Dalla stomatologia, le idee per una nuova odontoiatria

Francesco Spadari è nato a Milano nell’Aprile del 1956. All’età di 13 anni capitò per caso in un laboratorio di odontotecnica. Rimase affascinato dai calchi di gesso, dalla cera, dai denti, in una parola, dall’atmosfera che si respirava in quel luogo. Pensò che sarebbe stato conveniente per lui, figlio di operai, acquisire un diploma facilmente spendibile sul mercato del lavoro e intraprendere dunque la professione di odontotecnico. Una conclusione, ricorda, a cui giunse da solo, in piena autonomia. Così, iniziò il suo percorso formativo: la scuola, per conseguire il diploma, e il lavoro, sul campo. Le ripetute visite negli studi odontoiatrici, per consegnare i manufatti realizzati nel laboratorio, lo convinsero che forse un giorno avrebbe potuto fare anche un altro mestiere, il dentista.

Così, giunto alla maturità odontotecnica, si recò in via Festa del Perdono, dove ha sede l’Università degli Studi di Milano, e prese informazioni dagli studenti sparsi qua e là nei chiostri dell’ateneo. Si confrontò anche con i genitori, rassicurandoli sulle sue intenzioni, sulle sue motivazioni: avrebbe studiato di giorno e lavorato la sera. Così, nel 1975, si iscrisse al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, con l’obiettivo poi di intraprendere la specializzazione in Odontostomatologia, l’unica strada allora praticabile per poter esercitare la professione odontoiatrica. I primi anni di studio furono duri, ricorda Spadari: «Ero carente in Chimica e Fisica e nelle materie di base», racconta, «così decisi di prender lezioni private per colmare le numerose lacune». Alla fine del terzo anno, Francesco si accorse che gli sforzi non erano stati vani: molti suoi compagni, infatti, provenienti dai licei, anche da quelli più prestigiosi della città, non avevano raggiunto i suoi stessi risultati, forse anche perché non sufficientemente motivati. Nel novembre del 1977 il giovane studente, per un caso fortuito, incontrò il professor Oscar Hoffer, l’allora direttore della Clinica Odontoiatrica.

Pubblicità

Questi, pubblicamente, nel corso di un congresso, dichiarò che avrebbe aperto le porte della struttura ai giovani studenti desiderosi di diventare odontoiatri. «Ero l’unico studente di Milano presente a quel congresso», ricorda Spadari, «con timido entusiasmo mi rivolsi al Prof. Hoffer e gli dissi che mi sarebbe piaciuto frequentare la sua Clinica e…». In quell’ambiente, conobbe i nomi più noti e accreditati dell’odontoiatria di quegli anni. Proseguendo negli studi universitari, iniziò ad apprezzare anche e sempre più la medicina e a curare l’aspetto scientifico, biologico e della ricerca in ambito odontoiatrico. Ebbe la fortuna di seguire gli insegnamenti del professor Ennio Giannì: «Un maestro», afferma Spadari, «un odontoiatra, un vero insegnante, un medico soprattutto, dalla grande cultura che mi ha stimolato e ha incoraggiato tutti noi nel credere che la bocca non è da considerare un organo accessorio e di secondario livello: ci ha fatto comprendere la differenza che esiste tra il dente e le strutture che lo circondano e che l’organo bocca può essere considerato lo specchio della salute del corpo umano, come recita anche un vecchio detto popolare». Dopo la laurea in Medicina e Chirurgia, conseguita nel 1982, Spadari frequenta la scuola di specializzazione in Odontostomatologia presso la Clinica Odontoiatriaca e Stomatologica dell’Università di Milano. Nel 1986 consegue la sua prima specializzazione, due anni più tardi quella in Ortognatodonzia. Nel frattempo, la sua curiosità per il sapere lo aveva spinto ad avvicinarsi all’Istituto di Anatomia Patologica dello stesso ateneo. Lì, Spadari conobbe studenti, colleghi e ricercatori che lo convinsero di quanto fosse importante lo studio di questa disciplina di cui lui stesso aveva intravisto il valore anche per l’odontoiatria. «Ho conosciuto la fatica del medico che lavora tutto il giorno al microscopio a contatto con problematiche complesse e di primaria importanza», prosegue Spadari, «mi ha incuriosito e piacevolmente stimolato l’impostazione dottrinale del patologo, assai diversa dall’odontoiatra, e sorpreso e affascinato il livello medio di preparazione e di cultura medica di base dei patologi, ovviamente necessario per affrontare diagnosi isto-patologiche». È in questo ambiente che si consolida il suo interesse per la patologia orale e matura la scelta di intraprendere un’altra specializzazione. «Quando comunicai la mia decisione», ricorda Spadari, «il professor Giannì fu entusiasta, approvò quanto stessi facendo.

Ci presentammo in pochi al concorso e io ero l’unico medico di matrice odontoiatrica». D’altronde, ricorda Spadari, l’anatomia patologica non è mai stata una meta sognata e particolarmente ambita per i giovani laureati, né tantomeno argomento di interesse per l’odontoiatra. «Mi è sempre piaciuto andare dove gli altri non vanno», spiega, «e quella giusta fatica, consapevole, formativa e necessaria a raggiungere qualsiasi obiettivo, quella di cui parla anche Sant’Agostino, non mi ha mai spaventato». In quegli anni si recò più volte in India, dove trascorse lunghi periodi presso le principali università del Paese. Un’esperienza significativa, una scuola di vita, come lui stesso l’ha definita. Nel 1992 consegue la specializzazione in Anatomia Patologica. Nello stesso anno diviene Medico dell’Ambulatorio di Patologia Orale presso l’Istituto Scientifico Ospedale «San Raffaele» di Milano. L’anno seguente, sempre all’interno della medesima struttura, assume anche l’incarico nell’Ambulatorio Odontostomatologico presso la Divisione di Malattie Infettive, ospedale per la ricerca clinica delle patologie HlV-correlate, Centro «San Luigi». Dal 1994 al 1999 è Medico Frequentatore presso la Divisione di Dermosifilopatia all’Ospedale San Gerardo di Monza. Dal 1999 è Responsabile dell’Ambulatorio di Medicina e Patologia Orale presso l’Istituto di Clinica Odontoiatrica e Stomatologia dell’Università degli Studi di Milano diretta da Professor Franco Santoro. Dal 2001 entra in servizio come Professore Associato. Relatore a congressi nazionali e internazionali, Francesco Spadari è anche autore di pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali.

Professor Spadari, in che rapporto sta la stomatologia con l’odontoiatria?

Bisogna innanzi tutto definire i campi delle due discipline. L’odontoiatria considerata nella sua veste più pura, si occupa di denti e dei tessuti di sostegno dentari. La stomatologia si occupa delle problematiche relative alle patologie che colpiscono i tessuti molli e quelli di rivestimento. La differenza apparirebbe minima, anche perché vari organi convivono necessariamente nell’organo bocca. La vera differenza sta nell’approccio diagnostico e nelle diversità palesi delle terapie. Nell’odontoiatria, assistiamo a una diagnostica tutto sommato semplice e immediata, ma finalizzata a complesse problematiche riabilitative, dove l’abilità manuale e chirurgica dell’operatore risulta di primaria importanza. La stomatologia, invece, richiede un’impostazione diagnostica e terapeutica completamente diversa, su stampo puramente medico. Essa si affianca necessariamente a discipline come l’anatomia patologica, l’immunologia, la dermatologia, la neurologia e la medicina interna. Occuparsi di stomatologia significa studiare sì le singole malattie del cavo orale, ma anche avere una visione e una cultura strutturata delle patologie sistemiche che in qualche modo possono interferire con la bocca.

 

L’odontoiatra medio possiede questa capacità, questa sensibilità?

Poco, purtroppo. L’odontoiatria, sempre più affascinante e travolta dalle evoluzioni merceologiche e tecnico-operative, distoglie naturalmente gli operatori da problematiche organo-sistemiche e dai concetti puramente medici. L’ideale sarebbe che l’odontoiatra di base maturasse certamente una professionalità finalizzata alla riabilitazione ottimale della masticazione ma non dimenticasse che ha a che fare quotidianamente con un paziente e con una sua condizione fisica più o meno normale o patologica. Ricordiamoci che il dentista, è il medico della bocca e non solo dei denti. In ogni caso, a mio modesto avviso, l’odontoiatria, senza l’anello che l’avvicina alla medicina di base, finirà per trovarsi sempre più settorializzata e, forse, sminuita nei confronti delle discipline mediche in generale. Certamente, una maggior interazione con la medicina valorizzerebbe l’odontoiatria e il lavoro del libero professionista.

La nascita del corso di laurea in odontoiatria può aver rappresentato un problema in questo senso o è ancora prematuro dare un giudizio?

In effetti la facoltà di Odontoiatria in Italia è ancora da considerarsi giovane. La laurea in odontoiatria, pur rientrando nell’area medica, risulta essere sempre più specialistica. Come ho già accennato, le problematiche dell’odontoiatria aumentano costantemente, così come le nuove metodiche e le nuove impostazioni. L’odontoiatria di oggi è concettualmente molto diversa rispetto a quella di trent’anni fa. Lo scotto di una super-specializzazione è quello di perdere inevitabilmente la corretta e necessaria visione generale.

Sono molti, infatti, i giovani odontoiatri che sembrano essere più orientati ad apprendere metodiche avanzate nell’ambito dell’implantologia, per esempio, piuttosto che a consolidare il loro sapere di base…

Molti giovani odontoiatri, entrando nel turbinio delle complesse realtà lavorative, perdono precocemente i valori e la giusta cultura di base. Mi accorgo che persino gli studenti dell’ultimo anno, spesso dimenticano i concetti della medicina appresi durante il biennio propedeutico. Dimenticano precocemente lo studio ragionato, la ricerca e concentrano tutta la loro attenzione su problematiche terapeutiche con un riscontro immediato nel mondo del lavoro. Forse questo fa parte dei costumi e dei modi di pensare della nostra società moderna, dove è ormai in disuso il concetto di cultura o di seminare bene per poi raccogliere ancora meglio. Ed è anche un po’ la storia naturale dell’odontoiatria. I nostri odontoiatri, spinti anche dal desiderio di realizzare maggiori risultati economici, puntano ad acquisire gli aspetti tecnici della professione, a discapito invece dei concetti teorici, i più formativi.

È quello che accade anche in India?

In India le università seguono un modello anglosassone. I loro docenti ricordano quelli di altri tempi, per così dire: hanno una grande formazione dottrinale e scientifica. L’Università non dispensa solo cultura, ma suggerisce anche un’impostazione di vita. Un po’come accade nei seminari dove i giovani acquisiscono le nozioni teoriche, ma anche valori e costumi.

E nelle nostre università, invece, che valori si respirano?

Assistiamo a tentativi di rinnovamento, di grandi innovazioni, di imitazioni di modelli didattici anche lontani dal nostro modo di pensare e agire. L’Università è fatta anch’essa di uomini e purtroppo sta risentendo della cultura che si respira nella società di oggi: sempre più tecnologica, con tempi spesso ristretti e non condivisibili con un pensiero semplice e strutturato. Per contrastare questa tendenza, a mio avviso dannosa per le nuove generazioni, siamo noi docenti che dobbiamo dedicare alla didattica concreta e alla vita di ateneo, un impegno particolare, animato anche da modelli costruttivi e motivazionali seri.

In futuro, il nostro Paese, a suo avviso, potrà contare sulla crescita delle cliniche odontoiatriche di rilevanza pubblica?

È una questione che riguarda le scelte politiche. La gestione di una clinica odontoiatrica è una realtà molto complessa. Ma al di là di quello che potrà essere il futuro, dove pubblico e privato potranno avere pesi differenti, è importante sapere quale debba essere il compito di una clinica odontoiatrica universitaria sul territorio. Personalmente credo che la sua presenza dovrebbe assicurare pratiche odontoiatriche non disponibili altrove: dunque, un’odontoiatria avanzata, un’assistenza attenta e destinata al disabile o al paziente «a rischio» con problematiche sistemiche. In questo modo la clinica universitaria diventa davvero e comunque un punto di riferimento per i pazienti e per gli odontoiatri liberi professionisti che operano sul territorio.

Quali sono le patologie orali più diffuse e quali quelle emergenti?

Le patologie su base immuno-reattiva, legate per esempio alle problematica riguardanti la presenza di metalli nel cavo orale: un aspetto che non aveva alcun risvolto 30-40 armi fa. Oggi si presta molta attenzione alle leghe che possono creare in alcuni soggetti reazioni immunitarie da ipersensibilità ritardata, che preannunciano lo sviluppo di patologie degenerative e a volte cancerogene.  Anche le neoplasie, come il carcinoma del cavo orale, tipiche di persone di una certa età che avevano particolari abitudini di vita e che facevano uso di tabacco, per esempio, oggi colpiscono anche soggetti relativamente giovani e nella terza o quarta decade di vita e che non hanno mai fumato ed hanno uno stile di vita corretto.

Per concludere, nella stomatologia, c’è forse la chiave per risolvere almeno alcuni dei problemi di cui soffre oggi l’odontoiatria?

L’indice di maturazione e di cultura di un popolo o di una società, si misura seguendo innumerevoli evenienze ed evidenze. Tra queste, ha un ruolo importante la qualità della medicina e dei servizi assistenziali. Quanto le discipline mediche siano attente e sufficientemente all’altezza delle esigenze e delle problematiche sociali. Nel campo dell’odontoiatria abbiamo avuto certamente una grande crescita, anche se la super specializzazione della disciplina ha portato con sé alcuni effetti negativi. C’è il rischio di perdere qualcosa e forse varrebbe la pena di compiere una revisione critica dei contenuti, di arrivare al giusto compromesso. Un aumento della cultura generale dei professionisti in ambito odontoiatrico potrebbe portare certamente a grossi vantaggi in termini di prevenzione delle patologie orali, ma anche di nuovi strumenti per contrastare i momenti di crisi come quelli che si stanno vivendo oggi.

Dalla stomatologia, le idee per una nuova odontoiatria - Ultima modifica: 2009-05-18T15:57:25+00:00 da fabiomaggioni

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome