Carico immediato full arch mascellare e mandibolare: un nuovo approccio chirurgico e protesico

1a. Condizione iniziale aspetto obiettivo (a) e OPT (b).

• Nicola Petrillo 

Riassunto

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Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una profonda revisione dei principi alla base dell’implantologia e del concetto di osteointegrazione rivedendone le procedure e i tempi di attuazione. Ne è conseguita una revisione anche delle procedure protesiche atte a caricare immediatamente gli impianti endossei. La metodica illustrata nel presente articolo, sfruttando il principio dell’accoppiamento conometrico, offre un’ulteriore possibilità di realizzare in breve tempo il carico immediato degli impianti senza dover ricorrere alla realizzazione di strutture metalliche o alla cementazione del manufatto protesico.

Parole chiave: carico immediato, moncone parallelizzatore, accoppiamento conometrico, protesi provvisoria senza struttura metallica.

Summary

Immediate loading full arch in maxilla and  mandible: a new surgical and
prosthetic approach

In the last decade we have seen a major review of the fundamentals of the concept of osseointegration and implantology reviewing its procedures and timing of implementation. The result was a basic revision of prosthetic procedures designed to endosseous implants loaded immediately. The method described in this article using the principle of the coupling conometrico, offers another possibility to realize in a short time the immediate loading of implants without having to resort to the construction of metal structures or cementation of the prosthesis.

Key words: immediate loading, abutment paralleling, conical coupling, temporary restoration without metal framework.

Per molto tempo le linee guida relative al carico protesico degli impianti hanno fatto riferimento a quelli che sono stati i dettami della scuola di Brånemark che prevedevano un lungo periodo di guarigione degli impianti sommersi e non sottoposti a carico funzionale. Tale periodo era indicato in 3-4 mesi per la mandibola e in 4-6 mesi per il mascellare superiore1,2. Tuttavia questi principi non avevano alcun fondamento scientifico o biologico ma si basavano solo su considerazioni empiriche volte a evitare il fallimento implantare generato da un carico precoce e/o eccessivo che potesse indirizzare la guarigione perimplantare verso la fibrointegrazione determinandone l’insuccesso, piuttosto che verso l’osteointegrazione desiderata. Le linee guida iniziali dell’osteointegrazione prevedevano il prerequisito clinico di un impianto completamente sommerso e non sottoposto a carico durante il periodo di guarigione3. Il carico immediato degli impianti suscita oggi molto interesse sia per accelerare le fasi di protesizzazione provvisoria, sia per razionalizzare e accelerare le procedure protesiche complessive. Se valutiamo l’impatto che i periodi di guarigione hanno sul paziente, esso potrebbe rappresentare una situazione non sopportabile da un punto di vista estetico, funzionale e psicologico, specialmente se affetto da edentulia totale. Sicuramente in tutto questo il miglioramento dell’approccio protesico pre-chirurgico, delle tecniche chirurgiche stesse, delle superfici implantari e, inoltre, le migliori conoscenze biomeccaniche e del meccanismo biologico cellulare alla base dell’adesione del nuovo osso sulla superficie implantare, hanno portato i ricercatori e i clinici a ridurre questi tempi di attesa fino ad annullarli, giungendo alla teorizzazione del carico immediato.

Numerosi sono ormai gli studi in cui sono state riportate alte percentuali di successo nelle riabilitazioni in edentulismi parziali o totali4-7. I primi studi relativi al carico immediato sono stati condotti su mandibole edentule collocando gli impianti nella zona intraforaminale dove la presenza di osso compatto forniva le migliori garanzie di stabilità primaria. Babbush e coll. nel 19868 riportano una tecnica di carico immediato su 4 impianti inseriti nella sinfisi mandibolare con overdenture, solidarizzati subito con barra metallica e 2 settimane più tardi caricati con una protesi definitiva con clip. Da allora numerosi studi sono stati fatti su impianti caricati immediatamente in mandibola con protesi fissa o rimovibile con alte percentuali di successo paragonabili a quelle con carico convenzionale9-15. Anche Lederman negli anni Ottanta ha valutato il posizionamento di impianti prevalentemente in zona intraforaminale, caricandoli con overdenture e riportando alte percentuali di successo. L’Autore individuò nell’alta densità ossea del sito ricevente e nella stabilizzazione immediata degli impianti mediante protesi i criteri per il successo del carico immediato16. Schnitman e coll. pubblicarono nel 1997 una revisione retrospettiva a 10 anni dal posizionamento di impianti caricati immediatamente in mandibola12 riportando un’alta percentuale di successi. Nel tempo si sono susseguiti numerosi studi che hanno subito un incremento negli anni 2000 e che, pur con diversi approcci, soprattutto protesici, hanno portato tutti alla conclusione di un’affidabilità e predicibilità a lungo termine13,14,17-25. Va altresì ricordato che mentre la predicibilità a lungo termine di impianti in mandibole edentule è alta e supportata da numerosi studi, per ciò che riguarda il mascellare superiore completamente edentulo e i carichi immediati con protesi parziali non vi è ancora una così ampia letteratura. Diverse sono, infine, le interpretazioni date sul significato di carico immediato, taluni riferendolo solo al carico effettuato nelle 24 ore dal posizionamento degli impianti; tuttavia possiamo comunque considerare immediato il caricamento di un impianto effettuato nelle 48-72 ore.

1b. Condizione iniziale aspetto obiettivo (a) e OPT (b).
1b. Condizione iniziale aspetto obiettivo (a) e OPT (b).

Valutazione pre-chirurgica

L’approccio alla pianificazione di un trattamento con carico immediato in mascellari completamente edentuli mediante protesi fissa parte da un’attenta scelta e valutazione del paziente che deve essere fortemente motivato, trovando conferma in una preventiva valutazione della quantità e qualità dell’osso tale da garantire la stabilità primaria degli impianti. È importante considerare la posizione dei denti protesici, il profilo di emergenza, l’occlusione, la fonetica, il supporto labiale e facciale e i parametri estetici appropriati che portano al consenso del paziente. Vari sono i protocolli riportati in letteratura per la riabilitazione fissa del mascellare e della mandibola edentula. Possiamo riassumere questi protocolli in 3 punti:

  • riabilitazione fissa solidarizzata supportata da 4-6 impianti anteriori (posti tra i forami mentonieri o i seni mascellari) ed estensioni laterali bilaretali26,27;
  • riabilitazione fissa solidarizzata supportata da 6-8 impianti antero-posteriori distribuiti lungo l’arcata senza estensioni bilaterali28-30;
  • riabilitazione totale fissa segmentata supportata da 6-8 impianti antero-posteriori31.

Tutti questi protocolli descrivono trattamenti mascellari e mandibolari separati; tuttavia nel caso di pazienti totalmente edentuli dove è necessaria una riabilitazione mascellare e mandibolare si può seguire un approccio simultaneo o consecutivo32. Nella progettazione del carico immediato più che mai la fase chirurgica è protesicamente guidata. La protesi provvisoria è espressione di un’accurata analisi fatta attraverso una ceratura diagnostica, da cui deriva una mascherina chirurgica che permetterà di collocare al meglio gli impianti e di distribuirli secondo numero e angolazione lungo l’arcata; inoltre, consentirà di valutare al meglio lo spazio interarcata scegliendo il tipo di attacco più idoneo. Oltre al momento della pianificazione protesica, va preso in considerazione anche la valutazione clinica del paziente, con particolare riferimento alle caratteristiche dell’osso che dovrà accogliere gli impianti.

2a. Visione intraoperatoria: impianti con il proprio dispositivo di montaggio (a); dispositivo per la presa delle impronte montato (b); impronta in silicone (c).
2a. Visione intraoperatoria: impianti con il proprio dispositivo di montaggio (a); dispositivo per la presa delle impronte montato (b); impronta in silicone (c).
2b. Visione intraoperatoria: impianti con il proprio dispositivo di montaggio (a); dispositivo per la presa delle impronte montato (b); impronta in silicone (c).
2b. Visione intraoperatoria: impianti con il proprio dispositivo di montaggio (a); dispositivo per la presa delle impronte montato (b); impronta in silicone (c).
2c. Visione intraoperatoria: impianti con il proprio dispositivo di montaggio (a); dispositivo per la presa delle impronte montato (b); impronta in silicone (c).
2c. Visione intraoperatoria: impianti con il proprio dispositivo di montaggio (a); dispositivo per la presa delle impronte montato (b); impronta in silicone (c).

Criterio imprescindibile di queste terapie è sicuramente il raggiungimento di una stabilità primaria per poter ottenere gli stessi risultati rispetto a un carico differito e per avere un’analoga risposta in termini di crescita ossea perimplantare33. Altresì si sono intensificati gli sforzi per aumentare e accelerare la crescita ossea perimplantare a vantaggio di una più rapida stabilità secondaria e in questo senso ci sono di aiuto gli impianti con una microrugosità di superficie. È ormai fuori di dubbio che le superfici microruvide offrono una migliore qualità di osso perimplantare e una maggiore rapidità di osteointegrazione rispetto alle superfici lisce e queste caratteristiche sono particolarmente utili ed evidenti nei settori posteriori della mascella a minore densità ossea34-36.

  • Qualità ossea: sicuramente un osso trabecolare compatto offre un maggiore adattamento della superficie di contatto osso-impianto che si traduce in una maggiore stabilità primaria; è infatti documentato che le più elevate possibilità di fallimento si hanno in osso di tipo IV rispetto a quelle di tipo I, II, III37-39.
  • Quantità ossea: il volume osseo detta ovviamente lunghezza e diametro implantare. La possibilità di inserire un adeguato impianto sia in lunghezza che larghezza offre sicuramente una maggiore superficie di contatto osso impianto nella fase iniziale dell’osteointegrazione. È stata documentata una correlazione positiva tra lunghezza e/o diametro dell’impianto e valori di torque di rimozione40-42.
  • Macrostruttura dell’impianto: gli impianti filettati offrono sicuramente una maggiore ritenzione meccanica dopo l’inserimento e pertanto vanno preferiti a quelli non filettati.
  • Microstruttura implantare: le superfici microruvide accelerano e migliorano la stabilità del coagulo perimplantare nelle primissime fasi; studi in letteratura dimostrano un chiaro aumento del BIC (Bone Implant Contact) in tali impianti rispetto a quelli machined43. Inoltre, tra i microruvidi il BIC è maggiore intorno agli impianti sottoposti a carico immediato rispetto a quelli a carico differito44.
  • Bicorticalizzazione: impattare sia la corticale superiore che quella inferiore sembra garantire maggiori condizioni di stabilità aumentando il torque di rimozione40. Inoltre Chiapasco e coll. non trovarono alcuna correlazione tra lunghezza dell’impianto e percentuali di successo se si era ottenuta una bicorticalizzazione14.
3a. Moncone parallelizzatore: visione (a) e (b).
3a. Moncone parallelizzatore: visione (a) e (b).
3b. Moncone parallelizzatore: visione (a) e (b).
3b. Moncone parallelizzatore: visione (a) e (b).

 

Obiettivi del lavoro  

Il presente lavoro vuole illustrare i risultati clinici del carico immediato in mandibole e mascelle completamente edentule o divenute tali, con un nuovo approccio chirurgico-protesico volto a ottenere in tempi brevissimi la funzionalizzazione protesica del paziente edentulo. Non vi è dubbio che la scelta dei pazienti e la fase diagnostica svolgono un ruolo importante nella pianificazione di una riabilitazione fissa a supporto implantare in edentuli, quando dobbiamo mettere in atto procedure di carico immediato, potendo influenzare in misura significativa l’esito del trattamento45.

Protocollo di scelta

Sono stati sottoposti a questo protocollo 6 pazienti, quattro donne e due maschi, di età compresa tra i 58 e i 63 anni che necessitavano di una riabilitazione completa mascellare e/o mandibolare. Precisamente un maschio e due donne avevano bisogno di una riabilitazione combinata mandibolare e mascellare; due donne solo mascellare e un uomo solo mascellare. In totale sono state riabilitate 9 arcate. Nessuno dei pazienti si è presentato completamente edentulo, ma ognuno portava gli esiti di vecchie protesi fisse o combinate non più congrue dal punto di vista funzionale, avendo perso i supporti radicolari per carie destruenti oppure erano affetti da parodontopatia per cui dovevano ricorrere necessariamente a una terapia implantare full arch (Figure 1a-1b). In alcuni casi sono stati posizionati impianti anche in siti post-estrattivi adeguatamente decontaminati. I pazienti tutti in ottime condizioni di salute non presentavano patologie sistemiche di rilievo o tali da controindicare in senso generale una terapia implantare. Nessuno dei pazienti era fumatore.

Procedura pre-chirurgica

Si è partiti da un’attenta valutazione dei casi attraverso l’analisi dei modelli di studio e delle cerature diagnostiche per valutare estetica, fonetica e rapporti intermascellari. Successivamente si sono realizzate le dime chirurgiche per analizzare la distribuzione degli impianti lungo l’arcata, il loro corretto allineamento e la scelta dei diametri durante il posizionamento degli impianti. La scelta del diametro implantare, della lunghezza e la loro distribuzione in arcata è stata supportata anche dalla valutazione del Dentalscan di ogni singolo paziente.

Procedura chirurgica

I pazienti sono stati sottoposti a intervento implantare dopo adeguata preparazione con copertura antibiotica (amoxicillina+acido clavulanico 1 g x 2 die) iniziata almeno 24 ore prima dell’intervento visto che in alcuni casi erano presenti residui radicolari che si è preferito mantenere in situ per ridurre gli atti chirurgici e altresì sfruttare al meglio le proprietà rigenerative degli alveoli post-estrattivi ai fini di una migliore osteointegrazione. I siti post-estrattivi sono stati decontaminati con laser al neodimio. Gli interventi sono stati eseguiti in regime ambulatoriale in anestesia locoregionale (articaina 1:100.000) e solo in un paziente si è ricorsi a una blanda sedazione per via endovenosa. Il criterio che ha guidato il posizionamento degli impianti è stato quello di collocarli in maniera da distribuirli lungo l’arcata edentula secondo le indicazioni di carico fornite dallo studio protesico pre-chirurgico e sfruttando ove possibile i siti post-estrattivi. Gli impianti sono stati inseriti con un torque non inferiore a 45 N per essere sicuri di aver ottenuto un’ottima stabilità primaria. Dopo aver applicato suture a punti staccati, i pazienti sono stati congedati con terapia antibiotica, analgesica e l’uso di collutorio con clorexidina allo 0,20%.

6. Protesi provvisoria in situ.
6. Protesi provvisoria in situ.
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7. Visione occlusale della protesi; si noti l’arco metallico inserito per dare rigidità.
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8. OPT di controllo a osteointegrazione avvenuta.

 

Procedura protesica post-chirurgica

L’utilizzo di impianti dotati di un dispositivo di montaggio che funge al tempo stesso da moncone provvisorio ha permesso di prendere delle impronte intraoperatorie per la realizzazione di un manufatto provvisorio (Figure 2a-2c).  Sono state utilizzate delle particolari cappette compatibili con i mounter per prendere durante la fase chirurgica le impronte di posizione degli impianti. In laboratorio, colate le impronte, si provvede a ottenere il parallelismo dei monconi provvisori, ricorrendo all’utilizzo di particolari monconi parallelizzatori (MP) (Figure 3a-3b) che vengono fresati al parallelometro tra 0 e 2 gradi (Figure 4a-4b).  Questi MP vanno a incastrarsi da un lato sul mounter-abutment dell’impianto tramite un sistema ritentivo e dall’altro si accoppiano per frizionamento conometrico in alloggiamenti cavi corrispondenti posti all’interno della protesi (Figure 5a-5c). Questa nuova procedura per la realizzazione di un provvisorio a carico immediato prevede l’utilizzo dei MP che danno non solo la possibilità di correggere in breve tempo i disparallelismi che l’anatomia dei mascellari induce sul posizionamento degli impianti, ma rappresentano, secondo l’Autore, per la loro natura elastica un elemento ammortizzatore che contribuisce a ridurre gli stress all’interfaccia osso impianto, aspetto questo che è particolarmente utile nel mascellare superiore. I pazienti sono stati chiamati in studio il mattino successivo per il posizionamento della protesi provvisoria in resina.

A distanza di una settimana sono stati rimossi i punti di sutura (Figura 6). Particolare attenzione va posta sul dato che tale protesi provvisoria monta sugli impianti mediante un sistema di ritenzione totalmente frizionante eliminando il ricorso all’utilizzo di cementi e quindi evitando possibili infiltrazioni sottogengivali dello stesso. Tale sistematica permette di realizzare in brevissimo tempo un provvisorio perché non si deve ricorrere all’uso di strutture metalliche per bloccare e solidarizzare immediatamente gli impianti posizionati, evitando in tal modo anche tutti gli errori insiti nella realizzazione di fusioni metalliche e i ritardi nella consegna dei provvisori a esse correlate. La rigidità della protesi, che serve per intercettare i micromovimenti occlusali che possono scaricarsi sugli impianti, è affidata a una barra metallica del commercio inglobata nelle protesi provvisoria (Figura 7) o all’utilizzo di fibre di vetro a rinforzo della struttura in resina dei provvisori. Per quanto riguarda l’occlusione della protesi provvisoria, il carico occlusale è stato limitato alla zona anteriore dando dei contatti di centrica solo nella zona compresa tra i primi premolari perché le forze masticatorie sono maggiori nei settori posteriori dove la qualità dell’osso è sempre peggiore rispetto alle sedi anteriori e quindi meno indicata per un carico immediato. Al momento della consegna del provvisorio è stata rinnovata ai pazienti la raccomandazione a osservare nei primi 40-50 giorni una dieta particolarmente morbida per non aggravare il carico masticatorio degli impianti appena posizionati. A distanza di 3 mesi dal posizionamento mandibolare e dopo 4 mesi circa da quello mascellare si sono avviate le procedura per realizzare il manufatto protesico definitivo.

Procedura protesica definitiva

Trascorsi i tempi suddetti, dopo un controllo radiogafico (Figura 8) si sono prese nuove impronte in polietere, i modelli sono stati montati in articolatore e messi in relazione previo rilevamento dei rapporti occlusali mediante arco facciale. Sono stati realizzati monconi fusi personalizzati sui quali sono state disegnate delle apposite cappette aureo galvaniche; queste sono state provate in bocca e successivamente incollate, sempre in bocca al paziente, su una struttura terziaria che è stata successivamente inglobata nel manufatto protesico finale (Figure 9a-9b). Il ricorso a cappette galvaniche è servito per ridurre eventuali distorsioni e trazioni che potessero ripercuotersi sugli impianti invalidando nel tempo l’osteointegrazione. Alla fine l’intero lavoro protesico è stato collocato sui monconi precedentemente avvitati sugli impianti e bloccato da 2 microviti trasversali per assicurare ulteriormente la stabilità della protesi (Figure 10a-10b, 11a-11d).

9a. Fase protesica finale: prova dei monconi fusi personalizzati (a); prova delle cappette aurogalvaniche (b).
9a. Fase protesica finale: prova dei monconi fusi personalizzati (a); prova delle cappette aurogalvaniche (b).
9b. Fase protesica finale: prova dei monconi fusi personalizzati (a); prova delle cappette aurogalvaniche (b).
9b. Fase protesica finale: prova dei monconi fusi personalizzati (a); prova delle cappette aurogalvaniche (b).

Discussione

Mentre le percentuali di successo implantare con carico immediato in mandibola sono ampiamente documentate in letteratura, non sono ancora presenti molti lavori che valutano i risultati del carico immediato nel mascellare. Tra il novembre 2006 e il novembre 2010 sono state trattate 9 arcate edentule – 6 mascellari e 3 mandibole – per un totale di 55 impianti posizionati non solo nei settori anteriori con una qualità ossea di tipo I e II, ma anche in zona molare dove la qualità è prevalentemente di tipo III con maggiori rischi per l’osteointegrazione. Questo ci permette di fare una prima considerazione sugli impianti utilizzati. Come evidenziato da revisioni della letteratura45 è proprio nei settori in cui la qualità ossea diventa di tipo III o IV che risulta determinante la microsuperficie dell’impianto; infatti, non si evidenziano differenze significative tra percentuali di successo di impianti lisci e rugosi quando sono posti in settori anteriori sia mandibolari che mascellari perché a maggiore densità ossea. La sistematica implantare da noi utilizzata unisce alla particolare aggressività delle spire, adatte a creare stabilità meccanica, anche una superficie nanostrutturata che con la sua microporosità contribuisce non solo ad amplificare la superficie di contatto osso-impianto, ma induce una precoce stabilizzazione del coagulo intorno all’impianto accelerando i processi di osteogenesi e riducendo i micromovimenti perimplantari.

10a. Protesi definitiva con viti trasversali di stabilizzazione (a) e (b).
10a. Protesi definitiva con viti trasversali di stabilizzazione (a) e (b).
10b. Protesi definitiva con viti trasversali di stabilizzazione (a) e (b).
10b. Protesi definitiva con viti trasversali di stabilizzazione (a) e (b).

A questo va aggiunto che quando è stato possibile posizionare gli impianti in siti post-estrattivi ciò è stato effettuato per garantire una guarigione perimplantare più rapida grazie allo sfruttamento del potenziale rigenerativo insito in un sito post-estrattivo intorno agli impianti. Infatti è documentato variamente in letteratura un significativo aumento dell’ISR (percentuale di successo implantare) nei siti post-estrattivi rispetto a quelli realizzati con osteotomia45. La scelta della lunghezza dell’impianto è a nostro avviso un altro fattore determinante per il successo. In letteratura è riportato di non utilizzare impianti inferiori a 10 mm e di sfruttare sempre al massimo l’altezza dell’osso disponibile; per tale motivo in questo lavoro sono state utilizzate prevalentemente lunghezze di 15 mm e 13 mm. Solo in un caso è stato collocato in settori posteriori della mandibola un impianto di 8.5 mm per la scarsa altezza ossea e non si è rischiato di caricarlo immediatamente. Un’altra considerazione da fare riguarda il protocollo protesico provvisorio adottato che ha permesso di caricare immediatamente e con successo non solo la mandibola ma anche il mascellare, garantendo un’immediata funzionalizzazione degli impianti con una protesi che, pur non essendo avvitata o cementata, ha comunque assicurato quella rigidità necessaria nelle prime fasi dell’osteointegrazione e al tempo stesso ha ridotto il disagio dei pazienti che non sempre accettano di rimanere senza protesi per alcune settimane o di ricorrere a protesi totali. I pazienti, in definitiva, hanno sempre goduto di protesi fisse sin dalle ore immediatamente successive al posizionamento degli impianti, riducendo disagi masticatori e migliorando soprattutto la loro vita di relazione. È stato possibile confezionare una protesi fissa provvisoria nelle 24 ore successive all’intervento perché non si è dovuti ricorrere alla realizzazione di una barra fusa di stabilizzazione degli impianti e quindi a prove di strutture metalliche.

Da ciò deriva che:

  • si è ottenuto un carico immediato e una protesi in appena 24 ore dal posizionamento degli impianti;
  • non è necessaria una così rigida stabilizzazione degli impianti nelle prime fasi dell’osteointegrazione mediante barra come enunciato nella letteratura. Questo vale sicuramente per la mandibola dove abbiamo una maggiore densità ossea capace di dare stabilità primaria agli impianti, ma anche nel mascellare dove le incertezze sono alimentate dalla minore densità ossea.

Il successo di questa protesi provvisoria immediata, nonché quello implantare e cioè l’osteointegrazione degli impianti, risiede nelle caratteristiche della struttura protesica provvisoria che racchiude in sé “rigidità” e “stabilità” tali da non trasferire eccessivi micromovimenti all’interfaccia osso-impianto e anche un’assoluta “passività”, tale da non trasmettere tensioni sugli impianti. Al raggiungimento di queste caratteristiche ha sicuramente concorso l’introduzione nel sistema protesico del moncone parallelizzatore.

Risultati

Durante il periodo di osteointegrazione si è avuto il fallimento di un impianto collocato in osso mascellare. L’insuccesso si è verificato durante il secondo mese di integrazione. Questa situazione non ha tuttavia compromesso il proseguimento della terapia e il lavoro protesico nel suo complesso, per cui l’impianto è stato rimosso e sostituito con uno di pari lunghezza e diametro superiore. La percentuale di sopravvivenza implantare è del 98,1% e, nonostante il ridotto numero di impianti campione e di pazienti reclutati, è in linea con le percentuali di successo riportate in letteratura (Tabella 1).

Tabella 1

Conclusioni

Con questo lavoro si è voluto illustrare un nuovo approccio protesico per ottenere il carico immediato degli impianti su un’intera arcata in condizioni di edentulia totale. L’obiettivo di realizzare una protesi provvisoria nell’arco della giornata è stato raggiunto, e contemporaneamente si è garantito all’insieme degli impianti un’immobilità che ha preservato gli stessi dai micromovimenti così importanti nelle prime fasi dell’integrazione ossea. Ne consegue che probabilmente non è indispensabile rendere la struttura protesica provvisoria solidale agli impianti mediante viti passanti (protesi avvitata) o mediante barra; la metodica utilizzata che sfrutta una protesi fissa legata al moncone implantare mediante un sistema frizionante e che svolge un ruolo di ammortizzatore dei carichi masticatori sembra essere una valida alternativa che offre ugualmente stabilità agli impianti nel periodo di guarigione.Da ultimo, ma non meno importante, si è garantita al paziente una continuità della funzione masticatoria, fonetica e di relazione sociale prendendoci cura quindi anche dell’aspetto psicologico che la mancanza di un provvisorio per un lungo periodo di tempo può generare nell’individuo.

I casi clinici presentati in questo lavoro sono stati realizzati con impianti Global

Corrispondenza

Nicola Petrillo
Via C. Battisti 20/b – 73100 Lecce
nikpetrillo@libero.it

Carico immediato full arch mascellare e mandibolare: un nuovo approccio chirurgico e protesico - Ultima modifica: 2013-11-10T15:33:24+00:00 da Redazione

1 commento

  1. Dal protocollo Branemark all’implantologia a carico immediato | DM Il Dentista Moderno

    […] protocollo chirurgico originalmente stabilito da Branemark consisteva nel mantenimento dell’impianto sommerso e non caricato, dopo l’inserzione […]

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