomenti. Basti pensare che in Italia, solo meno del 30% della popolazione frequenta con regolarità uno studio dentistico. Non ci si sottopone alle cure odontoiatriche soprattutto per ragioni economiche: e questa è una realtà sotto gli occhi di tutti. È un problema per il quale non ho una soluzione immediata da proporre, ma credo sia una questione che debba interessare tutti noi operatori del settore. Trovare il modo per spingere negli studi odontoiatrici almeno la metà dei cittadini che oggi non accede alle cure dentali significherebbe migliorare la salute orale di una buona fetta della popolazione, ma anche contribuire alla risoluzione del problema della piena occupazione degli operatori odontoiatrici.

Cosa si aspetta nei prossimi 50 anni dal suo lavoro e dall’odontoiatria in Italia?

Personalmente spero di poter continuare a lavorare nell’ambito universitario, insieme alle persone con cui lavoro, per crescere insieme: non potrei augurarmi di meglio. Per l’odontoiatria, più in generale, invece mi aspetto che i giovani colleghi sappiano realizzare un’odontoiatria un poco diversa da quella di cui siamo stati testimoni o protagonisti sino a oggi con un marketing più agile e nell’ottica del contenimento dei costi, sia per l’odontoiatra, sia per il paziente, in grado di soddisfare le esigenze di lavoro di tutti i nostri colleghi. Forse ci si dovrà orientare più verso la prevenzione, l’igiene, la conservativa e i piccoli trattamenti riabilitativi che sono sufficienti ad assicurare una buona qualità della vita dei pazienti. Parte importante in questo riequilibrio della professione la giocheranno le aziende che dovranno anch’esse accettare un virtuoso contenimento dei costi. Sono ottimista perché credo ci siano ampi margini per questo tipo di evoluzione della nostra professione con una comunione di intenti di tutti gli operatori del settore.

«Integriamo le esperienze per far crescere la ricerca» - Ultima modifica: 2009-06-19T09:40:46+00:00 da fabiomaggioni

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