Nel segmento più recente di storia delle discipline odontoiatriche, la parodontologia (che ormai comprende a tutti gli effetti anche l’implantologia) rappresenta forse l’ambito maggiormente soggetto a innovazioni, sia per quanto riguarda le basi teoriche (basti pensare alla nuova classificazione della malattia parodontale che per quanto riguarda le metodiche cliniche e operative.
Il presente articolo, che fa riferimento alla più ampia revisione pubblicata lo scorso anno da Elashiry e colleghi sul Journal of Clinical Periodontology, vuole considerare l’evoluzione a cui è andata incontro la procedura diagnostica basilare della parodontologia, ovvero il sondaggio parodontale.
Lo strumento fondamentale è, evidentemente, la sonda parodontale. Il paradigma attuale si basa sulla sonda millimetrata, che può essere in realtà definita come una sonda di prima generazione, al pari della sonda dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO), dotata di una pallina alla punta, le sonde dell’Università del Michigan e di quella della North Carolina e la sonda Goldman‐Fox. Le sonde di questo tipo sono di uso molto semplice ma soggette a criticità legate alla ripetibilità della pressione applicata al sondaggio ma anche all’anatomia tridimensionale della tasca, aspetto questo spesse volte sottovalutato.
Le sonde di seconda generazione, pressure-sensitive, rispondono alla richiesta di standardizzare la forza di penetrazione. Tali prodotti sono stati sviluppati già a partire dagli anni ’70. I possibili errori sono in questo caso legati principalmente alla difficoltà di lettura delle misurazioni.
Ecco dunque che le sonde di terza generazione sono in grado di combinare l’applicazione controllata delle forze con la rilevazione automatizzata (cioè computerizzata) della misurazione. A questa tipologia appartengono prodotti quali la sonda di Foster Miller, di Goodson e Kondon (a fibra ottica), le sonde Florida e Toronto. In questo caso la problematica principale che permane è il rischio di eccessiva penetrazione (quindi la sovrastima della misurazione) dell’epitelio giunzionale lungo in corso di infiammazione.
Da ultima, la quarta generazione è rappresentata da sonde a ultrasuoni, vere e proprie applicazioni della tecnologia ecografica. La sonda raccoglie quindi gli echi delle onde ultrasonore (che essa stessa produce), riflesse dalla cresta ossea: la misurazione che deriva dalla ricostruzione effettuata dal computer. Questo tipo di esame fornisce anche indicazioni tridimensionali. Soffre tuttavia della complessità di interpretazione – del resto la stessa ecografia rimane tuttora un esame operatore dipendente – e dei costi.
La seconda parte dell’articolo tratterà invece l’applicazione delle tecniche di diagnostica per immagini (livello successivo rispetto al sondaggio) alla clinica del parodonto e l’evoluzione in questo ambito.