Lo scanner per il rilevamento dell’impronta intraorale ha rivoluzionato il mondo dell’odontoiatria. Tuttavia, prima di adottarlo, molti professionisti hanno avuto non poche esitazioni. Eppure, il sistema oggi è ormai ampiamente collaudato e comporta notevoli vantaggi, come spiegano gli esperti che abbiamo incontrato per approfondire il tema e riflettere anche sul significato dell’impronta, qualcosa di più di un semplice oggetto fisico o virtuale.

Fabrizio Molinelli, odontotecnico e consulente per le nuove tecnologie digitali

«Seguo il mondo digitale da circa 20 anni e la mia speranza è sempre stata quella di vedere completato il percorso analogico da cui siamo partiti proprio noi odontotecnici», dice Fabrizio Molinelli, odontotecnico e consulente per le nuove tecnologie digitali per le aziende che operano nel settore dentale. «Quello che sta avvenendo oggi nella clinica odontoiatrica, con l’avvento dello scanner intraorale, è proprio la parte che mancava. Perché è dall’impronta digitale, dall’acquisizione di questi dati in forma digitale che prende il via il cosiddetto work-flow che coinvolge il clinico e l’odontotecnico, ma anche il paziente». Qual è la porzione degli studi che si affida oggi allo scanner intraorale? «C’è chi dice che il 50% degli studi sia ormai digitalizzato, ma questa è solo una stima approssimativa», nota Fabrizio Molinelli. «Di sicuro, in particolare negli ultimi due anni, c’è stato un notevole incremento dell’utilizzo di questa tecnologia. Oggi, comunque, entrambe le modalità convivono anche negli studi digitalizzati, perché il cambio di paradigma richiede tempo, così come lo richiede anche lo sviluppo delle giuste competenze da parte degli odontoiatri, oltre che degli odontotecnici che non si sono ancora digitalizzati». Chi oggi ha la tecnologia in studio la utilizza per circa tre quarti dei lavori.

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Qual è lo svantaggio dell’impronta tradizionale? «A mio avviso, l’impronta analogica determina un flusso di lavoro più farraginoso rispetto a quello richiesto dal digitale: i passaggi sono più lunghi perché prevedono colatura e sviluppo del modello, passaggio fisico dell’impronta dallo studio al laboratorio; inoltre, la procedura stessa comporta non pochi disagi per il paziente. Questi sono i veri limiti dell’analogico: non tanto la precisione dell’impronta o dei risultati che si possono ottenere, perché negli anni i materiali da impronta sono migliorati molto, divenendo sempre più capaci di rilevare i dettagli», aggiunge Molinelli.
Ed è proprio qui che può nascondersi il problema di un’impronta, in quel dettaglio che se non è ben circostanziato impedisce al tecnico di realizzare il giusto manufatto. «Penso per esempio alla fine preparazione di un moncone o alla posizione di un impianto, che se non sono chiare rendono impossibile la realizzazione della protesi». Di fronte a qualche anomalia, l’odontotecnico esperto prima di procedere alla realizzazione della protesi chiede conferma all’odontoiatra che a quel punto, se necessario, è costretto a rilevare nuovamente l’impronta. «Con la scansione intraorale non è necessario riprendere tutta l’impronta, è sufficiente concentrarsi solo sulle parti imprecise o mancanti. Il fatto di poter condividere il file immediatamente quando il paziente è ancora seduto alla poltrona rende il processo più rapido e sicuro rispetto alla possibilità di errore.
L’impronta analogica non si può correggere, può essere solo rifatta, mentre l’impronta digitale, laddove al clinico fosse sfuggito qualche dettaglio, può essere corretta o completata, perché i software attuali sono così performanti che riescono ad allineare la parte mancante, così come quella cancellata perché imprecisa, con la nuova scansione di quel singolo dettaglio: è questo il grande vantaggio del digitale».

Il protocollo di scansione vale più dello scanner

Sia nel mondo analogico sia in quello digitale, le problematiche di lettura sono le stesse e possono essere governate soltanto dal giusto protocollo. Lo scanner, ad esempio, non riesce a leggere le superfici sporche di sangue o di saliva e nemmeno le preparazioni poste sotto gengiva. A parità di tecnologia, la differenza la fa il metodo con cui si acquisisce il dato. Per esempio, suggerisce Molinelli, l’occlusione va fatta per prima, per poi acquisire i dati posti a fianco della parte occlusale. «Il software memorizza la struttura principale su cui poi andrà ad agganciare gli altri fotogrammi. Questi protocolli sono stati messi a punto negli anni dai vari utilizzatori che hanno stabilito come procedere nella scansione di un’impronta intraorale. Prima si fa una parte, poi si fanno le altre accessorie, in modo che il software possa “cucire” tra loro le zone via via rilevate». Ed è questa la ragione per cui il paziente edentulo può rappresentare un problema. «Se la superficie della cresta edentula non è perfettamente aderente, lo scanner non riesce a leggerla. Penso ai margini della protesi, ai contorni della mucosa che se è fluttuante e mobile non consente, in un secondo passaggio, di poter mettere insieme le due parti perché, nel frattempo, la mucosa ha cambiato forma e posizione, rendendo vana l’acquisizione dei dati. Esistono accessori che permettono di tendere i tessuti della gengiva in modo da poter acquisire un dato più stabile. La lingua e il pavimento sottolinguale sono le altre parti critiche, ma necessarie, per realizzare una protesi. Per queste zone esistono particolari distanziatori molto efficaci messi a punto dal professor Lucio Lo Russo, uno dei maggiori esperti sull’acquisizione dell’impronta digitale nell’edentulo». Tra gli altri suoi consigli per rilevare bene l’impronta di un paziente edentulo, c’è quello di acquisire l’impronta fisica con i metodi tradizionali e poi fare la scansione dell’impronta per digitalizzare il dato. «Il palato, invece, è la parte più semplice da acquisire, perché è quella meno mobile di tutte le altre parti periferiche delle arcate dentarie, ma bisogna ricordarsi di acquisirla, perché altrimenti all’odontotecnico mancherebbe un punto di riferimento importante».

Una conversione lenta

«Sicuramente questo è un tema che la nostra categoria deve ancora affrontare», dice Carlo Poggio, odontoiatra di Milano, unico odontoiatra in Italia a essere Fellow della prestigiosa Academy of Prosthodontics, membro di diverse società scientifiche internazionali di protesi, socio fondatore della SIPRO, Società Italiana di Protesi, attuale vice President della American Prosthodontic Society (APS) e past president dell’Accademia Italiana di Odontoiatria Protesica (AIOP).

Carlo Poggio odontoiatra libero professionista e socio fondatore di SIPRO, Società Italiana di Protesi Dentaria e Riabilitazione Orale

«Se guardiamo ai dati di penetrazione delle tecniche per impronta da scansione intraorale rispetto all’impronta analogica, la maggior parte dei dentisti è ancora legato alle metodiche tradizionali», spiega Poggio. «Poi, all’interno di quella porzione di operatori che ha abbracciato il mondo digitale, ovvero circa il 30% dei dentisti, ed è un dato in continua crescita, il tema è già stato affrontato e la questione per così dire anche risolta in una conversione sempre più ampia verso l’impronta digitale. I dentisti, a mio parere, finiranno per convertirsi tutti alle tecniche di scansione intraorale, sia perché queste con il tempo stanno diventando sempre più semplici e accessibili, sia perché sono coordinate con la filiera dedicata alla realizzazione di una protesi, perché lo scanner è la porta d’accesso al flusso di lavoro digitale».
L’acquisizione dei dati in forma digitale permette all’odontoiatra di fare una serie di cose molto utili, anche in relazione alla comunicazione con il paziente. «Eppure, all’interno del nostro settore», sottolinea Poggio, «ancora adesso disquisiamo ai congressi, ma anche sui social, su come sia meglio operare, se le tecniche analogiche siano più o meno precise rispetto al digitale e via dicendo. Spesso senza neppure accorgerci che in questi discorsi ci sono di mezzo le nostre passioni, ma anche le abitudini, le sicurezze psicologiche individuali, le tradizioni consolidate che spesso, anziché essere di aiuto, portano fuori strada. Per chi è legato a questo modo di lavorare tradizionale, le tecnologie digitali sono viste come una minaccia alla tradizione consolidata. Sembra che il nuovo sia brutto e cattivo, invece è solo nuovo e oltretutto offre la possibilità di operare in modo più semplice ed efficace. Il 90% delle discussioni sul tema analogico a confronto con il digitale non hanno a che fare con l’efficacia delle terapie, come dovrebbe essere, ma con le passioni dei clinici e degli odontotecnici. Raramente il tema è l’efficacia della terapia protesica».

La mia prima volta

«Ho provato a utilizzare per la prima volta uno scanner intraorale circa 10 anni fa», racconta Carlo Poggio, «ma poiché allora la filiera digitale non era ancora ben sviluppata e con queste apparecchiature non era possibile gestire la quasi totalità delle prestazioni, lo rimandai indietro. Non ero interessato a poche funzionalità, magari con tempi e costi aumentati. Quando cinque anni fa ho constatato che esisteva la possibilità di eliminare completamente l’impronta analogica dal mio studio, a partire dall’alginato sino ad arrivare all’impronta di precisione, perché nel frattempo la tecnologia era andata avanti, allora ho acquistato il mio primo apparecchio, con cui faccio sostanzialmente tutto. Da allora conto sulle dita di una mano le impronte analogiche che ho fatto, in situazioni del tutto particolari, perché il sistema consente di operare davvero su tutti i fronti. Dunque, mi sono convertito totalmente al sistema digitale, perché tenere l’uno e l’altro dal mio punto di vista è una scelta non razionale. Il mio è un giudizio forse radicale, lo riconosco, ma è motivato dalla mia esperienza professionale, dal mio lavoro che mi ha spinto in quella direzione. E non lo dico per interessi personali o commerciali, perché il mio è il pensiero di un clinico privo di rapporti con aziende che, visto il successo che stanno avendo, non credo abbiano bisogno del supporto di influencer o di opinion leader. Eppure, quotidianamente, ai congressi e sui social, l’accusa ai molti colleghi che esprimono il loro entusiasmo per il flusso digitale è quella di fare l’interesse di qualcuno, idea che ormai fa sorridere, denotando l’assenza di argomentazioni». Il problema, semmai, è la curva d’apprendimento, che, come per qualsiasi altra novità, richiede tempo e impegno, ammette Poggio. «Imparare a fare la scansione per una corona singola, per un ponte o una corona su impianti è abbastanza facile, mentre più complessa risulta la presa dell’impronta digitale di un’arcata completa su denti o su impianti. Per eseguirle ad arte occorrono pratica ed esperienza, proprio come avviene con il sistema analogico. Nessuno pensa di poter fare un’impronta perfetta di 14 elementi protesici in analogico il giorno dopo aver fatto la sua prima impronta. Per questa ragione, la scansione intraorale passa necessariamente per una curva di apprendimento».

Cosa si nasconde dietro a un’impronta

La paura di sbagliare, tipica di chi ha già lo scanner in studio ma preferisce usare il materiale da impronta, è legittimata dal timore di realizzare una protesi incongrua, ma ancora prima dalla paura di dover far tornare il paziente in studio per una nuova impronta. «È una perdita di tempo che né lo studio, né il paziente possono sostenere», ricorda Poggio. «Il problema è capire cosa cerchiamo in un’impronta. Qui si apre una diatriba infinita, perché ci sono aspetti, finezze del tutto irrilevanti ai fini della buona riuscita del lavoro, che però talvolta preoccupano il clinico. Quello che dovrebbe orientare il nostro lavoro, secondo me, è il risultato che si riesce a offrire al paziente, non tanto la nostra gratificazione professionale, che a volte è fatta di atteggiamenti feticistici più che di vere esigenze funzionali al lavoro stesso. E questa è una critica che può essere estesa anche al mondo odontotecnico».

Il paziente edentulo: un problema, ma non insormontabile

Nella riabilitazione di un paziente edentulo che abbia una protesi pregressa o ancora alcuni denti in bocca, l’impronta può essere acquisita in formato digitale. Diverso invece è il caso del paziente che arriva in studio con una situazione di edentulia totale e in assenza completa di protesi. «In questa situazione», conferma Carlo Poggio, «bisogna necessariamente partire da qualcosa di fisico che faccia da punto di riferimento per accoppiare le due arcate, sebbene ci sarebbe anche il modo di fare tutto in digitale, con passaggi e tempi però un po’ più lunghi. Fino a un certo grado di riassorbimento delle creste ossee, avvalendosi di accorgimenti e di particolari retrattori progettati proprio per questi casi, lo scanner è in grado di rilevare l’impronta in modo corretto. Al di là di un certo limite, invece, per rilevare un’impronta congrua è necessario andare a spingere fisicamente i tessuti molli che non sono sostenuti da alcuna struttura scheletrica. In pratica, è necessario fare una compressione dei tessuti che può essere ottenuta solo utilizzando il materiale da impronta, non certo uno scanner. Stiamo parlando però di un numero limitato di situazioni».

Lo scanner intraorale, più confortevole anche per il clinico

Lo scanner intraorale offre diverse garanzie al paziente, ma anche al clinico. «Di situazioni problematiche con lo scanner in cinque anni non ne ricordo, ma di situazioni imbarazzanti con le impronte analogiche ne ho vissute diverse, come credo sia capitato un po’ a tutti». A chi non è mai successo di estrarre accidentalmente un dente parodontalmente instabile rimasto intrappolato al materiale da impronta? O di non esser riuscito a staccare l’impronta da un’arcata? Senza contare i pazienti che resistono, senza batter ciglio, ma che poi finiscono per mostrare i primi segni di asfissia alla poltrona? «Oggi tiro un respiro di sollievo», dice Poggio con un sorriso, «pensando al fatto che questi problemi, con i sistemi digitali, appartengono ormai al passato. Lo scanner mette a proprio agio il paziente, ma anche l’operatore che lavora più rilassato. Se la scansione presenta problemi, è possibile rilevarlo immediatamente e le parti non adeguate possono essere rifatte, senza buttare via il resto. Invece, l’impronta fisica, se non viene bene, va rifatta per intero». Poggio ricorda l’aneddoto di una signora a cui aveva fatto diverse corone in passato. «L’ultima volta che abbiamo dovuto realizzare una corona, in flusso totalmente digitale, al momento della consegna mi ha detto: “Come mai dottore questa non me la deve ritoccare?” In effetti, a parità di tecnici, e parlando di professionisti di alta qualità, con il flusso analogico c’era costantemente necessità di ritocchi, cosa che il sistema digitale, se ben utilizzato, raramente richiede e comunque in misura molto ridotta».

 

Essere critici e trovare un buon maestro
Mario Semenza, odontoiatra libero professionista a Sant’Angelo Lodigiano, in provincia di Lodi

Mario Semenza, 61 anni, odontoiatra di Sant’Angelo Lodigiano, in provincia di Lodi, ha applicato una sorta di principio prudenziale che gli ha suggerito di restare a guardare per po’ il mondo della scansione intraorale. Documentandosi e osservando l’evoluzione del mercato che di recente ha dato segni di maggiori garanzie di successo, rispetto agli anni di esordio di questa tecnologia.

Quando ha introdotto lo scanner intraorale nel suo studio?
Circa tre anni fa. Ho preferito essere prudente. Siccome ho una certa esperienza nel settore, ho capito che buttarsi sempre e subito sulle novità, coinvolgendo anche i propri pazienti, non è sempre una buona idea. Per questa ragione ho ritenuto giusto aspettare.

Cosa rappresenta l’impronta per un odontoiatra?
L’impronta è la concretizzazione di un anelito di precisione. Non è il pezzo di silicone o di alginato che si toglie dalla bocca del paziente oppure una semplice immagine che vediamo apparire sul monitor. È il momento in cui le conoscenze del team odontoiatrico si estrinsecano in un oggetto fisico o virtuale. D’altra parte, un’impronta bella non sempre è precisa: sta a noi non accontentarci e andare alla ricerca dell’accuratezza e della precisione, con l’uno o con l’altro sistema.

Quale spazio occupa attualmente l’impronta digitale nella sua attività clinica?
Oggi nel mio studio il 30% del lavoro è svolto con sistemi digitali, il 70% con metodi analogici, cioè tradizionali, ma sono percentuali che stanno cambiando rapidamente, perché lo scorso anno il digitale era costituito soltanto dal 5%. Le apparecchiature stanno diventando sempre più performanti.

C’è una cosa che non tornerebbe più a fare con i metodi tradizionali?
La fase di diagnosi, quella che consente di inquadrare il paziente dal punto di vista clinico, e la fase di progettazione del lavoro. Avere una scansione digitale permette di sfruttare i programmi di pre-visualizzazione, ma anche di chirurgia guidata: diventa tutto più semplice, tutto più intuitivo anche per il paziente. Per la parte diagnostica il digitale è vantaggioso, per il resto non vedo benefici così determinanti nell’utilizzo del digitale quando si fa la terapia, anche se io lo uso sempre di più.

In quali circostanze preferisce affidarsi all’impronta tradizionale?
In tutti i tipi di preparazioni che presentano morfologie molto geometriche, difficilmente gestibili dai dispositivi digitali. Le protesi parziali removibili sono complicate da realizzare con le impronte digitali. Anche aggiungere un dente a uno scheletrito non è possibile, o comunque è inutilmente più complesso farlo con lo scanner. Oppure attaccare un gancio a uno scheletrato o fare una riparazione: in questi casi ci si deve affidare alle metodiche analogiche. Vendere lo scanner intraorale come la panacea di tutti i mali è scorretto, come d’altronde anche la qualità della scansione dipende dalla competenza di chi usa lo scanner, che è un mero strumento.

L’impronta tradizionale comporta però qualche svantaggio…
Certo, non c’è dubbio. Con l’analogico si può fare tutto, tuttavia il sistema comporta svantaggi gestionali molto importati, con tempi e costi più alti rispetto al digitale. Con il digitale alcune cose sono vantaggiose. Il work-flow è più easy, i costi sono ridotti, perché i dati non viaggiano su gomma, ma sulla rete, che è più economica.

Che ruolo svolgono i pazienti, spingono verso questa innovazione?
No, i pazienti vogliono avere un lavoro di qualità e siamo noi dentisti che dobbiamo essere capaci di giustificare le nostre scelte, senza lasciarci condizionare né dal mercato, né dai pazienti stessi. I miei pazienti si fidano di me e si affidano a me, senza chiedere nulla. Certo che quando vedono in studio uno strumento altamente tecnologico quale è lo scanner, rimangono colpiti positivamente.

Cosa consiglierebbe a un collega della sua età?
Prima di lanciarsi nell’avventura, gli consiglierei di imparare, di andare a vedere come agiscono i colleghi capaci di usare questa apparecchiatura correttamente, gli suggerirei di capire come funziona. Prima è necessario acculturarsi, secondo me, poi ci si può buttare. Ma è molto importante scegliere bene il professionista a cui rivolgersi. Come? Ci vuole fortuna, perché in realtà i titoli da soli non bastano come garanzia. Quando poi finalmente si trova la persona giusta, ci si accorge della differenza e di quanto sia importante avere un buon maestro anche in questo frangente.

 

Impronta digitale e analogica: un confronto possibile, ma ancora per poco - Ultima modifica: 2023-01-18T17:26:39+00:00 da K4
Impronta digitale e analogica: un confronto possibile, ma ancora per poco - Ultima modifica: 2023-01-18T17:26:39+00:00 da K4

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