Il parodonto, lo specchio dell’odontoiatria

Prof. Luca Francetti

È questa l’immagine che meglio riassume la filosofia di Luca Francetti, milanese, classe 1961, Professore Associato presso l’Università degli Studi di Milano dove insegna Parodontologia e Implantologia e dove dirige la Scuola di Specializzazione in Chirurgia Odontostomatologica, nonché il Centro per la Ricerca in Implantologia Orale che ha sede all’interno dello stesso ateneo lombardo.

Lo diceva sin da bambino che avrebbe voluto fare il medico, come il padre che era un chirurgo, ma a 16 anni improvvisamente cambiò idea, complice l’amicizia con la figlia di un noto dentista milanese. In quegli anni, infatti, ebbe la possibilità di conoscere noti professionisti statunitensi impegnati nei corsi di formazione destinati ai dentisti italiani che frequentavano lo studio del loro collega italiano. Si appassionò all’odontoiatria tanto da decidere che quella sarebbe stata la sua strada, peraltro molto vicina a chi come lui aveva l’hobby del modellismo, un’attività che richiede elevate capacità manuali, proprio come l’odontoiatria. Così, dopo aver conseguito la maturità classica al Liceo “Giuseppe Parini” e la laurea in Medicina e Chirurgia (con il massimo dei voti e lode) all’Università degli Studi di Milano, decide di intraprendere la Specializzazione in Odontostomatologia, nonostante il parere contrario del padre che per il figlio avrebbe preferito la carriera del chirurgo e non quella del dentista, professionista allora visto come medico di serie “B”. Quella dell’odontostomatologia fu una decisione maturata sì negli anni dell’adolescenza, ma consolidatasi solo a partire dal quarto anno di Medicina, quando Luca inizia a frequentare la Clinica Odontoiatrica dell’Ospedale San Paolo di Milano, diretta dal Professor Giorgio Vogel che affida il giovane studente alla cura di Roberto Weinstein, allora ricercatore universitario. Ė con lui che Francetti inizia la sua carriera universitaria che sostanzialmente, come lui stesso racconta, si è svolta accanto alla persona che ancora oggi considera maestro, ma anche fratello maggiore e amico. Luca Francetti ha collaborato con Weinstein sia in ambito universitario, sia in quello della libera professione, sino a divenirne socio, pubblicando oltre un centinaio di studi sulle più prestigiose riviste scientifiche nazionali e internazionali. Ė stato Presidente della Società Italiana di Parodontologia nel biennio 2010-2011 e dal 2011 al 2013 delegato della SIdP presso la EFP (Federazione europea di parodontologia). Docente di Parodontologia e Implantologia presso l’Università degli Studi di Milano, dove dallo scorso anno è Direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Odontostomatologica, è anche responsabile del Centro per la Ricerca in Implantologia Orale che ha sede all’interno dello stesso ateneo lombardo e di cui è stato il promotore.

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Professor Francetti, quanto è stato importante per lei trovare un maestro come Roberto Weinstein?

Per me è stato fondamentale da tutti i punti di vista, perché insieme a Roberto Weinstein ho costruito la mia vita professionale, accademica e libero professionale. Sono entrato in società nello studio che lui aveva ereditato dal padre nel 1990, lo studio più vecchio di Milano: dal 1946, quando fu aperto, non ha mai cambiato sede. Tuttavia, la sua guida è stata importante soprattutto per la mia vita accademica, perché al suo fianco ho costruito il mio percorso, prima come Professore a contratto, poi come Ricercatore universitario nel 1997 e dal 2005 come Professore associato.

A quando risale invece il suo interesse per la Società Italiana di Parodontologia?

A quando ero ancora studente in Medicina e Chirurgia e il Professor Vogel, l’altro mio punto di riferimento professionale, era presidente di questa società scientifica, mentre Roberto Weistein, allora dottore, ne era il segretario. Iniziai a frequentare i primi congressi dell’associazione dunque che non ero ancora laureato: quella fu per me un’esperienza fondante, perché mi consentì di essere vicino ai più grandi professionisti del settore, italiani ma anche stranieri, invitati dalla Società a tenere conferenze, corsi e congressi. Fu un’opportunità straordinaria, come quella di diventare socio attivo nel 1999, poi Presidente nel biennio 2010- 2011, e infine delegato all’interno della Federazione Europea di Parodontologia fino allo scorso anno.

I giovani di oggi sono ancora alla ricerca di un maestro, di esperienze fondanti?

Dipende dagli obiettivi, tuttavia chi è interessato ad arricchire il proprio bagaglio culturale e di esperienza non può chiudersi in se stesso, ma deve rimanere in contatto con il mondo odontoiatrico, che è in continua evoluzione, e per questo avere un maestro può essere molto utile se non indispensabile.

Quando è nato il Centro per la Ricerca in Implantologia Orale?

Di cosa vi occupate in particolare? È nato nel 2008 su mia iniziativa. L’idea è stata quella di realizzare, all’interno dell’Università degli Studi di Milano, una struttura autonoma dal punto di vista amministrativo e finanziario, dove poter compiere ricerche nell’ambito dell’implantologia. Questo è stato possibile grazie al finanziamento di alcune aziende leader mondiali nel mercato implantare che hanno creduto nel progetto e messo a disposizione contributi finalizzati a questi studi che hanno permesso di coagulare attorno a un’istituzione universitaria clinici e ricercatori, italiani e stranieri, esperti di questa materia, ma anche istituzioni. Ad esempio, grazie ai legami che abbiamo allacciato con il Politecnico di Milano, siamo riusciti a eseguire molti studi di biomeccanica mediante gli elementi finiti, su molti aspetti non ancora indagati a fondo nell’ambito dell’implantologia.

A proposito di implantologia, a che punto è oggi questa disciplina?

L’implantologia attuale è molto diversa da quella ideata da Brånemark alla fine degli anni ’60 e, purtroppo, per molti clinici rappresenta la soluzione a problemi che potrebbero essere risolti in modo tradizionale e convenzionale. L’implantologia è una tecnica utile che ha rivoluzionato i piani di trattamento del cavo orale, la riabilitazione delle edentulie totali o parziali, ma che tuttavia molto spesso è stata usata impropriamente. L’idea, purtroppo diffusa ancora oggi, è che sia più conveniente posizionare un impianto anziché impegnarsi a ricostruire denti compromessi o intervenire sul parodonto per poi procedere con una riabilitazione sui denti naturali, quelli che in fondo i pazienti desidererebbero mantenere il più a lungo possibile.

Dove si sta indirizzando invece la ricerca?

Da una parte sta andando verso la riduzione dei tempi di carico e questo, se da una parte può rappresentare un vantaggio, dall’altra, essendo in contrasto con i principi biologici, pone il soggetto di fronte a maggiori rischi di complicanze. Per contro, la ricerca si sta indirizzando anche verso la semplificazione delle procedure, suggerendo l’utilizzo di impianti più corti o da posizionare con una cerca inclinazione per sfruttare meglio l’osso disponibile, per non interferire con le strutture nervose, in sintesi per garantire un risultato sicuro e a lungo termine con una morbilità ridotta. Anche l’idea della perimplantite quale complicanza infettiva viene messa in discussione da un’altra ipotesi e cioè che questa patologia sia causata dalla rottura di un equilibrio, l’osseointegrazione, vista come reazione da corpo estraneo stabilizzata nel tempo. Ovviamente, qualunque sia la causa primaria che porta alla perdita di una quota di supporto perimplantare, dato che ci troviamo in un ambiente ricco di microorganismi, si verificherà la colonizzazione delle superfici implantari da parte dei batteri e questo è un problema oggi di grande attualità e, immagino, anche per il futuro.

Questo porrebbe problemi nuovi…

No, metterebbe solo in discussione l’approccio all’implantologia, non tanto e solo ai dispositivi, quanto alle metodiche. Esistono studi longitudinali (con follow-up sino a 23 anni) che mostrano come gli impianti posizionati seguendo i principi biologici descritti da Brånemark, stabiliti senz’altro in modo empirico, come è stato scritto molti anni dopo da Szmukler Moncler, ma efficace, abbiano possibilità di successo vicino al 100%. Viceversa, gli impianti oggi in commercio sono differenti, i protocolli chirurgici sono stati modificati ma non esistono studi longitudinali altrettanto lunghi relativi a questi approcci: in altri termini, dovremmo avere sempre ben presenti i principi biologici e mettere in secondo piano altre esigenze che, a volte, sembrano guidare il piano di trattamento e la sua esecuzione.

I giovani hanno consapevolezza di questo?

Dipende dalla formazione che hanno ricevuto. Aver seguito un percorso formativo di un certo livello all’interno di un ateneo ben qualificato nel settore, dove queste tipologie di interventi vengono applicate con rigore scientifico e con expertise documentato nei fatti da anni e anni di esperienza, è diverso dal seguire i corsi organizzati dalle aziende che hanno come unico obiettivo, peraltro legittimo, quello di vendere l’impianto e non di formare gli operatori.

Di cosa parlerà il prossimo 3 ottobre, a Milano, in occasione del convegno organizzato da Il dentista moderno?

All’interno del congresso “L’odontoiatria orientata al paziente e l’importanza del team” parlerò delle possibilità terapeutiche negli elementi dentari parodontalmente compressi, in pratica di come mantenere lo stato di salute e come risanare i siti compromessi, partendo dalla terapia non chirurgica per arrivare a quella chirurgica e di supporto. Il parodonto è lo specchio dell’odontoiatria eseguita in un paziente: se il margine di un restauro non è corretto, il parodonto reagisce ritirandosi, quindi esponendo una quota di radice, oppure andando incontro a un processo infiammatorio. Osservando il parodonto di un soggetto si ha subito consapevolezza di come sia stata eseguita una pratica odontoiatrica. D’altro canto, il parodonto è l’apparato di sostegno dei denti oltre che degli impianti, per questo va preservato e curato prima di eseguire altri trattamenti, perché senza sane fondamenta tutto quello che costruiamo sopra è a rischio di sopravvivenza.

Il parodonto, lo specchio dell’odontoiatria - Ultima modifica: 2014-09-30T12:02:13+00:00 da Redazione

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