Ogni mese, si sa, porta scadenze: anticipo tasse, seconda rata IMU, prima rata TARI, IRAP… IRAP? Già! Pareva un capitolo chiuso e invece l’Agenzia delle Entrate, in perfetta buona fede e certa del proprio buon diritto, ha contribuito a rimpolpare la casistica delle fattispecie che non autorizzano lo Stato a richiedere il versamento di questa gabella.
Già anni addietro, su questa prestigiosa rivista scientifica, mi ero trovata a dissertare in merito all’IRAP (non) dovuta dai Dentisti non avendo, poi, più occasione di tornare in argomento e convincendomi, quindi, del fatto che oramai le conclusioni fossero pacifiche per l’universo mondo.
E invece ecco che nuovamente l’Agenzia delle Entrate bussa all’uscio di uno studio odontoiatrico colpevole di avere non più una ma ben due persone alle dipendenze del Professionista. Eh! Se non è un’autonoma organizzazione lavorativa questa…
Il versamento indebito
“La contribuente impugnava il provvedimento di silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia alla propria istanza di rimborso IRAP per difetto del requisito dell’autonoma organizzazione, svolgendo essa attività di libero professionista (dentista) con alle proprie dipendenze due assistenti part-time.
La CTP (Commissione Tributaria Provinciale, ndr) respingeva il ricorso, e la CTR (Commissione Tributaria Regionale, ndr), adita in sede di gravame, accoglieva invece l’appello.
Ricorre in cassazione l’Ente impositore affidandosi a due motivi. La contribuente si difende a mezzo di controricorso”.
Quindi: c’è una richiesta di restituzione avanzata da una Dentista all’Agenzia delle Entrate di quanto indebitamente versato.
Lo Stato non ci sta e costringe la Professionista, tutt’altro che arrendevole, a rimboccarsi le maniche e a lottare per riavere quanto già corrisposto.
La decisione
“L’Agenzia denuncia con il primo mezzo violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, artt. 115 e 116, c.p.c. e art. 2697, c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, assumendo l’errore dei giudici d’appello nell’aver affermato la marginalità del lavoro di due dipendenti part time del professionista (dentista) contribuente, affermando così l’insussistenza di un’autonoma collaborazione in capo allo stesso, anche in ragione della modestia dei beni strumentali (57.000 euro di cui 30.000 per un autoveicolo) e spese per materiale odontotecnico per 11.821 euro.
Nel merito, come questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema di IRAP, l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusivo, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce presupposto dell’imposta, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata.
Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo:
a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, ed in particolare di collaboratori non occasionali che non superino il numero di uno che esplichi mansioni di segreteria o meramente esecutive (Cass. Sez. U. n. 9451/2016).
Costituisce onere del contribuente che chiede il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (v. Cass., 16/2/2007, n. 3678).
Orbene, nel caso il giudice dell’appello ha accertato, tra l’altro, che gli assistenti di poltrona erano due, e ha altresì accertato che trattasi di soggetti assolutamente non in grado di surrogarsi al professionista (segretaria e assistente alla poltrona).
Nello specifico va sottolineato come sia insegnamento di questa Corte che, in materia di IRAP del medico convenzionato, il requisito della autonoma organizzazione non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive (Cass. sez. un. 9451 del 2016). Nella specie, la CTR ha osservato che pur se i dipendenti erano due, essi erano stati assunti part time, e va subito chiarito come questa Corte abbia già affermato in diverse pronunce la tendenziale equivalenza di due unità lavorative part time a una sola unità lavorativa a tempo pieno (Cass. ord. n. 383/17, 11060/17, 23466/2017), procedendo poi alla qualificazione dell’attività come non autonomamente organizzata anche alla luce degli altri fattori (spese solo per fornitura di apparecchi e materiale ortodontico per 11.000 euro circa, beni strumentali per 57.000 euro, di cui 30.000 per autoveicolo).
Alla luce di quanto precede, e ritenendo che l’accertamento di fatto non è più rivedibile in sede di legittimità, mentre i principi espressi da questa Corte non risultano violati dalla CTR come emerge in particolare dall’equiparazione di due lavoratori part time a uno a tempo pieno e dalla non decisività ai fini di un’autonoma organizzazione di diversi fattori certamente non atti a sostituire la prestazione professionale della contribuente, il motivo dev’essere respinto”.
Morale: profilo basso, se due lavoratori anziché uno, tutti part time e, ovviamente, che nessuno possa sostituirvi. Vincerete a mani basse.
Il (buon) contribuente
C’è chi le tasse le paga controvoglia perché obbligato, c’è chi invece lo fa fiducioso perché dotato di un profondo senso civico, c’è chi lo fa per paura di essere “beccato” e chi, ansioso, paga di più perché meglio essere creditori che debitori… A qualunque categoria apparteniate, affidatevi a Professionisti del settore aggiornati e competenti, che vi sappiano consigliare al meglio: pagare in più comporta poi avanzare una richiesta di rimborso che, se non accolta immediatamente, porta a un giudizio pagato – e a ben vedere, si torna sempre lì – con i soldi anche di chi alla fine si vedrà restituito l’importo non dovuto.