È giustificata la cone beam nella moderna endodonzia?

Come già sottolineato in diversi altri lavori, l’endodonzia è una pratica che diversi professionisti temono o, quantomeno, in un certo senso “rispettano”. Uno dei tanti elementi che possono essere citati a sostegno di questa tesi è il fatto che si tratti di una disciplina che per definizione obbliga il clinico a lavorare alla cieca o, meglio, che non presenta uno strumento diagnostico diretto. Volendo fare un esempio pratico, il parodontologo ha come primo mezzo di diagnosi la sonda parodontale: questa fornisce un dato diretto del sito parodontale, dato che può essere facilmente addizionato alla radiografia endorale (eventualmente anche nella forma dello status radiografico). Se necessario è possibile procedere ad un semplice esplorazione chirurgica garantendo al paziente una morbilità accettabile.

Certo, dalla sua l’endodontista esplora gli spazi canalari con file sottili e vi addiziona l’uso del rilevatore apicale. Tuttavia, gli ostacoli che si incontrano al sondaggio, la forma del file estratto, le indicazioni del rilevatore devono sempre essere interpretate: questa capacità, pur posando su di una imprescindibile base teorica, passa necessariamente attraverso l’esperienza clinica e lo sviluppo della sensibilità tattile. L’endodonzia chirurgica, poi, non rappresenta tanto uno strumento diagnostico, quanto il vertice di un albero terapeutico, da utilizzare nei casi non risolvibili per via ortograda.

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Un appunto doveroso, poi, è che questo articolo non pone l’accento sulla necessità di utilizzare adeguati sistemi di ingrandimento, necessità semplicemente non più dibattuta al giorno d’oggi, almeno in endodonzia.

Il punto è che esiste una serie di variabili che possono essere sospettate clinicamente, ma che difficilmente forniscono riscontro diretto, anche ad un operatore esperto: la presenza di canali accessori, le anatomie canalari bizzarre tipiche di alcuni elementi, le lesioni combinate, alcuni processi calcifici e di riassorbimento radicolare, le difficoltà dei ritrattamenti e i possibili danni iatrogeni precedentemente misconosciuti sono solo alcune di queste.

L’utilizzo del supporto radiodiagnostico rimane per questo una tematica sempre attuale e che, anzi, sta andando ancora incontro ad innovazioni. L’argomento è stato approfondito dal dott. Roberto Fornara durante l’8° Simit Day, tenutosi a Verona lo scorso 14 maggio, evento seguito con vivo interesse da il Dentista Moderno.

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Al di là delle comuni radiografie intraorali periapiacali, in cui si sta definitivamente portando a compimento il passaggio da analogico a digitale, è oggi oggetto di forte interesse il ruolo dell’indagine tridimensionale. La possibilità di utilizzare sistemi di micro CBCT, basati su FOV (fields of view) estremamente contenuti e dosi radianti accettabili ha reso questa metodica una realtà clinica percorribile. Essa trova naturalmente applicazione nella diagnosi di patologie endodontiche estremamente complesse (comprese le stesse lesioni endo-perio), nei casi di elementi ripetutamente trattati, traumatizzati, affetti da segni di riassorbimento radicolare esterno, o in vista di interventi di endodonzia chirurgica.

In conclusione, pare importante citare almeno due controindicazioni o, meglio, false indicazioni.

Non è banale ricordare per prima l’indagine delle lesioni cariose: al di là di quanto possa essere giustificabile l’esame in sé, è bene sottolineare come difficilmente questo fornisca elementi diagnostici sufficienti.

Infine, la micro CBCT perde utilità in presenza di importanti restauri a base metallica, dai quali possono derivare artefatti.

Si allega un interessante video che introduce alla metodica.

È giustificata la cone beam nella moderna endodonzia? - Ultima modifica: 2016-05-22T07:05:43+00:00 da redazione

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