Riassunto
Questo studio prospettico, controllato e randomizzato intende valutare sopravvivenza e successo di 270 impianti a connessione conometrica, a sostegno di corone singole, inseriti nei settori posteriori di entrambi i mascellari, e divisi in base al protocollo di carico applicato (192 impianti con carico dilazionato e 78 con carico immediato). In un periodo di cinque anni, 270 impianti erano inseriti in 234 pazienti in quattro centri odontoiatrici. Gli impianti erano valutati clinicamente, protesicamente e radiograficamente a 12, 24, 36, 48 e 60 mesi dall’inserimento. Al termine dello studio, la sopravvivenza cumulativa nel gruppo di impianti a carico dilazionato era del 98,4%, contro il 95,0% di quelli a carico immediato. La differenza tra i due gruppi non era statisticamente significativa. Le complicanze protesiche erano minime (0,5% di perdita di connessione in impianti con carico dilazionato contro 1,4% in impianti con carico immediato). La stabilità del tessuto osseo intorno agli impianti a cinque anni era elevata (DIB = 1,206 ± 0,206 mm nel gruppo a carico dilazionato contro DIB = 1,220 ± 0,341 mm nel gruppo a carico immediato). Tra gli impianti sopravvissuti, cinque non erano in grado di soddisfare i criteri di successo. Il successo riscontrato era del 96,5% nel gruppo a carico dilazionato, contro il 92,7% nel gruppo a carico immediato. Gli impianti a connessione conometrica sono indicati per la sostituzione di elementi singoli nei settori posteriori. La stabilità meccanica della connessione conometrica riduce le problematiche protesiche. L’assenza di microgap interfacciale e il profilo di emergenza del moncone possono ridurre il riassorbimento osseo peri-implantare.
Summary
Single tooth morse taper connection implants in the posterior areas of maxillary bones: delayed versus immediate loading. A prospective, controlled and randomized study
This prospective, controlled and randomized study evaluated the survival and success rate of 270 Morse taper connection implants used for single tooth replacement, inserted in the posterior areas of both maxillary bones, and divided into two groups (192 conventionally versus 78 immediately loaded implants). Over a five-year period 270 implants were inserted in 234 patients in four clinical centres. Implants were clinically, prosthetically and radiographically evaluated at 12, 24, 36, 48 and 60 months after insertion. At the endpoint of the study, the cumulative survival rate was 98.4% with conventionally loaded implants, versus 95.0% with immediately loaded implants. This difference was not statistically significant. A few prosthetic complications, such as implant abutment loosening (0.5% with conventionally versus 1.4% with immediately loaded implants) were reported. Bone stability after five years was high (DIB = 1.206 ± 0.206 mm with conventionally versus DIB = 1.220 ± 0.341 mm with immediately loaded implants). Between survived implants, only five did not fulfil success criteria. The success rate was 96.5% with conventionally, versus 92.7% with immediately loaded implants. The use of Morse taper connection implants represents a successful procedure for single tooth replacement in the posterior areas of both maxillary bones. The high mechanical stability of this connection reduces prosthetic complications. The absence of microgap and the specific emergency profile can be associated with minimal crestal bone loss.
Numerosi lavori hanno evidenziato come la mancanza di un singolo elemento dentale nei settori posteriori delle ossa mascellari sia frequente nella popolazione in ogni fascia di età1-2. La perdita di un dente nei settori posteriori è causa comune di occlusione non fisiologica, con migrazione e inclinazione degli elementi distali a esso, ed estrusione degli elementi antagonisti3. Gli impianti dentali rappresentano, da tempo, la migliore soluzione terapeutica per poter restaurare la funzione e l’estetica perdute in seguito a mancanza di un singolo dente4-5. Essi permettono, infatti, a differenza delle protesi convenzionali, di conservare pienamente l’integrità e la struttura dei denti adiacenti all’elemento mancante5. Diversi studi5-15, con follow-up da uno fino a otto anni, hanno documentato l’elevata predicibilità delle corone singole su impianti, con eccellenti tassi di sopravvivenza e di successo compresi tra 93,7% e 100%. Ciononostante, numerosi lavori hanno evidenziato un’alta incidenza di problematiche protesiche e meccaniche a carico di questi restauri, quali perdita di connessione tra moncone e impianto, tra corona e moncone o frattura del moncone stesso16-20. In uno studio16 a cinque anni su 107 corone singole impianto-supportate, l’incidenza riportata della perdita di connessione tra moncone e impianto era del 12,7%. In un altro lavoro17 a due anni e su 81 corone singole su impianti, inserite prevalentemente nei settori posteriori di entrambi i mascellari, la perdita di connessione descritta tra corona e moncone era del 22,2%. In un ulteriore studio18 su 80 corone singole su impianti, la complicanza protesica più frequente era l’allentamento della vite di connessione del moncone nell’impianto (28%). Percentuali più elevate di allentamento della vite tra moncone e impianto e conseguente perdita di connessione erano descritte e riportate da Balshi19 (48%) ed Ekfeldt20 (43%). Queste complicanze, naturalmente, caratterizzano in modo particolare gli impianti nelle regioni posteriori di entrambe le ossa mascellari, laddove il carico protesico è più elevato, e le percentuali di allentamento della vite di connessione tra moncone e impianto sono complessivamente descritte tra 6% e 48%8,16-25.
Una delle differenze principali tra i diversi sistemi implantari in commercio è data dalla tipologia di connessione tra moncone e impianto25-26. La tipologia più presente sul mercato è, ancora oggi, quella avvitata, nella quale la connessione tra moncone e impianto è ottenuta grazie a una vite. In tali sistemi, la connessione tra queste due componenti dipende essenzialmente dal pre-carico agente sulla vite, generato attraverso specifico torque di avvitamento durante l’applicazione26. Tuttavia, qualora i carichi occlusali superino il pre-carico è descritto come la vite di connessione possa deformarsi e quindi allentarsi o addirittura fratturarsi26-27.
Nonostante i miglioramenti tecnici introdotti dalle Case produttrici di sistemi avvitati possano in parte scongiurare questi problemi28, non è infrequente, purtroppo, che il paziente si presenti ancor oggi in studio lamentando la mobilità del proprio restauro protesico su impianto singolo, per perdita della connessione tra moncone e impianto. La necessità di re-intervenire più volte per ripristinare la connessione tra moncone e impianto rappresenta senz’altro un costo, sia per il professionista sia per il paziente.
L’introduzione sul mercato di sistemi a connessione conometrica tra moncone e impianto (che impiegano il principio del cono Morse) può senz’altro rappresentare una possibile soluzione a questo tipo di problematiche. La connessione conometrica è garantita dall’ampia superficie di contatto e dalla frizione generata all’interfaccia tra moncone e impianto. Levine29, in un lavoro su corone singole cementate su mono-impianti, riporta un ridotto tasso di complicanze protesiche (da 3,6% a 5,3%) impiegando una connessione conica tra moncone e impianto. Risultati simili vengono descritti da Sutter30, Norton31 e Felton32, che mostrano come l’impiego di una connessione conica tra moncone e impianto sia in grado di migliorare drasticamente la stabilità complessiva e l’abilità del sistema a resistere alle forze flettenti. Anche i lavori di Muftu33 e Morgan34 sembrano confermare questi rilievi e rinforzare il concetto che, con l’impiego di una connessione conometrica, i problemi a carico dell’interfaccia tra moncone e impianto risultano notevolmente ridotti. L’interessante riduzione delle problematiche di natura protesica, quali quelle legate alla connessione, suggeriscono pertanto l’impiego di impianti a connessione conometrica a sostegno di corone singole nelle aree posteriori delle ossa mascellari, aree soggette a carichi maggiori8,26-27.
Scopo di questo lavoro prospettico, controllato e randomizzato era quello di studiare il tasso di sopravvivenza e di successo di 270 corone singole su impianti a connessione conometrica (Sistema Implantare Leone®, Firenze, Italia) inseriti nei settori posteriori di entrambe le ossa mascellari e caricati protesicamente con due differenti modalità: carico dilazionato (192 impianti, corone applicate 3-4 mesi dopo l’inserimento degli impianti) versus carico immediato (78 impianti, corone applicate entro e non oltre le 48 ore dall’inserimento degli impianti). Si intendevano valutare le percentuali di sopravvivenza e successo nei due gruppi, caratterizzati da differenti protocolli di carico; particolare attenzione era destinata a eventuali problematiche protesiche riscontrate.
Materiali e metodi
Disegno dello studio
Questo studio prospettico, controllato e randomizzato intendeva valutare la sopravvivenza cumulativa e il successo clinico di 270 corone singole su impianti a connessione conometrica (Sistema Implantare Leone®, Firenze, Italia), inseriti nei settori posteriori di entrambi i mascellari (155 in mandibola, 115 nel mascellare superiore) in due diversi gruppi di 234 pazienti.
Nel primo gruppo di pazienti (156), gli impianti venivano caricati seguendo il protocollo convenzionale e i tempi di attesa prima del carico andavano da tre a quattro mesi; in tale gruppo venivano inseriti in tutto 192 impianti, 109 in mandibola e 83 nel mascellare superiore. Nel secondo gruppo di pazienti (78), invece, si optava per un protocollo di carico immediato. Le corone erano pertanto applicate entro e non oltre le prime 48 ore dall’inserimento degli impianti; appartenevano a questo gruppo un totale di 78 impianti, 46 in mandibola e 32 nel mascellare superiore.
Selezione dei pazienti
Nel periodo compreso tra gennaio 2003 e dicembre 2007, un totale di 234 pazienti (131 maschi e 103 femmine, di età compresa tra 26 e 78 anni), e che presentavano mancanza di un singolo elemento dentale (monoedentulia) nei settori posteriori dei mascellari, venivano arruolati in modo consecutivo in questo studio clinico longitudinale e prospettico, in quattro diversi centri odontoiatrici specializzati. In 36 pazienti, la monoedentulia era multipla, con la necessità quindi di inserire più monoimpianti nello stesso soggetto, seppur in diverse sedi. Le cause che avevano portato i pazienti alla perdita di un singolo elemento dentale erano classificate tra le seguenti: aplasia (2), inclusione e mancata eruzione (4), traumi (26), carie intrattabili (20), estese lesioni granulomatose peri-apicali (138) e lesioni parodontali gravi (80).
Tutti i pazienti erano in buone condizioni di salute generale. I criteri di inclusione nello studio erano rappresentati da presenza di adeguata altezza e spessore osseo, tale da poter garantire l’inserimento di un impianto di almeno 3,3 mm di diametro e 8,0 mm di lunghezza. I pazienti che presentavano un’igiene orale inadeguata, infezioni parodontali attive, parafunzioni (bruxismo), diabete non controllato e forte abitudine al fumo (più di 15 sigarette al giorno) erano esclusi dallo studio. I pazienti venivano divisi in due gruppi con procedura di randomizzazione a blocchi bilanciati, in base a liste precedentemente generate da specifico software, per cui a ogni paziente inserito nel protocollo di carico immediato dovevano corrispondere esattamente due pazienti inseriti nel protocollo di carico dilazionato. Si sono ottenuti così 78 pazienti (per un totale di 78 monoimpianti) inseriti nel gruppo con protocollo di carico immediato e 156 pazienti (per un totale di 192 monoimpianti, dato che 36 pazienti presentavano indicazioni multiple al posizionamento) inseriti nel gruppo con protocollo di carico dilazionato. Tutti i pazienti venivano informati riguardo alle diverse modalità del trattamento e firmavano un consenso informato.
Studio preliminare
Un esame completo dei tessuti duri e molli veniva realizzato per ogni singolo paziente. Le ortopantomografie rappresentavano la base per lo studio preliminare, che veniva completato, ove necessario, da una moderna tomografia assiale computerizzata di tipo volumetrico (i-CatR, Imaging Sciences International, Hartfield, PA, USA). I dati derivanti dalla TAC volumetrica erano trasferiti immediatamente a uno specifico software di navigazione implantare (SimplantR, Materialise, Leuven, Belgium), allo scopo di realizzare una ricostruzione tridimensionale delle ossa mascellari. Con l’ausilio di questo software, era possibile determinare precisamente l’altezza, lo spessore e l’angolazione della cresta ossea in corrispondenza di ciascun sito implantare, insieme con la densità della corticale e della midollare; veniva quindi simulato l’inserimento dell’impianto. Qualora necessario, inoltre, sulla base di queste informazioni, veniva realizzata una dima chirurgica stereolitografica (SurgiguideR, Materialise, Leuven, Belgium) per il corretto posizionamento degli impianti, «guidato» dal progetto tridimensionale precedentemente elaborato. Lo studio preliminare includeva naturalmente un esame dei modelli e un’accurata ceratura diagnostica.
Posizionamento degli impianti
Il posizionamento degli impianti era programmato ad almeno tre mesi di distanza dall’estrazione dell’elemento dentale compromesso, se ancora presente. Gli impianti venivano posizionati da quattro diversi operatori esperti, nei quattro centri odontoiatrici partecipanti allo studio. L’anestesia locale era ottenuta con infiltrazione plessica di articaina con adrenalina 1:100.000 (UbistesinR, 3M Espe, St. Paul, MN, USA). Un’incisione era realizzata sulla cresta edentula ed estesa in senso intra-crevicolare ai denti adiacenti. Non venivano eseguite incisioni di rilasciamento. Venivano sollevati due lembi a spessore totale per poter esporre la cresta alveolare, e la preparazione del sito d’impianto era realizzata con frese a diametro incrementale (2,8 mm per posizionare un impianto di 3,3 mm di diametro; 2,8 e 3,5 mm per posizionare un impianto di 4,1 mm di diametro e 4,2 mm di diametro per preparare il sito per un impianto di 4,8 mm di diametro) sotto costante irrigazione. Gli impianti erano posizionati a livello della cresta ossea. A questo punto, in base all’assegnazione randomizzata dei pazienti ai due gruppi (gruppo con carico dilazionato e gruppo con carico immediato), si programmava un differente approccio all’impianto. Nel caso dei 78 pazienti (78 impianti) inseriti nel protocollo di carico immediato, si sceglieva una procedura chirurgica one step con immediato rilevamento dell’impronta, posizionamento della vite di guarigione, sutura intorno a essa e inserzione del moncone. Il carico protesico provvisorio veniva realizzato entro le prime 48 ore dall’inserimento dell’impianto (figure 1-8). Nel caso invece dei 156 pazienti (192 impianti) inseriti nel protocollo di carico dilazionato, si optava per una procedura chirurgica two step35, caratterizzata da suture (SupramidR, Novaxa Spa, Milano, Italia), guarigione sommersa per un periodo di 3-4 mesi dall’inserimento dell’impianto, successiva scopertura e posizionamento del moncone con provvisorio e carico protesico (figure 9-15).
Al termine dello studio, un totale di 192 impianti erano inseriti con approccio convenzionale (109 nella mandibola e 83 nel mascellare superiore), mentre 78 erano inseriti con carico immediato (46 nella mandibola e 32 nel mascellare superiore). Un totale di 155 impianti (57,5%) venivano inseriti nella mandibola posteriore, mentre 115 (42,5%) erano posizionati nel mascellare superiore posteriore. Il diametro dell’impianto più frequentemente utilizzato era di 4,1 mm per un totale di 154 impianti posizionati (57,2%), seguito dal diametro 4,8 mm utilizzato per 105 impianti (38,8%), e dal diametro 3,3 mm per i restanti 11 impianti (4,0%). Le lunghezze più frequentemente utilizzate erano 10 mm (125 impianti, 46,3%) e 12 mm (97 impianti, 35,9%), seguite da 8 mm (30 impianti, 11,1%) e 14 mm (18 impianti, 6,7%).
Post-operatorio
A tutti i pazienti veniva prescritto un antibiotico, 2 g al giorno per sei giorni complessivi di trattamento (AugmentinR, Glaxo-Smithkline Beecham, Brentford, UK). Il dolore post-operatorio era controllato somministrando 100 mg di nimesulide al bisogno (AulinR, Roche Pharmaceutical, Basel, Switzerland) per un massimo di due somministrazioni al giorno, nei soli due giorni immediatamente successivi all’intervento. Venivano fornite dettagliate informazioni riguardo all’igiene orale, con prescrizione di sciacqui con collutorio a base di clorexidina 0,12% per i sette giorni successivi all’intervento (Chlorexidine®, OralB, Boston, MA, USA).
Carico protesico
I restauri provvisori in resina acrilica erano utilizzati per valutare la stabilità degli impianti.
Nel protocollo di carico immediato i provvisori venivano inseriti entro 48 ore dal posizionamento dell’impianto.
Essi erano scaricati nei contatti in occlusione centrica, fino all’applicazione della corona definitiva, che avveniva circa tre mesi dopo. Nel caso del protocollo di carico convenzionale i provvisori erano posizionati tre mesi dopo l’inserimento dell’impianto e mantenuti in situ per un periodo di circa tre mesi, al termine del quale si provvedeva al posizionamento dei manufatti protesici definitivi. Le corone definitive erano in metallo-ceramica e venivano cementate con cemento al fosfato di zinco (Harvard®, Richter & Hoffmann, Berlin, Germany).
Valutazione dei parametri critici per il successo
Il periodo di osservazione si estendeva da gennaio 2003 sino a maggio 2008. Un diverso operatore esperto era incaricato di effettuare le valutazioni di controllo annuali, in ciascuno dei quattro centri odontoiatrici partecipanti allo studio e per ogni impianto inserito. In ciascuna delle sessioni di controllo, programmate rispettivamente a 12, 24, 36, 48 e 60 mesi dall’inserimento di ciascun impianto, venivano valutati e riportati in cartelle elettroniche pre-configurate specifici parametri clinici e radiografici (endpoints dello studio). Inoltre, venivano valutate e segnalate eventuali problematiche protesiche. Per 25 impianti (15 con protocollo convenzionale e 7 con protocollo immediato, posizionati da maggio a dicembre 2007) non era possibile eseguire il primo controllo annuale programmato, dal momento che il termine del periodo di osservazione dello studio era fissato appunto per il maggio 2008; essi erano comunque seguiti scrupolosamente e tenuti in considerazione nel breve periodo, fino alla conclusione del lavoro, per escludere fallimenti.
Per tale ragione, al termine dello studio, era teoricamente possibile indagare nelle sessioni di controllo pre-stabilite i parametri clinici, radiografici e protesici di 245 impianti. Tali parametri venivano impiegati per poter determinare il successo o l’insuccesso della riabilitazione, secondo criteri stabiliti prima di dare inizio allo studio e di seguito riportati.
Valutazione clinica
I parametri clinici considerati erano rappresentati da:
- indice di placca modificato (modified plaque index, mPI), rilevato sulla superficie mesiale, distale, vestibolare e palatale/linguale di ciascun impianto. Per ogni impianto, l’indice di placca era calcolato come media dei valori ottenuti nei quattro siti indagati. I seguenti punteggi venivano assegnati in base alla quantità di placca rilevata: punteggio 0, nessuna placca rilevata; punteggio 1, modesta quantità di placca evidenziabile, passando delicatamente una sonda parodontale lungo il margine gengivale intorno all’impianto; punteggio 2, discreta quantità di placca ben visibile a occhio nudo; punteggio 3, grande abbondanza di placca36-37;
- indice di sanguinamento modificato (modified bleeding index, mBI), rilevato sulle stesse superfici, come indicatore di esistenza e grado di severità di eventuale infiammazione dei tessuti mucosi peri-implantari. Per ciascun impianto, l’indice di sanguinamento era calcolato come media dei valori ottenuti nei quattro siti indagati. I punteggi venivano assegnati nel modo seguente: punteggio 0, nessun sanguinamento visibile passando delicatamente una sonda lungo il margine gengivale intorno all’impianto; punteggio 1, isolate aree di sanguinamento evidenziabili; punteggio 2, sanguinamento evidente; punteggio 3, sanguinamento profuso36-37;
- profondità di sondaggio (probing depth, PD), misurata in mm con una sonda parodontale (PGF-GFSRR, Hu-Friedy, Chicago, IL, USA) in corrispondenza delle stesse superfici. Per ciascun impianto, la profondità di sondaggio era calcolata come media dei valori ottenuti nei quattro siti indagati38;
- distanza tra il margine della corona sull’impianto e la porzione più coronale della mucosa peri-implantare (distance from the implant crown margin to the coronal border of the peri-implant mucosa, DIM) misurata in mm in corrispondenza delle stesse superfici. Questo parametro era introdotto per poter eventualmente evidenziare e quantificare la presenza di recessioni a carico dei tessuti mucosi peri-implantari. Per ciascun impianto, il valore veniva calcolato dalla media dei valori ottenuti nei quattro siti indagati, venendo convenzionalmente assegnato come negativo in presenza di margine coronale sottogengivale e positivo in presenza di recessione dei tessuti mucosi peri-implantari38-39.
Veniva valutata, infine, l’eventuale presenza delle sotto elencate condizioni cliniche sfavorevoli, perché generalmente associate a fenomeni negativi per la sopravvivenza e il successo degli impianti, quali peri-implantiti e patologie da sovraccarico:
- presenza di dolore e/o suppurazione39;
- presenza di mobilità dell’impianto, mediante test manuale utilizzando i manici di due specchietti dentali40.
Valutazione protesica
Per valutare la funzione protesica, l’occlusione statica e dinamica veniva controllata con cartine occlusali standard (Bausch articulating paper®, Bausch Inc., Nashua, NH, USA). Eventuali complicanze protesiche, quali perdita della stabilità della corona sull’impianto per semplice de-cementazione o per perdita di connessione tra moncone e impianto, frattura del moncone e frattura della ceramica venivano opportunamente registrate.
Valutazione radiografica
Per ciascun impianto, al momento del posizionamento e in occasione di ciascuno dei controlli programmati (a 12, 24, 36, 48 e 60 mesi rispettivamente, ove possibile), erano realizzate radiografie endorali peri-apicali con centratore di Rinn (Rinn®, Dentsply, Elgin, IL, USA).
Le radiografie erano in primo luogo analizzate per escludere la presenza di eventuale radiotrasparenza peri-implantare, segno evidente di peri-implantite o patologia da sovraccarico e, secondariamente, per poter misurare la distanza tra la spalla dell’impianto e il primo contatto osseo visibile (distance between the implant shoulder and the first visible bone contact, DIB) in mm, nei siti mesiale e distale all’impianto38-40.
Grazie a questa valutazione, infatti, era possibile registrare eventuali modificazioni nella dimensione verticale dell’osso intorno all’impianto e procedere a una valutazione della stabilità del tessuto osseo peri-implantare nel corso del tempo. Per potere correggere eventuali distorsioni dimensionali dovute alla radiografia, la lunghezza apparente (misurata direttamente sulla radiografia) veniva comparata alla reale lunghezza dell’impianto, già nota, introducendo la seguente proporzione:
Lunghezza impianto misurato sulla radiografia: Lunghezza impianto reale (nota) = Difetto misurato sulla radiografia: Difetto reale (incognita)
attraverso la quale era possibile stabilire, con discreta precisione, l’eventuale entità della perdita ossea verticale attorno all’impianto, nei due siti di misurazione41.
Criteri di sopravvivenza e successo implantare
Sopravvivenza cumulativa: un impianto era classificato come «sopravvissuto» se ancora in bocca, in funzione e sotto carico, al termine dello studio. Gli impianti perduti e rimossi erano considerati come fallimenti. Le condizioni che venivano a determinare la rimozione di un impianto includevano peri-implantite con dolore persistente, suppurazione e radiotrasparenza continua a livello radiografico o patologia da sovraccarico con sostanziale riassorbimento osseo radiograficamente evidenziabile. La sopravvivenza cumulativa degli impianti al termine del periodo di osservazione rappresentava l’outcome primario di questo studio. Essa veniva calcolata nei due gruppi con l’analisi di Kaplan-Meier, grazie a uno specifico software di statistica (SPSS 10.0®, SPSS Inc., Chicago, IL, USA)42. Con lo stesso software si intendeva confrontare gli indici di sopravvivenza cumulativa nei due gruppi, attraverso un test Log Rank.
Successo clinico: una riabilitazione implanto-protesica era classificata come di successo se in grado di soddisfare, al termine del periodo di osservazione dello studio, i seguenti criteri clinici, radiografici e protesici:
- assenza di dolore e suppurazione;
- assenza di mobilità;
- assenza di radiotrasparenza peri-implantare continua;
- profondità di sondaggio < 5 mm (per ciascun impianto, calcolata dalla media dei quattro valori misurati rispettivamente a livello mesiale, distale, vestibolare e palatale/linguale all’impianto);
- distanza tra la spalla dell’impianto e il primo contatto osseo visibile radiograficamente < 1,5 mm dopo i primi 12 mesi di carico funzionale, e non eccedente ulteriori 0,2 mm in ciascuno degli anni successivi43;
- assenza di complicanze protesiche di sorta.
La valutazione del successo clinico nei due gruppi di impianti rappresentava l’outcome secondario di questo studio.
Risultati
Sopravvivenza implantare
Tra tutti i 270 impianti posizionati, sei fallivano e venivano rimossi, tre in pazienti trattati con protocollo di carico dilazionato e tre in pazienti con protocollo di carico immediato. Cinque di questi fallimenti si verificavano a carico del mascellare superiore, mentre soltanto uno in mandibola; in tutti i casi, i fallimenti si verificavano in corrispondenza della zona molare. Tra tutti i fallimenti, cinque si verificavano a poca distanza (due-quattro mesi al massimo) dall’inserzione dell’impianto, in tre casi addirittura prima del carico protesico, ed erano imputabili a peri-implantite. Questi fallimenti venivano classificati come «fallimenti precoci». Soltanto un fallimento si verificava a distanza di tempo maggiore (28 mesi) dall’inserimento dell’impianto, in un paziente trattato con protocollo di carico immediato e, pertanto, veniva definito «fallimento tardivo». Questo fallimento era riconducibile a sovraccarico protesico.
Quattro pazienti (quattro impianti) non potevano contribuire interamente allo studio, mancando l’ultimo degli appuntamenti di controllo programmati, per motivi personali (due pazienti) o di salute generale (due pazienti). Questi quattro pazienti venivano classificati, a fini statistici, come drops out. I dati estrapolati da questi pazienti, seppure parziali, erano comunque tenuti in considerazione nel lavoro. Al termine dello studio, 264 impianti in tutto erano ancora in funzione. Nel gruppo di impianti con protocollo di carico dilazionato, la sopravvivenza cumulativa era del 98,4% a cinque anni. Nel gruppo di impianti con protocollo di carico immediato, invece, la sopravvivenza cumulativa era del 95,0% a cinque anni (figura 16). Quest’ultimo dato risentiva, naturalmente, del maggior «peso» statistico dell’impianto perso a 28 mesi dall’inserimento. Ciononostante, la differenza di valori nella sopravvivenza cumulativa tra i due gruppi era valutata non statisticamente significativa attraverso un test di Log-Rank (tabella 1).
Successo implanto-protesico
Dati i cinque fallimenti precoci sopra descritti, 240 impianti, in tutto, potevano essere esaminati nei controlli annuali per la valutazione del successo implanto-protesico (171 caricati convenzionalmente e 69 caricati immediatamente). Nel corso delle diverse valutazioni cliniche eseguite, 210 impianti (87,5%) rivelavano un valore di indice di placca modificato compreso tra 0 e 1, mentre 30 impianti (12,5%) mostravano quantità di placca maggiore, con valori > 1. Allo stesso modo, 215 impianti (89,5%) non mostravano alcun segno di infiammazione a carico dei tessuti mucosi peri-implantari, con indice di sanguinamento modificato compreso tra 0 e 1, mentre 25 impianti (10,5%) rivelavano un indice > 1.
In tutte le valutazioni complessivamente eseguite, per 208 impianti (86,7%) la profondità di sondaggio non superava 3,0 mm; per 29 impianti (12,1%) il sondaggio era compreso tra 3,0 e 5,0 mm; soltanto tre impianti (1,2%) mostravano una profondità di sondaggio superiore a 5,0 mm, e quindi incompatibile con i criteri di successo fissati in questo studio. Due di questi appartenevano al gruppo con carico convenzionale. Parimenti, in tutte le valutazioni, per 212 impianti (88,3%) la distanza tra il margine della corona dell’impianto e il punto più coronale della mucosa peri-implantare era compreso tra -1 e -2 mm; in 26 impianti (10,8%), questa distanza era compresa tra 0 e -1 mm; soltanto due impianti (0,9%) mostravano una minima recessione dei tessuti mucosi peri-implantari, con un valore di DIM > 0 mm. Due soli monconi, in zona molare e nel mascellare superiore, perdevano la loro connessione con l’impianto nel primo anno di funzione. La perdita di connessione si verificava rispettivamente in un impianto sottoposto a carico convenzionale e in un impianto sottoposto a carico immediato. Questi monconi venivano reinseriti e non presentavano più problemi, fino al termine dello studio; tuttavia, essi rappresentavano un insuccesso protesico. In tutto, perciò, l’incidenza di perdita di connessione tra moncone e impianto, descritta nel corso di questo studio, era dello 0,8%. Considerando i due gruppi, l’incidenza di problematiche protesiche era dello 0,5% nel carico convenzionale e dell’1,4% nel carico immediato. Nessun altro problema di natura protesica (come frattura di moncone o frattura della ceramica) era evidenziato nel corso di questo lavoro. La valutazione radiografica, infine, rivelava una distanza media tra la spalla dell’impianto e il primo contatto osseo rispettivamente di 0,949 mm, 0,971 mm, 1,069 mm, 1,134 mm e 1,206 mm a 12, 24, 36, 48 e 60 mesi dall’inserzione degli impianti nel gruppo a carico convenzionale; nel gruppo a carico immediato, invece, i valori riportati erano di 0,905 mm, 0,934 mm, 1,096 mm, 1,178 mm e 1,220 mm sempre rispettivamente a 12, 24, 36, 48 e 60 mesi (tabella 2). Tutti i 240 impianti esaminati radiograficamente rispettavano i criteri di successo pre-stabiliti. In relazione a tutti questi dati, soltanto cinque impianti (tre nel gruppo di carico convenzionale e due in quello di carico immediato) non erano in grado di soddisfare pienamente i criteri di successo stabiliti nello studio (tre perché presentavano un sondaggio > 5,0 mm e due perché erano andati incontro a complicanza protesica, nella fattispecie perdita di connessione tra moncone e impianto). Per tale ragione, e considerando anche i sei fallimenti (tre impianti non sopravvissuti per gruppo), il successo clinico riportato era del 96,5% all’interno del gruppo con carico dilazionato, e del 92,7% all’interno del gruppo con carico immediato.
Discussione
L’elevata stabilità meccanica delle connessioni conometriche riduce la frequenza della perdita di connessione tra moncone e impianto, evento spesso descritto nei sistemi avvitati tradizionali (esagono esterno). Ciò determina, evidentemente, maggiori garanzie in applicazioni cliniche complesse quali la sostituzione di un dente singolo, in aree ove il carico protesico è elevato (settori posteriori di entrambi i mascellari)29-32,44-48.
In un lavoro47 a sei anni su 233 impianti a connessione conometrica, inseriti nelle aree posteriori di entrambi i mascellari, Weigl evidenziava un’incidenza molto bassa (1,3%) di perdita di connessione tra moncone e impianto. Nessun altra complicanza meccanica, quale frattura del moncone o frattura della ceramica, era descritta in questo studio47.
In un altro lavoro48 a otto anni, su 275 corone singole su impianti a connessione conometrica, Doring dimostrava l’assenza di complicanze di natura protesica (0% di perdita di connessione tra moncone e impianto e nessun altra problematica descritta).
In uno studio46 a tre anni, con 58 corone singole su impianti a connessione conometrica, Romanos evidenziava a sua volta un basso tasso di problematiche protesiche a carico del sistema (due soli monconi fratturati).
Tutti questi dati erano in linea con quanto evidenziato da un nostro precedente lavoro45 a tre anni su 80 impianti a connessione conometrica, inseriti principalmente nelle regioni posteriori di entrambi i mascellari a sostegno di corone singole, per cui il tasso di complicanze protesiche descritto era molto basso (3,75% in tutto con due monconi fratturati e una perdita di connessione).
Il presente lavoro, su 270 corone singole su impianti inseriti nei soli settori posteriori dei mascellari, sembra confermare tutti questi rilievi, con una bassa frequenza di problematiche protesiche riscontrate (0,8% di perdita di connessione complessivamente descritta per tutti gli impianti a cinque anni, con percentuali di 0,5% nel gruppo a carico convenzionale e 1,4% nel gruppo a carico immediato). Il sistema a connessione conometrica impiegato in questo studio, di tipo auto-bloccante e con un angolo di 1,5°, è in grado, pertanto, di ridurre l’incidenza di problematiche di natura protesica nelle riabilitazioni implantari su dente singolo nei settori posteriori. Lo scopo di questo lavoro, tuttavia, non era soltanto valutare il tasso di complicanze protesiche a carico del sistema, ma anche e soprattutto determinare la sopravvivenza cumulativa e il successo clinico nei due gruppi di impianti: quelli caricati con protocollo convenzionale (3-4 mesi di attesa dall’inserimento prima del carico) e quelli caricati con protocollo immediato (48 ore soltanto di attesa prima di posizionare il restauro provvisorio). Al termine dello studio, la sopravvivenza cumulativa a cinque anni con analisi di Kaplan-Meier era del 98,4% nel gruppo con protocollo dilazionato e del 95,0% nel gruppo con protocollo immediato. La leggera differenza nel tasso di sopravvivenza cumulativa tra i due gruppi era legata alla perdita di un impianto con carico immediato nel terzo anno dal posizionamento (28 mesi, unico fallimento tardivo descritto), ma comunque non statisticamente significativa.
Questi dati sono in linea con le più recenti evidenze della letteratura. Abboud49 ha evidenziato, infatti, una percentuale di sopravvivenza (95,0%) soddisfacente in uno studio su 20 impianti singoli, caricati immediatamente, e posizionati nei settori posteriori dei mascellari. L’applicazione di un carico controllato e progressivo sembra quindi poter permettere il posizionamento del manufatto protesico anche a sole 48 ore dall’inserzione dell’impianto. Per poter garantire la sopravvivenza dell’impianto, naturalmente, riveste grande importanza l’analisi scrupolosa di parametri come la quantità e la qualità (densità) dell’osso residuo, fattori che determinano la stabilità primaria dell’impianto; parimenti, fattori come la geometria superficiale dell’impianto e l’esperienza dell’operatore hanno grande rilievo nel determinare il risultato finale50. Certamente, esistono pochi studi controllati sull’argomento e ne occorreranno molti altri per poter esprimere valutazioni più precise sull’opportunità di caricare immediatamente impianti singoli nei settori posteriori dei mascellari50. Non ultimo, il successo implanto-protesico riportato dal nostro lavoro, in base ai criteri originariamente stabiliti, era del 96,5% e del 92,7%, rispettivamente, nei due gruppi con protocollo di carico convenzionale e immediato. Contributo essenziale a questo soddisfacente risultato è dato dalla notevole stabilità del tessuto osseo peri-implantare nel corso dello studio, con minima variazione nei valori di DIB (distanza tra la spalla dell’impianto e il primo contatto osseo verticale), in entrambi i gruppi, nelle valutazioni da uno a cinque anni. Infatti, i valori di DIB riportati sono di 0,949 e 1,206 per gli impianti a carico convenzionale, e di 0,905 e 1,220 negli impianti a carico immediato, rispettivamente a uno e cinque anni.
È generalmente riconosciuto come negli impianti con connessioni avvitate tradizionali, dopo un anno di carico funzionale, il primo contatto osseo sia posizionato 1,5-2,0 mm al di sotto della connessione tra moncone e impianto51. Benché il preciso meccanismo legato alla perdita di tessuto osseo peri-implantare sia ancora poco conosciuto52, alcuni autori hanno suggerito come eventuali micro-movimenti all’interfaccia tra moncone e impianto possano essere responsabili del riassorbimento osseo53. La connessione conometrica, come abbiamo visto, è caratterizzata da elevata stabilità meccanica27,28 e potrebbe, di conseguenza, prevenire il riassorbimento dell’osso crestale intorno agli impianti. È inoltre noto come in tutti gli impianti con connessioni avvitate esista un microgap di dimensioni variabili (40-100 µm) all’interfaccia tra moncone e impianto. Questo microgap può essere colonizzato da batteri, capaci di penetrare e stabilirsi nella porzione interna dell’impianto54-56. Laddove la connessione tra moncone e impianto è localizzata in prossimità della cresta alveolare, la colonizzazione batterica del microgap interfacciale può essere responsabile della genesi di uno stimolo chemotattico, in grado di iniziare e sostiene il reclutamento di cellule infiammatorie. Questo può determinare infiammazione dei tessuti peri-implantari, con conseguente perdita d’osso57-62. La connessione conometrica tra moncone e impianto, riducendo sensibilmente le dimensioni del microgap (1-3 µm) interfacciale, potrebbe rappresentare un efficiente sigillo contro la penetrazione microbica63,64. Questo potrebbe garantire livelli minimi di infiammazione dei tessuti peri-implantari, e determinare un’adeguata stabilità del tessuto osseo crestale63-64. Inoltre, è stato dimostrato come la stabilità dell’osso crestale intorno agli impianti dipenda largamente dalla formazione di un’ampiezza biologica (tessuti molli) adeguata all’interfaccia tra moncone e impianto65. Con la connessione conometrica, il profilo di emergenza del moncone è differente, e possiede tutte le caratteristiche vantaggiose descritte attraverso il moderno principio dello «spostamento della piattaforma» (platform switching). L’eventuale microgap all’interfaccia è infatti spostato verso l’interno e, conseguentemente, allontanato dalla cresta ossea66-68. Questo è un aspetto di grande importanza, per almeno due diverse ragioni. In primo luogo, i batteri eventualmente presenti e in grado di colonizzare gli spazi interfacciali tra moncone e impianto sono più distanti dalla cresta ossea68-70. Secondariamente, la guarigione dei tessuti molli è eccellente, con un tessuto connettivale più ampio e spesso. Questo sigillo trans-mucoso protegge la cresta ossea e previene, a sua volta, fenomeni di riassorbimento a carico della stessa71-75.
In questo lavoro, alla notevole stabilità della cresta ossea nel corso del tempo (perdita d’osso non superiore a 0,2 mm per ciascun anno successivo, al primo, per entrambi i protocolli di carico convenzionale e immediato) si accompagnava un’eccellente salute dei tessuti mucosi, con bassi livelli di infiammazione dei tessuti peri-implantari (215 impianti non presentavano alcun segno di infiammazione a carico dei tessuti mucosi peri-implantari, con indice di sanguinamento modificato compreso tra 0 e 1). Questi rilievi erano confermati dagli ottimi e stabili valori di profondità sondaggio, con soli tre impianti con un sondaggio superiore a 5,0 mm.
Conclusioni
La connessione conometrica è caratterizzata da elevata stabilità meccanica, in grado di ridurre l’incidenza di problemi protesici tradizionalmente riscontrabili con connessioni avvitate, come la perdita di connessione tra moncone e impianto. Per tale ragione, gli impianti a connessione conometrica sono indicati per la sostituzione di corone singole nei settori posteriori di entrambi mascellari, laddove i carichi masticatori risultano maggiori.
In questo studio a cinque anni su 270 corone singole su impianti a connessione conometrica nei settori posteriori di entrambi i mascellari, l’incidenza di problematiche protesiche era limitata (0,8% sul totale degli impianti, 0,5% nel gruppo con protocollo di carico convenzionale e 1,4% nel gruppo con protocollo di carico immediato). La sopravvivenza cumulativa era del 98,4% nel gruppo di impianti con protocollo di carico convenzionale e del 95,0% nel gruppo di impianti con protocollo di carico immediato (differenza statisticamente non significativa).
Il successo implanto-protesico era del 96,5% all’interno del gruppo con carico convenzionale e del 92,7% nel gruppo con carico immediato. La stabilità nel tempo del tessuto osseo crestale intorno agli impianti e la buona salute dei tessuti mucosi peri-implantari, dimostrate in questo studio, sono in accordo con le più recenti acquisizioni in letteratura, riguardanti i concetti di microgap e spostamento della piattaforma.
Corrispondenza
professor Carlo Mangano
piazza Trento 4, 22015 Gravedona (Como)
e-mail: carlo@manganocarlo.191.it
• Carlo Mangano1
• Francesco Mangano
• Michele De Franco
• Alberto Mangano2
• Luca La Colla2
• Adriano Piattelli3
1 Professore a contratto presso l’Università dell’Insubria di Varese, Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria
2 Ricercatore presso l’Università «Vita e Salute» S. Raffaele di Milano, Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia
3 Professore ordinario presso l’Università degli Studi
«G. d’Annunzio» di Chieti, Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, Cattedra di Patologia Speciale Odontostomatologia
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