Riassunto
L’intervento di corticotomia dento-alveolare è una metodica chirurgica consolidata, considerata una valida opzione terapeutica nel trattamento ortodontico del paziente adulto. Il meccanismo d’azione alla base di tale tecnica consiste nell’induzione, attraverso un’incisione ossea, di uno stato di osteopenia transitoria focale, capace di accelerare lo spostamento dentario attraverso l’applicazione di meccaniche ortodontiche. Questa metodica, applicabile in differenti condizioni cliniche, ha permesso, in pazienti adulti, il superamento dei principali limiti dell’ortodonzia tradizionale, quali: assenza del fattore crescita, ridotta mobilità dentaria, possibili complicanze parodontali e protratta durata della terapia. In questo articolo si presentano i risultati di una revisione della letteratura eseguita su 52 studi, pubblicati negli ultimi 24 anni e indicizzati sulle banche dati elettroniche PubMed e Medline, con il fine di chiarire le principali tecniche chirurgiche, le indicazioni all’intervento e i risultati raggiungibili.
Dall’analisi dei dati, si conclude che l’intervento di corticotomia dento-alveolare è da ritenersi una possibilità terapeutica sicura, efficace e prevedibile, con un grado di invasività variabile in relazione alla severità della malocclusione trattata, al tipo di spostamento dentario desiderato e alla tecnica chirurgica utilizzata.
L’esiguo numero di pubblicazioni rende comunque necessaria l’esecuzione di nuovi studi clinici randomizzati, che consentano di confermare i vantaggi di tale tecnica e di valutarne i risultati nel lungo termine.
Summary
Corticotomy-Assisted orthodontics: a literature review
The dentoalveolar corticotomy procedure is a valid and established surgical technique for the orthodontic treatment of the adult patient. The biologic foundation underlying this technique relies on the induction of a transient state of focal osteopenia through an incision of the alveolar bone, allowing to accelerate orthodontically induced dental movements. Such procedure can be applied in several clinical conditions, and allows to overcome many limitations of the traditional orthodontic treatment of the adult patient, such as the absence of residual growth spurts, a decreased dental response to orthodontic movements, possible periodontal complications, and a prolonged treatment duration.
The aim of the present study is to perform a literature review on the dentoalveolar corticotomy procedure with respect to the main surgical protocols, their indications, and respective results: 52 papers, published over the last 24 years, have been selected from the PubMed and Medline databases. The dentoalveolar corticotomy results to be an effective, safe and predictable technique. The extent of surgical invasiveness seems to be primarily dictated by the degree of malocclusion to be resolved, the type of dental movement demanded, and the surgical protocol applied.
However, a limited amount of publications is actually available on this technique, and further randomized clinical trials need to be conucted in order to validate its advantages and evaluate its long term efficacy.
La crescente richiesta, da parte di soggetti in età adulta, di sottoporsi a un trattamento di tipo ortodontico ha determinato lo sviluppo e la conseguente evoluzione di metodiche alternative all’ortodonzia tradizionale, volte a soddisfare le necessità di questi pazienti in termini di estetica, invasività e durata della terapia.
L’assenza del fattore crescita nel paziente adulto comporta inoltre un approccio terapeutico differente rispetto a quello del bambino: i fenomeni di ialinizzazione, in fase di trattamento, sono più frequenti nei soggetti a fine crescita, caratterizzati inoltre da una ridotta mobilizzazione cellulare, un minore tasso di conversione delle fibre collagene e da un’aumentata probabilità di sviluppare complicanze a livello parodontale1.
L’intervento di corticotomia dento-alveolare in associazione al trattamento ortodontico è risultato efficace nel ridurre considerevolmente la durata della terapia, implementandone, al contempo, l’efficacia.
Il meccanismo d’azione alla base di tale metodica consiste nell’induzione, attraverso un’incisione ossea, di uno stato di osteopenia transitoria focale, capace di accelerare lo spostamento dentario attraverso l’applicazione di meccaniche ortodontiche.
Dato il ridotto numero di pubblicazioni su tale argomento, questo articolo si propone di presentare i risultati di una revisione della letteratura eseguita sugli studi pubblicati negli ultimi 24 anni, in cui verranno chiarite le principali tecniche chirurgiche, le indicazioni all’intervento e i risultati raggiungibili.
Background storico
Le origini della tecnica di corticotomia sono attribuibili agli studi ortopedici del primo ’9001. L.C. Brian2, nel 1892, definì tale tecnica come un’ostectomia lineare, limitata alla corticale circostante gli elementi dentari, atta a produrne la mobilizzazione e il rapido spostamento.
Nel 1893 George Cunningham3 presentò “Luxation or the immediate method in the treatment of irregular teeth” in cui un approccio chirurgico-ortodontico – consistente in due osteotomie intersettali, mesiali e distali, seguite dal riposizionamento degli elementi dentari endoinclinati e dalla stabilizzazione per 35 giorni – permise di ottenere una riduzione della durata del trattamento di circa due terzi rispetto alle metodiche convenzionali.
In seguito, nel 1931, Bichlmayr3 descrisse l’esecuzione della tecnica di corticotomia come valido ausilio terapeutico nella chiusura dei diastemi, attraverso la palatinizzazione degli incisivi mascellari, in soggetti con età superiore ai 16 anni.
Successivamente a questi primi approcci, nel 1959 Köle4-6 introdusse la tecnica da lui definita “Bony Block”, fondata sul principio secondo cui era possibile ottenere un’accelerazione degli spostamenti dentari attraverso l’eliminazione, per via chirurgica, della resistenza offerta dalla corticale ossea circostante: ciò permetteva, in seguito all’applicazione di forze ortodontiche, il movimento “en bloc” del segmento corticale, accompagnato dall’osso midollare e dagli elementi dentari in esso confinati. Tale procedura chirurgica prevedeva lo scollamento di due lembi a tutto spessore, linguale e vestibolare, seguito da corticotomie multiple interdentali e da una osteotomia orizzontale di connessione. Tale approccio risultò particolarmente invasivo e capace di esporre il paziente a importanti rischi di necrosi ossea e lesività endodontica e parodontale, in relazione al danno indotto all’osso trabecolare per mezzo dell’osteotomia subapicale.
Per i suddetti motivi, non riscosse mai grande approvazione2,3,7. Nel 1991 Suya7 modificò la tecnica proposta da Köle, sostituendo all’osteotomia orizzontale subapicale, che coinvolgeva sia la corticale che la midollare ossea, una meno traumatica corticotomia, eseguita sempre al di sotto della regione degli apici radicolari, ma limitata all’osso corticale.
Materiali e metodi
Gli autori hanno condotto la ricerca nelle banche dati elettroniche PubMed e Medline utilizzando le seguenti parole chiave:
- corticotomy,
- corticotomy orthodontics,
- corticotomy orthodontic treatment,
- corticotomy tooth movement,
- corticotomy assisted orthodontic,
- corticotomy review,
- corticotomy and orthodontics,
- corticotomy facilited,
- corticotomy bone,
- corticotomy accelerating orthodontic tooth movement,
- corticotomy dentistry,
- corticotomy orthodontic movement,
- corticotomy assisted expansion,
- alveolar corticotomy,
- expansion corticotomy,
- piezocision,
- corticision,
- dentoalveolar distraction,
- periodontal distraction,
- dentoalveolar osteotomy.
I limiti imposti alla ricerca sono stati:
- studi eseguiti unicamente su umano,
- articoli scritti in lingua italiana, inglese o spagnola,
- articoli pubblicati dal 1990 al 2014,
- articoli pubblicati su riviste in campo odontoiatrico.
Degli 86 studi ottenuti attraverso la ricerca delle parole chiave nelle banche dati elettroniche, ne sono stati selezionati 52, compatibili con i limiti imposti alla ricerca stessa. Dei 34 studi non presi in esame: 5 non sono risultati reperibili in formato full-text, 11 trattavano di pazienti sottoposti a interventi di chirurgia maxillo-facciale, 6 di soggetti sindromici o con malattie sistemiche, 1 prevedeva un trattamento ortopedico extraorale, 3 trattavano di pazienti con marcate atrofie richiedenti interventi di chirurgia rigenerativa, 2 di pazienti sottoposti a terapie genetiche, 1 prevedeva una riabilitazione implantologica, 3 erano studi di carattere istologico, 2 prevedevano un trattamento mediante tecnologia laser.
Si è poi fatto riferimento a ulteriori 13 articoli2,4-6,8-16 ricavati dai riferimenti bibliografici di quelli inizialmente selezionati, considerati utili a una più accurata trattazione dell’argomento.
Risultati
Protocolli chirurgici tradizionali
La tecnica di Wilcko
Dal 2000 al 2008 Wilcko et al.8-10,17 introducono una nuova metodica ortodontica chirurgicamente assistita, combinando la tecnica di corticotomia all’innesto di materiale osseo, bovino o liofilizzato, direttamente al di sopra dei siti chirurgici, definendola, in un primo momento, Accelerated Osteogenic Orthodontics (AOO)9,10,17 e, successivamente, Periodontally accelerated osteogenic orthodontics (PAOO)8.
In tale metodica, l’uso di attacchi ortodontici di tipo fisso è accompagnato dall’esecuzione di lembi a tutto spessore e corticotomie eseguite sia linguo/palatalmente, che vestibolarmente agli elementi da spostare. L’innesto alveolare garantisce poi un implemento del volume osseo, prevenendo la formazione di fenestrazioni o deiscenze. L’attivazione degli attacchi ortodontici avviene, di norma, dopo 14 giorni e la durata totale della terapia ortodontica risulta così ridotta di circa i 2/3 del tempo.
Tale risultato è ottenibile grazie a uno stato di osteopenia transitoria indotta, definito da Frost11,18 “Regional Acceleratory Process” (RAP), che segue immediatamente l’insulto osseo causato dalla corticotomia e che sembrerebbe favorire e accelerare gli spostamenti dentari12.
Frost11,18 descrive la suddetta condizione come un incremento dei normali processi di modellamento e rimodellamento tissutale, con riduzione del grado di mineralizzazione ossea, aumento del turnover cellulare e della mobilizzazione del calcio.
L’estensione dell’area interessata e l’entità della risposta tissutale risulterebbero proporzionali all’intensità della stimolazione, mentre la durata del fenomeno, pur essendo dipendente dalla qualità del tessuto considerato, risulterebbe estendersi sino a 4 mesi nell’osso umano. Si ritiene, inoltre, che il RAP sia responsabile della significativa riduzione nell’incidenza dei riassorbimenti radicolari nelle tecniche ortodontiche chirurgicamente assistite13.
La distrazione osteogenica dento-alveolare
Il fenomeno della distrazione osteogenica consiste nell’induzione dei processi di osteosintesi e di rigenerazione tissutale, con conseguente apposizione di nuovo tessuto osseo tra le superfici di due segmenti gradualmente separati attraverso l’azione di forze meccaniche di trazione19. La tecnica fu introdotta da Codivilla nel 1905 e resa popolare dagli studi sulla rigenerazione ossea del fisico russo Ilizarov. Nei primi anni ’90, lo stesso principio fu utilizzato da Guerrero e McCarthy per ottenere un efficace allungamento del ramo mandibolare, attraverso l’applicazione di una trazione extraorale in pazienti affetti da microsomia emifacciale.
Oggi la distrazione osteogenica ha differenti possibilità di utilizzo in ambito odontoiatrico e maxillo-facciale: una delle più recenti è rappresentata dallo spostamento rapido di uno o più elementi dentari, al fine di ridurre la durata complessiva del trattamento ortodontico20,21. Iseri e Kisnisci22-26 descrivono, nel 2002, una nuova tecnica di distrazione dentaria, priva di effetti dannosi sulle fibre del legamento parodontale e capace di accelerare significativamente la distalizzazione degli elementi canini, in seguito all’avulsione dei primi premolari. In uno degli studi clinici inclusi in questa revisione27, si descrive la tecnica di distrazione osteogenica parodontale come possibile alternativa chirurgica a quella di tipo dento-alveolare.
Protocolli chirurgici alternativi
Il discomfort post-operatorio, dovuto principalmente all’invasività dell’atto chirurgico, rappresenta uno dei principali limiti dei trattamenti ortodontici assistiti da corticotomia. Per far fronte a tale problema, negli anni successivi all’introduzione della tecnica di Wilcko numerosi autori hanno proposto metodiche chirurgiche alternative, con lo scopo di ridurre la morbilità dell’intervento28. La metodica “Corticision” viene introdotta nel 2006 da Park15; con essa è esclusa la necessità di eseguire un lembo gengivale e la corticotomia viene eseguita, per mezzo di martelli e scalpelli chirurgici, attraverso un’incisione mucosa lineare. La durata complessiva dell’intervento risulta certamente ridotta, ma non l’aggressività della tecnica chirurgica. L’innesto concomitante di materiale osseo è, peraltro, impossibile. Hernández-Alfaro et al.29 propongono una tecnica di corticotomia mini-invasiva, endoscopicamente assistita, come alternativa alla tradizionale procedura chirurgica, al fine di ridurre la durata, la complessità e la morbilità dell’intervento, massimizzandone, al contempo, il grado di precisione. Nel 2007 Vercellotti16 propone una nuova tecnica ortodontica chirurgicamente assistita, in grado di ridurre la durata totale della terapia di circa il 60%-70%. Essa prevede lo scollamento di un singolo lembo mucoso a spessore totale vestibolare e l’esecuzione della corticotomia mediante l’utilizzo di strumenti piezoelettrici. Pur riducendo così il rischio di necrosi ossea30, l’invasività dell’intervento, dovuta principalmente all’esecuzione del lembo mucoso, non pare essere diminuita28.
Piezocision: corticotomia minimamente invasiva
La metodica Piezocision, introdotta da Dibart30 nel 2009, è stata sviluppata per ottenere un rapido movimento ortodontico dei denti mediante un approccio chirurgico minimamente invasivo, consentendo inoltre di attuare un innesto osseo concomitante in grado di prevenire l’eventuale superficializzazione apicale. Si tratta di una procedura minimamente invasiva che combina microincisioni, mucose e corticali con l’uso di strumenti piezoelettrici e innesto osseo o di tessuto molle, concomitanti, attraverso un approccio mediante tunnellizzazione31.
Chirurgia piezoelettrica
Un singolo studio32, riportato in letteratura e incluso in questa revisione, si propone di comparare l’uso della strumentazione piezoelettrica e quello dei convenzionali strumenti rotanti nell’esecuzione dell’intervento di corticotomia, valutando la durata della procedura e l’Oral Health-Related Quality of Life (OHRQoL).
Il trial clinico prevede la suddivisione randomizzata di 12 pazienti, con età compresa tra i 12 e i 17 anni, in due gruppi: il primo trattato mediante corticotomia eseguita con strumentazione rotante e il secondo, in cui il medesimo intervento viene praticato mediante strumentazione piezoelettrica. Dai risultati si evince che non esiste una differenza significativa tra le due procedure utilizzate in termini di OHRQoL, ma solo in termini di durata dell’intervento. Il tempo impiegato per eseguire la corticotomia con la strumentazione piezoelettrica è risultato maggiore (35,3-32,6 minuti) rispetto a quello impiegato con la strumentazione rotante (27,1-29,2 minuti).
Indicazioni e applicazioni cliniche dell’intervento di corticotomia
Dall’analisi della letteratura selezionata, si evince che l’intervento di corticotomia dento-alveolare risulta efficacemente applicabile in differenti situazioni cliniche. La riduzione della durata complessiva del trattamento ortodontico è da ritenersi la prima indicazione all’utilizzo di tale metodica1,33. Nello specifico, le principali indicazioni all’intervento di corticotomia sono qui di seguito riportate.
Risoluzione dei casi di affollamento dentario anteriore
Differenti autori18,28,34-38 riportano l’efficacia dell’utilizzo della tecnica di corticotomia al fine di ridurre la durata complessiva della terapia ortodontica in pazienti adulti, con età media superiore ai 22 anni, che manifestano un moderato o severo affollamento degli elementi anteriori.
La tecnica chirurgica utilizzata con maggior frequenza è quella proposta da Wilcko37 (Periodontally accelerated osteogenic orthodontics); un singolo autore34 utilizza la metodica di corticotomia micro-invasiva proposta da Dibart28. Shoreibah et al.36 eseguono un trial clinico randomizzato, comparando due gruppi formati da 10 pazienti ciascuno, con età media di 25,6 anni. Essi, assegnati in modo casuale a uno dei due gruppi e presentanti un affollamento moderato mandibolare anteriore, vengono trattati rispettivamente con una terapia ortodontica tradizionale (fixed strandard edgewise) e una assistita da corticotomia (fixed strandard edgewise+corticotomy).
Si evidenzia una significativa riduzione della durata complessiva del trattamento ortodontico nel secondo gruppo (Gruppo 1: 49±12.3 settimane, Gruppo 2: 17,5±2.8 settimane).
La tecnica chirurgica utilizzata, in quest’ultimo caso, è quella di Wilcko37, modificata attraverso l’eliminazione della corticotomia orizzontale sub-apicale35,36.
Accelerare la distalizzazione dei canini dopo l’avulsione dei primi premolari
Numerosi studi19-27,39,40 riportati in letteratura e presi in analisi da questa revisione, testimoniano l’efficacia della tecnica di distrazione osteogenica dento-alveolare assistita da corticotomia nel ridurre la durata totale del trattamento e nel favorire la distalizzazione degli elementi canini, in seguito all’avulsione dei primi premolari.
La metodologia chirurgica di più frequente utilizzo è quella proposta da Kisnisci et al.22-26; un singolo autore40 utilizza una tecnica modificata.
Negli studi selezionati vengono inclusi pazienti adulti con malocclusioni di I e II classe, moderato o severo affollamento anteriore e overjet aumentato.
In un trial clinico randomizzato, Kharkar et al.27 trattano due gruppi, composti da 6 pazienti ciascuno, per mezzo di due differenti tecniche: quella di distrazione parodontale (PD) e quella di distrazione dento-alveolare (DD), al fine di eseguirne un confronto. Le due metodiche analizzate differiscono per grado di invasività e tecnica chirurgica: nella prima (PD) la porzione ossea attivata, mediante corticotomia, è esclusivamente quella rappresentata dall’alveolo post-estrattivo del quarto elemento; la seconda (DD), invece, prevede l’attivazione dell’osso alveolare circostante la radice del canino e l’eliminazione di ogni eventuale interferenza ossea interposta tra il terzo elemento e l’alveolo post-estrattivo del quarto. Dallo studio si evince la superiorità della seconda tecnica in termini di durata della terapia: il tempo necessario alla distalizzazione è stato di 19,5±1,70 giorni per PD e 12,5±0,50 giorni per DD.
Long et al.41 criticano il disegno dello studio di Kharkar27 suggerendo che, data l’applicazione dei distrattori in tempi differenti, nei due gruppi in analisi le due tecniche in esame non possono considerarsi paragonabili. È comunque palese la riduzione della tempistica d’intervento ottenuta con entrambe le metodiche che risultano, peraltro, sicure dal punto di vista clinico e prive di importanti effetti avversi41.
Aboul-Ela et al.40 riportano in letteratura un trial clinico randomizzato, eseguito secondo la metodica split-mouth, in cui valutano su 13 pazienti adulti l’efficacia dell’associazione dell’intervento di corticotomia alla distalizzazione ortodontica dei canini, supportata dall’impianto di una mini vite e successiva all’avulsione dei primi premolari. I quadranti trattati secondo le metodiche ortodontiche convenzionali hanno rappresentato il gruppo controllo.
I risultati dello studio testimoniano una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi. L’associazione della corticotomia è risultata vantaggiosa in termini di tempo e di grado di distalizzazione.
Sempre per dimostrare la superiorità di quest’ultima associazione, nella distalizzazione degli elementi canini Sumit Yadav21 esegue un ulteriore trial clinico randomizzato, trattando due gruppi, composti da 6 pazienti ciascuno, rispettivamente con una terapia ortodontica tradizionale e con una terapia ortodontica assistita da corticotomia. Nel primo gruppo la distalizzazione dei canini è stata ottenuta in 164,83 giorni, con uno spostamento di 1,5 mm al mese; nel secondo gruppo, invece, la stessa è stata ottenuta in 9,66 giorni, con uno spostamento di 0,8 mm al giorno. Dall’analisi dei risultati si evince che la durata della terapia risulta significativamente ridotta nel gruppo trattato mediante l’associazione della corticotomia alla terapia tradizionale.
Promuovere l’eruzione in arcata di elementi inclusi
Un singolo autore42 ha riportato, in uno studio preliminare, l’utilizzo dell’intervento di corticotomia come ausilio nel recupero chirurgico-ortodontico degli elementi canini in inclusione palatale.
Sono stati inclusi 6 pazienti con inclusione canina palatale bilaterale e, secondo il modello split-mouth, sono stati trattati i due quadranti mascellari, rispettivamente con una tecnica chirurgica ortodontica convenzionale e con la stessa assistita da corticotomia. Nel gruppo trattato mediante quest’ultima metodica si è registrata una riduzione del 28-33% nella durata complessiva della terapia.
Promuovere le espansioni ortodontiche
Nella letteratura sottoposta ad analisi, diversi autori43-49 riportano l’utilizzo dell’intervento di corticotomia come ausilio alle espansioni di tipo ortopedico in pazienti adulti e come possibile alternativa alla chirurgia ortognatica.
Bertelè et al.43 eseguono uno studio volto a valutare le modificazioni dell’assetto scheletrico verticale, in relazione sia alla modalità terapeutica utilizzata, sia all’età dei pazienti.
Ne risulta che i cambiamenti strutturali determinati dall’espansione rapida assistita dall’intervento di corticotomia non differiscono di molto da quelli ottenuti con espansione ortopedica in pazienti in fase di crescita.
Di contro, è evidente che l’espansione ortopedica praticata in pazienti adulti si accompagna a imponenti cambiamenti morfo-strutturali, notevoli stress del complesso cranio-faciale e alla necessità di adattamenti tissutali più consistenti.
Un’altra interessante applicazione dell’intervento di corticotomia è rappresentata dall’associazione alle espansioni ortopediche mascellari, nel trattamento dei cross-bite unilaterali. Hassan et al.44 partendo dal presupposto che l’utilizzo degli espansori palatali implica l’ottenimento di un effetto sia sul lato d’interesse, sia su quello opposto, concludono che l’espansione palatale chirurgicamente assistita da corticotomia permette di trattare in maniera efficace i cross-bite unilaterali, evitando le espansioni ortognatiche del palato e riducendo notevolmente la durata della terapia.
Si riporta come l’esecuzione di corticotomie buccali e palatali su un quadrante e di corticotomie esclusivamente buccali su quello opposto permette di trattare cross-bite bilaterali con severità differente.
Byloff et al.46 presentano uno studio volto ad analizzare le modificazioni scheletriche e dentarie prodotte dall’espansione del palato chirurgicamente assistita (Sarpe) su 14 pazienti dai 18 ai 41 anni. Si conclude che tale metodica comporta una rotazione laterale delle due metà del palato, associata a una minima traslazione orizzontale.
Intrusione molare e correzione dell’open bite
Dall’analisi della letteratura selezionata, si evince la validità dell’intervento di corticotomia associato alla terapia ortodontica tradizionale nell’intrusione degli elementi molari50-53 e nella correzione dell’open bite54-56.
Mostafa et al.51 descrivono un metodo per massimizzare la risposta tissutale in pazienti con open bite anteriore: facendo uso di una tecnica chirurgica similare a quella proposta da Wilcko37, ma limitata al solo versante buccale, si ottiene una risoluzione del quadro clinico iniziale in un tempo medio di 6 settimane, con buona tolleranza da parte dei pazienti.
Akay et al.52 riportano uno studio eseguito su 10 pazienti ortodontici, con età media pari a 20 anni e presentanti moderato o severo open bite anteriore, in cui l’utilizzo di una terapia combinata con corticotomie e ancoraggi scheletrici ha permesso una significativa intrusione degli elementi mascellari posteriori, l’anteinclinazione della mandibola e la correzione dell’open bite.
Oliveira et al.54 riportano un caso d’intrusione molare in cui attraverso l’utilizzo dell’intervento di corticotomia è stata ottenuta un’intrusione di 4 mm in 2,5 mesi nel primo paziente e di 3-4 mm in 4 mesi nel secondo.
Hwang et al.56, infine, riportano due casi in cui una significativa intrusione degli elementi molari mascellari viene ottenuta mediante corticotomia associata all’utilizzo di dispositivi magnetici full-time e di una trazione extra-orale verticale, attiva nelle sole ore notturne.
Associazione o sostituzione alla chirurgia ortognatica
L’indicazione all’intervento di corticotomia può essere ulteriormente estesa all’associazione con le procedure di chirurgia ortognatica. Tale intervento, nei casi clinici a minor severità, si è dimostrato utile a sostituire tecniche chirurgiche ben più invasive.
Nelle III classi scheletriche, prima della terapia ortognatica, l’ortodontista procede alla decompensazione della dentatura: attraverso l’uso di una meccanica ortodontica eseguita con un’apparecchiatura fissa, egli posiziona i denti idealmente sulle basi ossee, rimuovendo appunto quei compensi naturali (quali la proinclinazione degli incisivi superiori, la lingualizzazione degli inferiori, a compensare la discrepanza sagittale; il torque radicolo-palatale dei molari superiori e radicolo-vestibolare degli inferiori, a compensare la discrepanza trasversale) che gli elementi dentari tendono ad acquisire come compenso della discrepanza scheletrica. Sembra che le metodiche tradizionali di decompensazione, in pazienti con prognatismo mandibolare, causino recessioni gengivali, perdita ossea e fenestrazioni57.
Ahn et al.57 e Kim et al.58 riportano in letteratura due studi clinici in cui, attraverso una tecnica ortodontica chirurgicamente assistita da corticotomia, associata a un trattamento rigenerativo guidato volto a colmare i difetti ossei causati dalla decompensazione, è stato ottenuto il movimento rapido nella posizione prefissata in tutti gli elementi dentari coinvolti, mantenendo lo spessore osseo ed evitando effetti collaterali.
Dall’analisi della letteratura revisionata, è inoltre emersa la validità della terapia ortodontica chirurgicamente assistita da corticotomia nella risoluzione dei casi di protrusione mascellare59-62.
Nel trattamento di tale condizione sono principalmente indicate due tipologie d’intervento: la prima consiste nell’avulsione dei primi premolari, seguita da terapia ortodontica tradizionale, e la seconda, in cui la terapia ortodontica è associata a quella ortognatica. In entrambi i casi, una protratta durata del trattamento risulta inevitabile.
L’osteotomia segmentale anteriore compensa i limiti della terapia ortodontica convenzionale, riducendone la durata; tale tecnica, però, oltre a richiedere un’anestesia generale presenta importanti effetti collaterali: rischio di necrosi ossea e perdita di vitalità degli elementi coinvolti59.
Chung et al.59-61 introducono una nuova metodica ortodontica assistita da corticotomia, denominata “Speedy orthodontics”, che permette di ridurre il tempo necessario alla retrazione mascellare mediante l’utilizzo di unità di ancoraggio osseo e di forze ortopediche. Tale metodica prevede l’isolamento, mediante corticotomia, di un blocco osseo comprendente i sei elementi anteriori e l’applicazione, sullo stesso, di elevate forze ortopediche, tali da indurne la retrazione completa in 3-6 mesi. In contrasto con le corticotomie mascellari, quelle mandibolari, associate a trazioni ortognatiche, sono più limitate: l’osso spongioso ha proporzioni inferiori, la corticale ossea è più spessa ed è necessaria una trazione linguale. In questi casi, l’osteotomia segmentale anteriore mandibolare può essere considerata una valida alternativa60.
Lino et al.62 riportano, infine, l’uso di mini-placche in titanio associato al trattamento ortodontico, chirurgicamente assistito, nella risoluzione dei quadri sopracitati.
Altre indicazioni
Spena et al.63 riportano un caso di distalizzazione molare ottenuta mediante trattamento ortodontico chirurgicamente assistito da corticotomia, associato a una terapia rigenerativa guidata volta a colmare i difetti ossei presenti.
Keser et al.64, infine, dimostrano la validità dell’associazione dell’intervento di corticotomia, eseguito mediante la metodica minimamente invasiva “Piezocision”, al trattamento ortodontico di tipo “Invisalign”.
Discussione
Vantaggi e possibili complicanze
L’analisi degli articoli selezionati rivela che l’incidenza e la gravità delle complicanze, conseguenti l’applicazione delle principali metodiche ortodontiche chirurgicamente assistite, sono da correlare principalmente al grado d’invasività dell’intervento chirurgico eseguito e alla durata complessiva del trattamento ortodontico.
È quindi corretto affermare che l’intervento di corticotomia comporta una minore morbilità ed espone a una ridotta frequenza di effetti avversi rispetto alle procedure ortodontiche assistite da osteotomia.
La massima parte della letteratura considera tale intervento sicuro, efficace e altamente prevedibile, associabile a una riduzione della durata della terapia e adeguato, in alcuni casi, a sostituire la chirurgia ortognatica. È al contempo riportata l’assenza di complicanze cliniche e radiografiche, quali fratture o riassorbimenti radicolari, perdita di vitalità e anchilosi degli elementi coinvolti, formazione di deiscenze dei tessuti duri e molli.
Shoreibah et al.36 rilevano che i pazienti trattati con la terapia ortodontica tradizionale manifestano un grado di riassorbimento apicale maggiore rispetto a quelli trattati con la terapia ortodontica assistita da corticotomia. Tale risultato è presumibilmente attribuibile alla minore durata della terapia.
Oztürk et al.47 affermano che l’osteotomia palatale mediana e la procedura di corticotomia, eseguita a una distanza di almeno 5 mm dagli apici radicolari degli elementi dentari coinvolti, non determinano effetti avversi concernenti la vascolarizzazione endodontica.
Sumit Yadav21 rileva che i pazienti in cui la distalizzazione degli elementi canini è eseguita mediante distrazione osteogenica manifestano un grado di perdita di attacco parodontale inferiore rispetto a quelli trattati per mezzo dell’ortodonzia convenzionale.
Aboul-Ela et al.40 non riscontrano alcuna variazione significativa dell’indice di placca, della profondità di sondaggio, del grado di recessione gengivale e della perdita di attacco in pazienti trattati con distalizzazione canina associata a corticotomia.
Di contro, viene riportato in letteratura il verificarsi di ematomi sub-cutanei della faccia e del collo in seguito a corticotomie intensive47,65, dolore e sanguinamento protratto per alcuni giorni1, edema minimo o moderato nel post-operatorio24,25 e aumento del Gingival Index nei quadranti operati40. Un singolo autore14 suggerisce che l’innesto di materiale osseo possa causare alterazioni dell’estetica facciale e compromissione della stabilità del risultato finale.
Neyt et al.48 eseguono uno studio volto a migliorare la tecnica di distrazione trans-palatale attraverso l’analisi delle difficoltà incontrate durante le sue applicazioni; ne consegue che in 9 dei 57 pazienti trattati, sono state registrate una o più complicanze attribuibili alla procedura chirurgica: ulcerazioni palatali, sanguinamento nasale, infezioni ed ematomi. In un singolo paziente, sottoposto a corticotomia intensiva, è stata rilevata la parestesia del nervo infraorbitario.
Controindicazioni e limitazioni
Tutte le condizioni cliniche rappresentanti una controindicazione assoluta alla chirurgia orale devono essere considerate tali anche nei riguardi dell’intervento di corticotomia.
Dall’analisi della letteratura revisionata si evince che i pazienti con malattia parodontale attiva, recessioni gengivali o infezioni orali non sono da considerarsi buoni candidati a questo tipo d’intervento.
Una protratta terapia a base di corticosteroidi, FANS o inibitori delle prostaglandine rappresenta una controindicazione relativa allo stesso. L’intervento di corticotomia è inoltre controindicato per i pazienti in terapia con farmaci bifosfonati1,37.
Conclusioni
L’intervento di corticotomia dento-alveolare è da ritenersi una tecnica chirurgica sicura, efficace e prevedibile, con un grado di invasività variabile in relazione alla severità della malocclusione trattata, al tipo di spostamento dentario desiderato e alla metodica chirurgica utilizzata.
In associazione al trattamento ortodontico, ha dimostrato di essere applicabile in differenti condizioni cliniche, permettendo, in pazienti adulti, il superamento dei principali limiti del trattamento stesso quali: assenza del fattore crescita, ridotta mobilità dentaria, possibili complicanze parodontali e protratta durata della terapia.
Il meccanismo d’azione alla base della corticotomia dento-alveolare consiste nell’induzione, attraverso un’incisione ossea, di uno stato di osteopenia transitoria focale, capace di accelerare lo spostamento dentario attraverso l’applicazione di meccaniche ortodontiche.
Dall’analisi della letteratura selezionata è risultato che le principali indicazioni all’intervento di corticotomia dento-alveolare sono le seguenti: risoluzione dei casi di affollamento dentario anteriore18,28,34-38, distalizzazione dei canini in seguito ad avulsione dei quarti elementi19-27,39,40, recupero in arcata di elementi inclusi42, ausilio alle espansioni ortodontiche43-49, intrusione molare e correzione dell’open bite50-56, associazione o sostituzione alla chirurgia ortognatica57-62.
L’esiguo numero di pubblicazioni sull’argomento rende chiaramente necessaria l’esecuzione di nuovi studi clinici randomizzati su pazienti, volti a confermare i vantaggi del trattamento ortodontico chirurgicamente assistito da corticotomia, valutandone i risultati a lungo termine. }
Corrispondenza
Vincenzo Capilupi
capilupi.vincenzo@gmail.com
• Roberto Micolani1
• Vincenzo Capilupi1
• Micol Zanirato2
• Elena Bazzini2
• Matteo Chiapasco1
• Giovanna Garattini2
1Unità clinica di chirurgia orale (direttore: prof. Matteo Chiapasco) – Università degli studi di Milano –
Dipartimento di medicina, chirurgia e odontoiatria, ospedale San Paolo
2Unità clinica di ortognatodonzia (direttore: prof.ssa Giovanna Garattini) – Università degli studi di Milano –
Dipartimento di medicina, chirurgia e odontoiatria, ospedale San Paolo
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