Agenesia degli incisivi: aprire o chiudere gli spazi?

Gli ortodontisti di fronte a un caso di agenesia degli incisivi laterali sono accomunati dal medesimo dubbio: sarà meglio aprire o chiudere gli spazi? È una delle domande più ricorrenti a cui il professionista deve saper dare risposta, ma ve ne sono tante altre che abbiamo discusso con alcuni tra i più quotati esperti di ortognatodonzia.

Il trattamento dell’agenesia degli incisivi laterali è un tema multidisciplinare che, forse anche per questa ragione, solleva molti dubbi. Se l’agenesia è unilaterale, per esempio, come ci si deve comportare nei confronti dell’elemento presente? Oppure, in un caso di apertura dello spazio, come scegliere la zona per la futura riabilitazione implanto-protesica? E ancora, in un paziente in crescita, come fare per mantenere lo spazio fino all’età prevista per la riabilitazione protesica? Sono argomenti specialistici, certo, che però anche il titolare di uno studio odontoiatrico deve conoscere, per poter comprendere il razionale delle scelte che il collaboratore ortodontista compie sui suoi pazienti.

Un approccio interdisciplinare

Vincenzo Quinzi,odontoiatra, specialista in Ortognatodonzia, libero professionista a Fiamignano (RI) e Avezzano (AQ), ricercatore presso l’Università degli Studi dell’Aquila, Scuola di Specializzazione in Ortognatodonzia

«La problematica delle agenesie è strettamente correlata con le anomalie di numero, di posizione e di forma degli elementi dentari», ricorda Vincenzo Quinzi, odontoiatra, specialista in Ortognatodonzia, disciplina che esercita in modo esclusivo come libero professionista a Fiamignano (RI) e ad Avezzano (AQ), ma anche come Ricercatore presso l’Università degli Studi dell’Aquila dove opera all’interno della Scuola di Specializzazione in Ortognatodonzia diretta dal professor Giuseppe Marzo. «Ci sono molti studi in letteratura che mostrano la natura genetica di questo problema, che è più frequente nella dentizione permanente che non in quella decidua e che ha una prevalenza maggiore nel sesso femminile, con un rapporto di 3 a 2 rispetto al sesso maschile. L’incidenza di questa anomalia, che in Italia si presenta in modo non omogeneo, interessa una percentuale della popolazione che va dal 2 al 4%». L’agenesia, dunque, è un problema che, seppur limitato, colpisce un numero significativo di persone e che l’ortodontista deve saper trattare. Nel caso poi dell’agenesia degli incisivi mascellari, la questione è ancora più delicata, oltre che dibattuta. «Kokich e Kinzer nel passato hanno affrontato il problema, diventato oggetto di studio anche da parte di colleghi italiani, tra cui Marco Rosa. In genere, il dentista si trova di fronte a due opzioni, chiudere gli spazi o aprire gli spazi, anche se esiste per così dire una terza via: chiudere gli spazi anteriormente e aprirli in una zona più posteriore, comunque meno estetica».
Quello che è certo, sottolinea Quinzi, è che la cura dei pazienti con gli incisivi mascellari mancanti richiede un approccio terapeutico completo interdisciplinare. «In questi casi il dentista generico non se la può cavare da solo, ma neppure l’ortodontista, perché può essere necessario l’intervento del conservatore, del parodontologo, del protesista e qualche volta anche dell’implantologo».
Secondo Quinzi, la chiusura degli spazi oggi è il gold standard, l’approccio evidence based più utilizzato dagli ortodontisti e offre innumerevoli vantaggi al paziente in crescita. «Innanzitutto, perché con la chiusura degli spazi e la rimozione degli apparecchi ortodontici si conclude la terapia e questo è già un bel vantaggio: il paziente non deve più pensare ad altri trattamenti in età adulta. La chiusura degli spazi garantisce una modalità di trattamento efficace ed efficiente, oltre che un’altissima stabilità a medio-lungo termine, come ha dimostrato Marco Rosa, collega e amico con cui ho il piacere di collaborare da tempo: nel 2016 ha pubblicato un articolo dove, in maniera retrospettiva, ha paragonato alcuni dei casi trattati con la chiusura degli spazi, con un gruppo di controllo: negli anni, i pazienti trattati con la chiusura degli spazi avevano un miglior sondaggio parodontale rispetto al gruppo di controllo e una migliore stabilità occlusale». Risultato non di poco conto, considerando che nel trattamento dell’agenesia degli incisivi laterali, oltre all’estetica e alla funzione, è necessario pensare anche alla salute parodontale che può essere valutata solo a distanza di tempo dal trattamento.

Terapia complessa da attuare a regola d’arte

«L’idea di aprire lo spazio per consentire al collega di sostituire il dente mancante con una protesi non mi viene più in mente per nessun paziente, anche se poi banalmente si dice sempre che l’apertura degli spazi può essere indicata quando c’è un eccessivo spazio in arcata, oppure quando ci sono pazienti che hanno una malocclusione di classe III, oppure una I classe perfetta in tutti i settori della bocca. In questi casi si può scegliere di mantenere gli spazi e sostituire i denti mancanti con un maryland bridge da applicare in maniera adesiva sulla superficie palatale dei canini oppure con degli impianti».
Per quest’ultima opzione, che un tempo poteva essere praticata solo in età adulta per ovvie ragioni di crescita, oggi c’è una novità interessante. «Roberto Ciarlantini, collega con cui collaboro, nel 2017 ha pubblicato un articolo sull’American Journal of Orthodontics and Dentofacial Orthopedics dove descrive l’utilizzo delle miniviti ortodontiche, quelle impiegate per l’ancoraggio scheletrico, in questo tipo di problematica. È una soluzione che garantisce l’estetica in un periodo della vita importante per un giovane paziente e che preserva l’osso. Quando il paziente poi diventerà adulto, potrà sottoporsi a un intervento implanto-protesico definitivo».
Tuttavia, Quinzi, nonostante tutto, resta dell’idea che la chiusura degli spazi rappresenti il gold standard per far fronte a questa anomalia. «È una terapia complessa che va attuata a regola d’arte, a fronte di una diagnosi corretta e di un approccio interdisciplinare. Ma grazie ai TAD’s (dispositivi di ancoraggio temporaneo) siamo in grado di realizzarla in modo semplice e controllato nella quasi totalità dei casi.
I detrattori della chiusura degli spazi sostengono che questo approccio può ridurre l’ampiezza del sorriso, peggiorare il profilo, ma questo non è vero, perché siamo in grado di pianificare i nostri trattamenti mantenendo una buona ampiezza del sorriso, un buon supporto del labbro superiore, rispettando il limite anteriore della dentatura».
Chiudere gli spazi, per semplificare, significa spostare tutti i denti in avanti, cioè fare in modo che i canini prendano il posto degli incisivi laterali e che i premolari prendano il posto dei canini. «L’ortodontista questo lo sa fare bene, anche se poi, per finalizzare il risultato dal punto di vista estetico, dobbiamo chiedere aiuto agli altri specialisti: al parodontologo per rimodellare le parabole gengivali, al protesista o al conservatore che si occuperà di cambiare la forma ad alcuni elementi. Considerando che nei soggetti affetti da agenesia gli elementi dentali sono tutti un po’ più piccoli, è possibile che il paziente venga coinvolto in un trattamento restaurativo e conservativo; in tal caso il gold standard sono i restauri diretti in composito. Quando il paziente sarà adulto, potrà poi decidere di farsi applicare delle faccette no-prep e rendere il risultato ancor più estetico». In conclusione, oggi la chiusura degli spazi è possibile in tutte le malocclusioni, se basata su una diagnosi corretta e su un piano di trattamento completo, ricordando che questa opzione terapeutica non peggiora né l’ampiezza del sorriso, né il profilo dei pazienti, né la salute parodontale a lungo termine.

Una domanda ricorrente, a cui serve una risposta multidisciplinare

Fabio Federici Canova, odontoiatra, specialista in ortognatodonzia, libero professionista e professore
a contratto presso l’Università
di Brescia

«Aprire o chiudere gli spazi? Di questo se ne parlava già diffusamente negli anni Novanta», dice Fabio Federici Canova, odontoiatra, specialista in ortognatodonzia, libero professionista e professore a contratto presso l’Università di Brescia. «Su quale fosse la migliore soluzione, allora con noi studenti ne discuteva il professor Guastalla e io lo facevo con l’amico e collega Matteo Beretta», ricorda Federici Canova, che nel frattempo ha conseguito due certificazioni di eccellenza per la qualità e i risultati clinici in ortodonzia (Italian Board of Orthodontics e European Board of Orthodontics) e oggi si occupa di odontoiatria pediatrica e di ortodonzia, unite alla sua passione per le nuove tecnologie e i sistemi digitali. «In alcuni periodi si è dato più credito alle soluzioni implanto-protesiche, in altri a quelle ortodontiche, sapendo comunque che l’approccio vincente è quello multidisciplinare. Attualmente, la tendenza è quella di chiudere gli spazi, cioè di portare i canini in posizione laterale, per almeno due ragioni. Innanzitutto, perché grazie all’ortodonzia intercettiva si ha evidenza del problema precocemente e questo permette di studiare il caso con gli strumenti oggi disponibili, molto sofisticati ed efficaci. Poi perché i dispositivi di ancoraggio scheletrico (TAD’s -temporary anchorage devices) permettono di superare le difficoltà che un tempo rendevano più ostico il trattamento. In alcune malocclusioni, infatti, era più facile lasciare lo spazio aperto, perché la chiusura risultava tecnicamente difficile e quindi si optava per un maryland o per un impianto. Con l’ancoraggio scheletrico le cose sono cambiate molto. Il sistema, che ha rappresentato una rivoluzione, peraltro in continua evoluzione, è diventato parte imprescindibile del bagaglio dell’ortodontista. Tanto che l’inserimento del dispositivo, progettato digitalmente anche con un software open source, è semplice e sicuro e può essere eseguito anche dall’ortodontista con basse capacità chirurgiche. L’apparecchio può essere montato in una sola seduta: ancorato in modo scheletrico, mesializza tutto il settore posteriore, senza il rischio di lingualizzare gli incisivi superiori e quindi appiattire i profili». Per contro, l’apertura degli spazi comporta invece una serie di problemi. «Il primo e il più urgente», spiega Federici Canova, «è cosa fare negli anni che intercorrono tra la fine del trattamento ortodontico e quando il paziente, divenuto adulto, sarà protesizzato con un impianto. Le soluzioni sono diverse, tutte efficaci, ma comportano comunque un dispendio di tempo e di risorse. Per non parlare del rischio di una recidiva dell’inclinazione delle radici lasciate aperte, che con il tempo si possono inclinare. A volte infatti può esserci la necessità di dover fare un altro piccolo intervento ortodontico per riparallelizzare le radici nell’età adulta, e questo per il paziente può essere una seccatura».
Caso a sé è quello della persona con un’agenesia dei denti permanenti che sino all’età adulta ha conservato i corrispondenti denti decidui, ammette Federici Canova. «In questo caso particolare», spiega, «se si stima che la chiusura possa rappresentare un problema, è possibile ottimizzare lo spazio con l’ausilio degli allineatori trasparenti, per poi inserire un impianto o adottare un maryland monoaletta, altra novità di questi ultimi anni».
In tutti i casi, sottolinea Federici Canova, è importante avere sempre un approccio muldisciplinare, anche alla luce di quel che insegna la letteratura. «In un interessante articolo, Marco Rosa e Davide Mirabella hanno dimostrato che, in presenza di agenesie degli incisivi laterali, il volume degli incisivi centrali è generalmente ridotto. Quindi, quando si restaura una bocca per questa anomalia, bisogna sempre considerare di valutare con estrema attenzione il volume degli incisivi centrali che sovente ha bisogno di essere aumentato per avere un’estetica ideale. Si è sempre parlato solo del canino che deve essere trasformato in un laterale oppure di un laterale conoide che deve essere allargato in caso di agenesia monolaterale, però attenzione anche agli incisivi centrali, che spesso hanno volumi ridotti rispetto alla media della popolazione e che vanno dunque calibrati, leggermente allungati ed allargati, affinché abbiano un rapporto corretto con i denti a fianco».

Occorre avere già in mente il risultato finale

In sintesi, suggerisce Federici Canova, l’odontoiatra dovrebbe seguire l’indicazione del motto “begin with the end in mind”. «In altre parole, programmare il trattamento pensando al risultato finale, sapendo che il canino dovrà avere una certa inclinazione corono-radicolare per assomigliare a un laterale, il premolare essere posizionato in modo tale da avere le parabole livellate come fosse un canino, e il molare invece con dettagli di finishing di classe II, senza componenti rotazionali». Accorgimenti che insieme alla possibilità di condividere i dati in formato digitale rendono questa terapia di stampo multidisciplinare più semplice di un tempo. «Il paziente non deve più vagare da uno studio all’altro», conclude Federici Canova, «perché sono i file ad essere condivisi. La tecnologia digitale ha semplificato il percorso di cura: è sufficiente trasferire i dati digitali da un professionista all’altro, a maggior ragione laddove gli specialisti non operassero all’interno dello stesso studio, per rendere tutto più semplice. Anche la comprensione del piano terapeutico da parte del paziente può essere resa più immediata, con l’ausilio di programmi comunemente presenti in un PC che aiutano il professionista nella comunicazione di quel che si intende fare per risolvere il caso nella maniera ottimale». Nel trattamento dell’agenesia degli incisivi laterali, oltre all’estetica e alla funzione, bisogna pensare anche alla salute parodontale

Il valore dei protocolli e delle procedure cliniche convalidate
Marco Rosa, medico-chirurgo, specialista in Ortognatodonzia e in Odontostomatologia

Tra chi ha eletto come particolare campo di interesse proprio la chiusura degli spazi nell’area del sorriso, c’è Marco Rosa, medico-chirurgo, specialista in Ortognatodonzia e in Odontostomatologia. Past President e Active Member dell’Angle Society of Europe, il dottor Rosa ha conseguito l’European Board of Orthodontics e l’Italian Board of Orthodontics. È inoltre Socio Attivo dell’Accademia Italiana di Conservativa, dell’Accademia Italiana di Ortognatodonzia e della SIDO. Docente a contratto in diversi atenei, in Italia e all’estero, è anche autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Nel 2016 è stato il vincitore del Dewel Award per la migliore ricerca clinica pubblicata dall’American Journal of Orthodontics and Dentofacial Orthopaedics. Lo abbiamo raggiunto a Trento, dove opera come libero professionista, dedicandosi in modo esclusivo all’Ortodonzia.

Dottor Rosa, come valuta le opzioni di trattamento nei casi di agenesia degli incisivi laterali? Sulla base di una diagnosi corretta nel contesto della malocclusione associata all’agenesia di uno o entrambi i laterali e considerando l’età e le aspettative del paziente, è doveroso proporre l’alternativa terapeutica che risolve il disagio estetico e le problematiche cliniche con il miglior rapporto costi-benefici. Tutte le alternative terapeutiche proposte fino a oggi sono teoricamente accettabili e corrette: sia la sostituzione protesica del dente o dei denti assenti sia la chiusura ortodontica degli spazi. In generale preferisco proporre protocolli terapeutici minimamente invasivi, che riducono al massimo il rischio di complicanze e la necessità di re-intervento nel lungo termine.

Su quali basi scientifiche motiva le sue scelte? Al di là del risultato estetico, che rappresenta ovviamente un’obbligazione in presenza di una mutilazione dentale nell’area del sorriso, la priorità è salvaguardare la salute dento-parodontale.
La letteratura scientifica ha dimostrato in modo chiaro e confermato ripetutamente che, nel lungo termine, la chiusura ortodontica degli spazi è l’alternativa terapeutica che maggiormente garantisce il mantenimento della salute parodontale senza creare alcun disturbo disfunzionale. In altre parole, se l’obiettivo è mantenere uno stato di salute ottimale in modo predicibile, i canini al posto dei laterali e i premolari al posto dei canini non rappresentano un motivo di preoccupazione e la chiusura ortodontica degli spazi garantisce livelli di salute parodontale superiore a quanto sia stato riscontrato nei pazienti trattati protesicamente e/o con impianti osseointegrati. Nel 2016 anche il mio gruppo di lavoro ha pubblicato i risultati di una ricerca clinica che ha confermato questo fatto. Tutti i pazienti trattati mediante chiusura ortodontica degli spazi e rimodellamento ortodontico, mediante intrusione dei primi premolari ed estrusione dei canini, dei margini gengivali, avevano livelli ottimali di salute parodontale (PD nei limiti della norma in assenza di BoP, mobilità e recessioni) a distanza di 10 anni dalla fine del trattamento. Ho inoltre pubblicato numerosi reports clinici allo scopo di dimostrare che la chiusura ortodontica degli spazi, finalizzata con restauri cosmetici minimamente invasivi, consente di ottenere anche un risultato estetico ottimale.

Aprire o chiudere gli spazi comporta vantaggi e svantaggi: è così?
«È così. I principali svantaggi della sostituzione protesica sono:

  • la necessità, quasi sempre, di un trattamento ortodontico di riapertura ottimale dello spazio;
  •  la maggiore difficoltà a mantenere livelli ottimali di igiene orale (soprattutto nel caso di sostituzione implanto-protesica e quando i restauri protesici coinvolgono i denti adiacenti);
  • la necessità di allungare in modo talvolta inaccettabile i tempi di trattamento negli adolescenti, poiché è meglio che la sostituzione protesica venga eseguita a fine crescita;
  • il rischio di dover re-intervenire nel corso della vita in caso di complicanze sopraggiunte (peri-implantite anzitutto, ma anche infraocclusione e migrazione dei denti adiacenti al restauro protesico); evenienze che peraltro, è dimostrato in letteratura, sono abbastanza frequenti;
  • i costi maggiori.

Gli svantaggi principali della chiusura ortodontica degli spazi sono invece:

  • la maggiore difficoltà del trattamento ortodontico, soprattutto della fase di finitura ortodontica necessaria per consentire al dentista di eseguire una finalizzazione cosmetica minimamente invasiva;
  • la necessità quasi sempre, al termine del trattamento ortodontico, di eseguire restauri cosmetici multipli (diretti in composito e successivamente indiretti in materiali vetrosi), su 2, 4 o 6 denti anteriori superiori, non solo allo scopo di ottimizzare il risultato estetico e funzionale, ma anche per garantire una maggiore stabilità dei risultati e ridurre il rischio di riapertura di piccoli spazi nel tempo.

Il vantaggio principale della chiusura ortodontica degli spazi è quello di poter concludere il trattamento al termine della terapia ortodontica. Questo vantaggio è di cruciale rilevanza nel caso di pazienti adolescenti e/o in fase di crescita. La sostituzione protesica è da prediligere nei pazienti adulti, in assenza di malocclusione e quando i margini gengivali non sono visibili.

Quali sono gli aspetti più importanti da considerare durante la chiusura e l’apertura degli spazi? Anzitutto il controllo della salute parodontale per mezzo di un’attenta applicazione delle procedure di igiene orale domestica e professionale; in secondo luogo, il monitoraggio clinico e radiografico del corretto posizionamento e integrità delle radici nella busta parodontale; ovviamente il controllo delle aree di ancoraggio ed il monitoraggio della biomeccanica di chiusura o apertura dello spazio. Infine, un altro aspetto cruciale: l’essere consapevoli che la semplice chiusura o apertura degli spazi non è sufficiente. La vera sfida è la finitura ortodontica, il cui obiettivo non è solo l’ottenimento di un’esposizione ottimale di margini gengivali e denti, di corretti rapporti occluso-articolari e funzionali, ma anche di facilitare l’esecuzione dei restauri, quasi sempre necessari anche dopo la chiusura degli spazi.

Per concludere, quali consigli clinici si sente di dare ai giovani colleghi un po’ meno esperti? Di studiare la grande mole di dati pubblicati fino a oggi, fare tesoro dell’esperienza dei colleghi più maturi ed esperti e applicare i protocolli e le procedure cliniche senza accettare compromessi. Inoltre, di non scoraggiarsi durante la fase di finitura e di acquisire e consolidare una forma mentis “interdisciplinare” dialogando: l’ortodontista con il protesista e il parodontologo fin dal momento del piano di trattamento, allo scopo di definire gli obiettivi, focalizzare le possibili complicazioni e verificare in corso d’opera i risultati.

 

Agenesia degli incisivi: aprire o chiudere gli spazi? - Ultima modifica: 2023-02-15T17:46:55+00:00 da K4
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