La tecnica socket shield rientra nella famiglia delle terapie estrattive parziali, facente comunque parte delle procedure di preservazione ossea e rigenerazione guidata a scopo implantare.
La procedura è stata definita da Hürzeler (2010) e prevede il mantenimento di un frammento del terzo coronale del segmento vestibolare del dente – questo frammento viene definito scudo (shield) – al fine di prevenire o, quantomeno, limitare il riassorbimento osseo dopo il completamento dell’estrazione.
La procedura prevede la mancata lussazione del frammento, così come la limitazione del trauma per i tessuti molli.
Normalmente, la chirurgia implantare propriamente detta, ovvero l’inserimento dell’impianto, viene eseguita subito in fase postestrattiva.
La tecnica, seppur relativamente giovane, è stata fatta già oggetto nel 2017 della revisione sistematica di Gharpure: questa ha però constatato che, al momento, le evidenze non erano sufficienti a definire la procedura come predicibile sul lungo termine.
Nel pur breve periodo intercorso da quella pubblicazione, Ogawa ha constatato la comparsa di diverse nuove evidenze scientifiche. Pertanto, con il suo gruppo di lavoro, ha reputato di produrre un aggiornamento: la nuova revisione sistematica è stata recentemente pubblicata sul Journal of Prosthodontic Research, la rivista ufficiale della Japan Prosthodontic Society.
La ricerca ha coinvolto le banche dati PubMed-Medline, Google Scholar e ScienceDirect. Da ciascuna delle prime due sono stati selezionati 44 potenziali articoli, 102 dalla terza, ai quali ne vanno aggiunti altri 19 reperiti tramite ricerca manuale, per un totale di 209. Di questi, 39 sono stati valutati nella loro interezza e, da lì, ulteriormente dimezzati. Infine, 20 lavori sono stati inclusi nella revisione sistematica: uno studio randomizzato controllato, 2 di coorte, 14 case report e 3 case series retrospettivi. Complessivamente, la revisione fa riferimento a un totale di 288 pazienti trattati con socket shield e impianto immediato, con un follow-up compreso tra 3 e 60 mesi.
Il 90.5% dei trattamenti si sono risolti positivamente, senza andare incontro a complicanze. La maggior parte dei casi seguiti per più di 12 mesi, dopo l'inserimento dell'impianto, ha ottenuto un valido compenso estetico.
Il restante 9.5% dei siti implantari ha sperimentato complicanze o effetti avversi relativi al socket shield. Il tasso di successo è stato giudicato comunque accettabile, nonostante alcuni fallimenti siano stati effettivamente da imputare a mobilità, spostamento, esposizione o infezione dello shield.
In conclusione, pur dovendo ammettere l’ulteriore necessità di studi a lungo termine per poter fornire indicazioni definitive in tal senso, gli autori hanno constatato come le evidenze supportino, già oggi, l’impiego clinico della tecnica socket shield.