Compositi antibatterici: una reale possibilità?

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La presenza di una carie costituisce per forza di cose la motivazione clinica per la quale di si esegue un restauro conservativo. Si può dire che la seconda causa sia invece la presenza di un’infiltrazione cariosa coinvolgente una precedente otturazione. Ecco perché oggi, nel delineare l’identikit del materiale da otturazione ideale, si può immaginare che questo risulti resistente all’adesione del film batterico e auspicare che svolga addirittura un’azione attiva su di esso. Verranno qui di seguito illustrati alcuni dei materiali più promettenti per quanto riguarda questa seconda caratteristica, in riferimento a quanto riportato da Cheng e colleghi nella loro ampia revisione clinica.

Parlando appunto di materiali, o meglio di resine composite da otturazione, Zhang, uno degli Autori della suddetta revisione, sviluppò pochi anni fa un sistema per includere e poi rilasciare l’agente antibatterico clorexidina da parte di un composito contenente nanoparticelle di silice a media porosità. Il fattore discriminante l’efficacia è la concentrazione della clorexidina: se bassa, si osserva azione principale a livello della membrana; se alta è possibile indurre il blocco del citoplasma.

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L’argento possiede capacità antibatteriche, anche nei confronti dello streptococco mutans. Incorporando nanoparticelle di argento all’interno della resina, è possibile ridurre la crescita del biofilm senza interferire con l’adesione e con il colore del materiale. Il meccanismo d’azione prevede il blocco di enzimi deputati alla replicazione del DNA batterico, portando a morte la cellula. Un elemento negativo di tale sistema è rappresentato dall’impossibilità di controllare il picco di rilascio, limitato per un breve periodo. Questa problematica potrebbe essere superata dai prodotti nei quali l’agente si trova legato covalentemente. Si parla di sistemi “immobilizzati” o nonreleasing. L’effetto è stato ottenuto copolimerizzando ammonio quaternario metacrilato. I derivati incorporati nei compositi manifestano una stabile attività antibiofilm, mantenuta fino a 12 mesi dopo il contatto con i fluidi orali. Per quanto riguarda i metacrilati a catena corta, l’azione è legata sostanzialmente alla carica positiva dei gruppi ammonio che interferiscono con le funzioni della membrana batterica (carica negativamente). Nelle molecole a catena lunga si aggiunge l’azione della catena alchilica, che porta a rottura della stessa membrana.

Un’altra fase del metodo adesivo su cui è possibile agire è costituita appunto dall’interfaccia, laddove la presenza di microgap può favorire la permanenza di microrganismi rilascianti acidi. In questo caso, l’aggiunta di (dimetilammino)dodecil metacrilato ha prodotto un effetto antibiofilm nei confronti di S. mutans. Questa molecola manifesta azione inibitoria nei confronti degli esopolisaccaridi del batterio, degli acidi da esso rilasciati e del suo meccanismo di crescita cellulare.

Compositi antibatterici: una reale possibilità? - Ultima modifica: 2018-02-28T07:09:23+00:00 da redazione

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