Efficacia dell’inserimento implantare sottocresta: risultati di un test con lungo termine di follow-up

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Limitare la perdita di osso crestale intorno agli impianti è un approccio efficace nell’assicurare la stabilità dei tessuti molli e il successo a lungo termine del trattamento. Dal punto di vista bioingegneristico, l’interfaccia impianto-abutment e le relative posizioni rispetto alla cresta ossea ha un diretto impatto sulla perdita marginale. Più recentemente, è stato evidenziato il ruolo dell'altezza dell’abutment nello stabilire la distanza biologica perimplantare: anche questo elemento è in grado di intervenire sulle variazioni del livello osseo perimplantare.

L’adozione di una connessione interna conica e il platform-switching possono proteggere i tessuti dalle infiltrazioni batteriche e dall’infiammazione, ridurre il microgap all'interfaccia impianto-abutment, aumentando la distanza dalla cresta ossea e anche favorire la formazione di una barriera connettivale.

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Impianto inserito subcrestale

Il posizionamento subcrestale dell’impianto evita l’esposizione delle spire a seguito dell’iniziale rimodellamento della cresta ossea, favorisce la realizzazione di un profilo di emergenza esteticamente ottimale e anche la guarigione della papilla.

Siqueira e colleghi, in apertura del loro articolo recentemente apparso su Clinical Oral Implants Research, hanno constatato la necessità di trial randomizzati a lungo termine sul tema. Gli autori hanno pubblicato i risultati di uno studio volto ad analizzare la risposta dei tessuti, duri e molli, al posizionamento di impianti a connessione interna conica, inseriti a profondità diverse (iuxta e, appunto, sottocrestale), a un follow-up di 5 anni.

Lo studio ha seguito un modello split-mouth e ha coinvolto 11 pazienti, che hanno ricevuto un totale di 55 impianti, di cui 28 in posizione iuxtracrestale e 27 inseriti sottocresta di 1-3 mm.

Tutti gli impianti sono stati sottoposti a carico immediato. Le variazioni dell’osso crestale sono state valutate tramite radiografie intraorali standardizzate, eseguite al baseline, poi a 4, 8 e appunto a 60 mesi dall'inserimento dell'impianto.

Secondariamente, è stata indagata la correlazione tra lo spessore della mucosa verticale e la formazione di recessione a livello dei tessuti molli.

Il tasso di sopravvivenza di impianti e protesi è stato del 100%. Il posizionamento subcrestale ha comportato una perdita di osso restale (-0.80 mm) inferiore rispetto alla posizione iuxtacrestale (-0.99 mm), differenza che però non è risultata statisticamente significativa. L’eventuale manifestazione di recessioni mucose non è risultata influenzata dalla profondità di inserimento dell’impianto. L’unico caso di esposizione delle spire, nei 5 anni, si è comunque manifestato in un impianto iuxtacrestale.

In conclusione, le indicazioni relative all’inserimento sottocrestale non sono sufficienti a considerare tale metodica maggiormente predicibile rispetto alla posizione iuxtacrestale, quantomeno non per quanto concerne i criteri indagati. La metodica può essere comunque indicata come sicura in termini assoluti, anche sul lungo termine.

Riferimenti bibliografici

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/318865

Efficacia dell’inserimento implantare sottocresta: risultati di un test con lungo termine di follow-up - Ultima modifica: 2020-03-29T13:05:41+00:00 da redazione
Efficacia dell’inserimento implantare sottocresta: risultati di un test con lungo termine di follow-up - Ultima modifica: 2020-03-29T13:05:41+00:00 da redazione

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