Endodonzia: sigilli vecchi e nuovi a confronto

Il canale viene chiuso con un cemento bioceramico di terza generazione

Guttaperca, cementi classici e bioceramici sono i materiali oggi impiegati per eseguire le chiusure endodontiche. Rispetto a ieri, pongono il clinico di fronte alla scelta anche di nuovi materiali e protocolli, come spiegano due noti specialisti del settore, Marco Bucci e Gianluca Fumei, ai quali abbiamo affidato il compito di chiarire i termini della delicata questione. Negli ultimi due decenni abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione nell’endodonzia. I protagonisti di questo cambiamento epocale sono stati sostanzialmente due: l’introduzione degli strumenti rotanti in lega Nikel Titanio e la diffusione di materiali da riparazione ed ora da chiusura canalare appartenenti alla famiglia dei bioceramici.
A ricordarlo sono Marco Bucci e Gianluca Fumei, Certified Members dell’European Society of Endodontics (ESE), clinici e formatori in ambito endodontico e restaurativo. «La ricerca», spiegano i due esperti, «ha messo a disposizione qualcosa che credevamo impossibile fino a poco tempo fa.
L’evoluzione tecnologica ha sicuramente indotto una democratizzazione dell’endodonzia e i colleghi più giovani non possono che giovarsi di tutto questo. La facilità con cui si può imparare a padroneggiare uno strumento rotante di moderna concezione e le performance cliniche che questi materiali possono offrire, consentono una visione decisamente ottimistica del presente e del futuro della pratica endodontica. Un buon livello di pratica clinica è oggi raggiungibile con una curva di apprendimento più breve e, per certi versi, meno operatore dipendente».
Semmai, oggi, concordano i due specialisti, c’è il rischio di tralasciare le basi per rincorrere la modernità. «Per questa ragione, il ruolo dei docenti, siano essi pre-graduate o post-graduate, è quello di creare fondamenta ben salde per poter poi costruire una solida conoscenza endodontica che, grazie al continuo miglioramento dei mezzi tecnici, possa portare all’eccellenza clinica».

Materiali e strumenti

Gianluca Fumei, socio attivo dell’Accademia italiana di endodonzia (Aie) e della Società italiana di endodonzia (Sie)

In che rapporto stanno i materiali rispetto agli strumenti? «Sono entrambi aspetti fondamentali della terapia endodontica», spiega Gianluca Fumei, socio attivo dell’Accademia italiana di endodonzia (Aie) e della Società italiana di endodonzia (Sie), nonché profondo conoscitore del microscopio operatorio, che ha imparato ad usare frequentando il Microscope training center della University of Pennsylvania. «D’altro canto, essi sono solo un’arma al servizio dell’odontoiatra, tanto che la triade cervello-occhi-mani resta la conditio sine qua non per poter eseguire una terapia corretta: strumenti e materiali sono sostanzialmente complementari nella riuscita di ogni nostro atto medico. Non esiste chiusura senza una buona preparazione dell’endodonto; al contempo, una buona strumentazione senza un corretto sigillo può minare l’efficacia di tutti gli sforzi precedenti. Non ritengo ci sia una prevalenza di una categoria sull’altra, ma una sinergia dove tutto il contesto terapeutico perde di significato senza anche uno solo dei suoi attori».

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I cementi classici, ruolo e modalità d’impiego

Marco Bucci, professore a.c. presso l’Università degli Studi di Milano per l’insegnamento di Materiali dentari.

«I materiali bioceramici sono un’evoluzione tecnologica che ha fornito molte più frecce all’arco di noi endodontisti», dice Marco Bucci, professore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano per l’insegnamento di Materiali dentari. «I cementi classici però rimangono assolutamente utili. Sono utilizzati quotidianamente. Se ci basiamo sulla letteratura scientifica dobbiamo aspettare ancora qualche anno per essere sommariamente sicuri della durata a lungo termine di questi nuovi materiali e le indicazioni dei classici sistemi di chiusura non sono sicuramente venute meno». Recentemente, ricorda Bucci, sono stati pubblicati articoli che mettono in guardia sulla resistenza oltre i quindici anni dell’MTA, il precursore di tutta questa classe di materiali. «La possibilità di poter scegliere», spiega, «è perciò sempre un vantaggio per il clinico ed oggi siamo nella condizione di adattare l’utilizzo dei vari materiali alla singola situazione contingente. I cementi ZOE, cioè quelli a base di ossido di zinco ed eugenolo, e quelli resinosi rimangono il gold standard per le chiusure endodontiche ortograde».
«Le tecniche di chiusura canalare con guttaperca scaldata sono ormai standardizzate e studiate da decenni», aggiunge Gianluca Fumei, questa volta nella sua veste di Specialist Member dell’American Academy of Endodontics (Aae). «Le due grandi famiglie in cui si dividono sono quelle assimilabili alla chiusura verticale a caldo e alle sistematiche carrier-based. Ogni preparazione canalare ha la sua tecnica di chiusura, almeno secondo un’indicazione di massima; infatti, la strumentazione con conicità .06 è perfetta per il primo gruppo. Con questa sistematica dobbiamo però essere in grado di portare un plugger a circa 4mm dall’apice. I sistemi carrier-based invece non hanno tale necessità, poiché il calore in grado di deformare la gutta è generato prima di inserire il sistema nel canale».
Nella diatriba su quale sia la tecnica migliore, sottolinea Fumei, va considerato anche il costo. «Sicuramente le sistematiche carrier-based prevedono un onere decisamente maggiore. Tutte le diverse declinazioni però hanno un comune denominatore: è la guttaperca a chiudere e sigillare il canale e il cemento ha il ruolo di compensare i microgap, andando a perfezionare l’effetto della gomma».

I bioceramici, campioni di resistenza

I cementi bioceramici sono materiali da chiusura canalare della famiglia dei silicati tricalcici. «Il precursore di questa ormai grande famiglia», spiega Marco Bucci «è l’MTA (Mineral Triossi Aggregato), materiale perfezionato da Mahmoud Torabinejad negli anni Novanta. Dalle prime apparizioni in letteratura di questo rivoluzionario cemento, diverse generazioni di bioceramici si sono susseguite nei decenni successivi, fino ad arrivare, oggi, a guadagnare le luci della ribalta con le loro prestazioni davvero eccellenti. In principio le uniche formulazioni presenti sul mercato (consistenza che oggi viene definita putty) permettevano un utilizzo limitato alla terapia dei danni iatrogeni e della chiusura degli apici ad ampio diametro; in seguito, si è arrivati a un miglioramento della maneggevolezza - che nelle prime generazioni di materiali richiedeva una curva di apprendimento decisamente lunga - e alla possibilità di avere formulazioni più fluide, che ne hanno consentito l’utilizzo come cementi canalari». Tra le loro caratteristiche spiccano l’estrema biocompatibilità, la capacità di indurre riparazione dei tessuti compromessi a livello pulpare e parodontale, la resistenza alle sollecitazioni meccaniche, le spiccate proprietà antibatteriche e la stabilità a lungo termine. L’utilizzo più comune prevede una sistematica di chiusura a freddo con cono singolo.

Un pregiudizio da sfatare

Quello che Gianluca Fumei vuole smentire è il luogo comune secondo il quale tutti i cementi endodontici sarebbero uguali. «Ogni materiale o, quantomeno, ogni famiglia di materiali possiede proprie peculiarità e, di conseguenza, proprie indicazioni, caratteristiche e modalità d’utilizzo», spiega. «È’ importante conoscere quello che utilizziamo per poterne trarre i maggiori vantaggi per i nostri pazienti. Da ciò deriva una sorta di monito o, se vogliamo, un consiglio: come un’auto da corsa offre performance superiori rispetto a quelle comuni, ma allo stesso tempo necessita di estrema perizia per essere “domata”, allo stesso modo le proprietà che vantano questi materiali, per essere sfruttate, richiedono una profonda conoscenza dell’endodonzia, un accurato studio dei materiali e una perizia clinica assoluta».

Per la guttaperca la pensione è ancora lontana

La guttaperca, associata ai vari cementi canalari, è e rimane il materiale d’elezione per le chiusure endodontiche, concordano i nostri esperti. «Con l’avvento dei cementi idraulici, il paradigma di utilizzo è mutato», afferma Marco Bucci «ma la guttaperca è sempre presente nello scomparto dei materiali da chiusura canalare. Le diverse declinazioni di utilizzo (cono singolo a freddo, a caldo e carrier-based) la rendono protagonista assoluta dell’ultima fase di ogni terapia canalare. Se verrà sostituita un giorno? Difficile a dirsi: vent’anni fa strumentavamo i canali a mano, dieci anni fa avevamo a disposizione solo i cementi “classici” con le loro limitazioni… forse tra dieci anni potremo mettere in pensione la nostra tanto amata guttaperca».

Cementi classici o bioceramici? questione (anche) di costi

Chiudere un canale con un cemento o con un altro non influisce significativamente sull’economia delle tempistiche di una terapia canalare, ma se vogliamo parlare di costi, allora la differenza diventa sostanziale. «Dal punto di vista economico, la grossa differenza è storicamente tra sistematiche a cono singolo e metodiche carrier-based», spiega Gianluca Fumei. «Queste ultime hanno un costo a canale decisamente più elevato. L’avvento dei cementi idraulici, o bioceramici che dir si voglia, ha introdotto un nuovo step in questa scala ed è, almeno fino a oggi, quello più oneroso».
L’elevato costo di questi materiali fa spesso convergere le scelte del clinico relativamente al loro utilizzo solo in determinate condizioni cliniche. «Per chi si siede sulla poltrona del dentista l’utilizzo di un materiale al posto di un altro non ha un riscontro immediato: il nostro auspicio è quello che possa garantire una maggiore permanenza dell’elemento trattato nella bocca del paziente. Come si diceva in precedenza, l’analisi di questo dato non è ancora fattibile perché mancano i controlli a lungo termine dei denti trattati, ma questo solo per ragioni, per così dire, anagrafiche del materiale».

I dubbi dei generalisti

Gli specialisti stanno sicuramente accogliendo questi materiali con ottimismo, fanno sapere i dottori Bucci e Fumei. «Sempre più endodontisti utilizzano cementi idraulici in casistiche sempre più ampie», precisa Marco Bucci. «Semmai, il rischio è quello di farsi trascinare dall’onda della novità e del clamore che stanno suscitando: negli anni abbiamo imparato, a nostre spese, che è sempre meglio mantenere un atteggiamento razionale; troppe volte ci è stata presentata una certa soluzione come la panacea di tutti i mali dell’endodonzia, nonostante in realtà non sia mai stata tale. Di sicuro ciò che osserviamo quotidianamente ci fa ben sperare, e noi siamo inguaribili ottimisti».
Per quanto riguarda gli odontoiatri generalisti, invece, secondo Bucci forse tra loro è ancora presente qualche dubbio in merito all’utilizzo di questa classe di composti. «Oltre al costo, le remore nel ricorrere a tali cementi potrebbero essere correlate alla possibile difficoltà nel ritrattare i canali otturati con questa tecnica, qualora se ne verificasse la necessità. Tuttavia, mi sento di dire che una procedura eseguita scrupolosamente unita, di nuovo, all’accurata conoscenza delle caratteristiche del materiale possono mettere al riparo da tali timori ed evenienze avverse».

Cosa resta da imparare

Anche in endodonzia la strada da percorrere per arrivare a destinazione, meta ideale della conoscenza che in virtù dei progressi scientifici e tecnologici continua a spostarsi inesorabilmente in avanti, è ancora lunga, anche per gli assistenti di studio odontoiatrico che lavorano accanto al clinico e dunque devono avere competenze sempre più avanzate anche in questo ambito. «L’endodonzia ci pone ogni giorno davanti a dilemmi diagnostici e terapie che i limiti tecnologici odierni rendono talvolta incerte», concludono i due esperti di endodonzia. «La sfida che noi docenti, clinici e ricercatori affrontiamo è quella di tentare di fare ogni giorno un passo avanti, alla ricerca di un continuo miglioramento nell’utilizzare ciò che abbiamo a disposizione e nell’inventare o scoprire sempre nuovi materiali o strumenti a sicuro vantaggio dei nostri pazienti. Quindi, da imparare e da scoprire c’è molto. Il medico ha il dovere di aggiornarsi e di essere sempre al passo con i tempi o, magari, si auspica, un passo avanti; ma ha anche il compito di istruire il personale del proprio team di lavoro per rendere la macchina “studio odontoiatrico” efficace ed efficiente. L’Aso, dal suo canto, deve conoscere al meglio tutto ciò che lo circonda nello studio per essere in grado di discernere quello che è necessario durante la terapia e fornire al medico quel prezioso e imprescindibile aiuto che permette quotidianamente di portare a termine ogni singola terapia»

Chiusura canalare con cemento bioceramico di terza generazione

Nel caso clinico qui presentato vengono eseguiti tre intarsi in composito sugli elementi 34-36-37 (Figura 1). L’elemento 34 necessita inoltre di un ritrattamento endodontico (Figura 2). Previa anestesia si procede alla preparazione delle cavità per gli intarsi (Figura 3).
Nella stessa seduta viene eseguita la terapia canalare (Figure 4-5). Il canale viene chiuso con un cemento bioceramico di terza generazione (Figure 6-7). A seguito della ricostruzione post endodontica si esegue una scansione delle arcate con gli elementi preparati. Infine, vengono cementati gli intarsi mediante un cemento duale (Figura 8, immagine eseguita alla rimozione dell’isolamento).

 

 

Endodonzia: sigilli vecchi e nuovi a confronto - Ultima modifica: 2023-02-16T17:01:10+00:00 da K4
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