Un professionista con l’anima del ricercatore

La storia di Enzo Vaia nel mondo dell’odontoiatria inizia per caso, come capita sovente quando è il destino a chiamare. Era iscritto al secondo anno di Medicina presso la II Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli, città nella quale aveva trascorso la sua infanzia e conseguito la maturità scientifica, quando accadde qualcosa di inaspettato. Nel corso di una vacanza con un gruppo di amici a Palinuro, in campeggio, conobbe una giovane che si stava preparando al concorso per l’ammissione al corso di laurea in Odontoiatria. Si lasciò convincere ad accompagnarla per cercare di aiutarla all’esame, quasi fosse un gioco. Un gioco che si rivelò invece fatale per il suo futuro. Al concorso arrivò infatti secondo. Il risultato del tutto inaspettato, racconta Vaia, glielo comunicò il fratello: il giorno in cui furono esposte le graduatorie, infatti, una forte bronchite lo aveva costretto a restare casa. Dopo un’attenta riflessione, maturò la decisione di interrompere gli studi di medicina per iniziare la nuova avventura.

L’idea di conseguire una laurea professionalizzante lo rassicurò: il padre era un agente di pubblica sicurezza e l’iter di studio per un medico era forse troppo lungo e incerto per chi, come lui, volesse al più presto rendersi autonomo economicamente. Si impegnò così in maniera totalizzante nello studio, manifestando presto grande interesse per la patologia parodontale e la chirurgia orale, gli ambiti di ricerca del professor Sergio Matarasso titolare della cattedra di Parodontologia nell’Istituto di Discipline Odontostomatologiche della II Facoltà di Medicina e Chirurgia di Napoli con cui si laureò e con il quale iniziò una collaborazione che è durata circa vent’anni. Enzo Vaia, dopo la laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria conseguita nel 1986, due anni più tardi si perfeziona in Chirurgia Parodontale Ricostruttiva. In seguito viene nominato professore a contratto di Parodontologia presso la scuola di specializzazione in Odontostomatologia dell’Università de L’Aquila. Nel 1996 consegue il titolo di dottore di ricerca in «Chirurgia Oro-Maxillo-Facciale» presso la I° Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli. Nello stesso ateneo, dal 1995 sino al 1999, è Professore a contratto di «Parodontologia» presso la Scuola di Specializzazione in Ortognatodonzia. Nel frattempo partecipa attivamente a corsi di perfezionamento, tavole rotonde, conferenze, seminari di studio oltre che a congressi nazionali e internazionali della specialità.

Pubblicità

Iscritto alle più prestigiose società scientifiche nazionali, dal 1994 è membro Fellow dell’ITI (International Team of oral Implantology) e dal 2002 è Socio Attivo della Società Italiana di Parodontologia e della Società Italiana di Implantologia Osteointegrata. È autore di oltre novanta lavori scientifici pubblicati sulle più importanti e diffuse riviste nazionali e internazionali su argomenti di parodontologia, implantologia, chirurgia orale e patologia odontostomatologica ed è co-autore del volume «Implantologia orale» (1995, Edizioni Martina). Nell’attività clinica si occupa esclusivamente di parodontologia, chirurgia orale e implantologia osteointegrata mediante impianti ITI.

Dottor Vaia, qual è stato il suo rapporto con lo studio e la ricerca?

Ho sempre puntato molto sulla mia formazione. Non essendo figlio d’arte, avevo una sola arma per entrare nel mondo della professione odontoiatrica: la cultura. D’altronde anche uno dei miei maestri, il prof. Giancarlo Valletta, sosteneva che la conoscenza paga sempre. È stato un insegnamento prezioso che ha dato i suoi frutti e che oggi cerco di trasmettere anche ai miei figli. Credo sia doveroso per chiunque abbia a che fare con la salute delle persone saper rispondere correttamente alle domande e alle esigenze che oggi sono poste con una frequenza sempre maggiore. L’incontro con il professor Matarasso e il quotidiano rapporto che si è venuto a creare nel ventennale periodo di collaborazione è stato il più significativo per la mia formazione umana e professionale. In questo lunghissimo periodo l’Università mi ha visto dapprima studente, poi perfezionando e dottorando, successivamente cultore della parodontologia e infine collaboratore: un rapporto costruttivo e appagante che continua ancora oggi, seppur in modo in po’ diverso rispetto a un tempo.

Perché, a un certo punto, decise di interrompere la sua carriera universitaria? 

Perché purtroppo quando si presentò l’occasione per entrare definitivamente nel mondo universitario reputai che fosse ormai troppo tardi per me. Mi ero nel frattempo sposato ed erano già nati due figli: forse mi sono sentito un po’ vecchio per iniziare un percorso che in Italia è molto difficile. Per di più, in quel periodo c’era grande incertezza sull’evoluzione che la legge Bindi, quella sull’incompatibilità tra la libera professione e l’impiego pubblico, avrebbe avuto. Così, con un dispiacere immenso, decisi di fare un passo indietro. Oggi continuo la mia attività di ricerca clinica nel mio studio privato, documentando i casi con quel rigore scientifico che mi è stato insegnato. Un impegno per il quale sono chiamato spesso dalle Società Scientifiche e dalle Università a tenere lezioni su argomenti specifici sui quali ho maturato grandi competenze ed esperienza.

Il suo, per alcuni versi, è comunque un punto di vista privilegiato: a cavallo tra università e mondo della professione. Cosa è cambiato in questo ultimo ventennio nel mondo dell’università? 

Sono sempre stato grato all’Università per gli insegnamenti che mi ha trasmesso. Cultura, passione, ma anche esperienza, metodo e tecniche che non avrei mai potuto acquisire nel privato. L’Università mi ha formato come clinico e mi ha molto influenzato come uomo. Come studente ho avuto la fortuna di frequentare il Corso di Laurea di Odontoiatria subito dopo la sua istituzione e beneficiare del grande «entusiasmo» formativo di quei giovani docenti. Oggi le cose sono cambiate: gli spazi formativi e professionali si sono ridotti e a volte sembra venir meno anche la motivazione di alcuni docenti alla didattica, forse a causa della crescita smisurata delle incombenze burocratiche che caratterizzano gran parte del lavoro universitario. Forse anche per questi motivi è mutata la figura del maestro che, un tempo centrale nella formazione culturale, negli ultimi tempi ha avuto un netto ridimensionamento. Oggi accade spesso che gli studenti non abbiano più quel rapporto così diretto con il professore che ho avuto la fortuna di avere io: spesso a lezione è infatti sostituito dai suoi assistenti.

D’altronde sono cambiate molte cose anche nel mondo della professione: quale dovrebbe essere, a suo avviso, il ruolo dell’università nell’odontoiatria di oggi?

Il ruolo dell’Università deve espletarsi a più livelli: nell’assistenza, nella ricerca, oltre che ovviamente nella didattica. In quest’ultimo ambito, l’Università non può più limitarsi alla formazione di primo livello, ma deve occuparsi anche di quella di secondo livello, oggi troppo spesso demandata al privato, alle società scientifiche o a organizzazioni che se ne occupano a vario titolo. Io credo che l’Università debba mantenere un ruolo centrale nella diffusione di tecniche e metodiche di trattamento per il ruolo istituzionale che ricopre che permette di identificarla come entità garante «super partes».

Dove sta andando invece l’odontoiatria?

È una disciplina sempre più complessa, più tecnologica e più costosa rispetto a un tempo. Anche il paziente lo ha compreso. Difficile invece è spiegargli che a differenza di altri settori, dove il costo della tecnologia si è ridotto progressivamente (basti pensare al mondo dell’informatica e alla diffusione dei personal computer oggi alla portata di tutti) la strumentazione, i materiali e le apparecchiature in uso in uno studio odontoiatrico e utilizzati per i trattamenti terapeutici e/o riabilitativi non hanno subito la medesima sorte. I costi per la formazione e quelli dei materiali sono elevati, la qualità richiesta dai pazienti è sempre più alta, dunque i costi a carico dei pazienti non si sono ridotti, come in altri ambiti. Ciò ha contribuito a portare ulteriore discredito alla nostra categoria che è vista, come ha detto provocatoriamente Pierluigi Celli, ex amministratore delegato della RAI e oggi AD della LUISS, al congresso internazionale di due anni fa della Società Italiana di Parodontologia, come quella di «quelli della doppia e: esosi ed evasori».

È questo dunque il tallone d’Achille dell’odontoiatria privata?

È l’incapacità abbastanza diffusa nella nostra categoria di comunicare con il paziente. La preparazione e la qualità hanno un costo molto elevato e non sempre siamo capaci di spiegarlo ai nostri pazienti. Anche perché in odontoiatria i problemi legati alla scarsa qualità dei trattamenti, proposta a mio avviso da chi sta cercando di entrare sul mercato con offerte economicamente troppo competitive (come per esempio quelle di alcune catene di studi odontoiatrici in franchising ), emergono solo nel medio-lungo periodo e questo non tutti i cittadini lo sanno. Dobbiamo puntare di più su una formazione di qualità e sulla sua diffusione, percezione e comunicazione se vogliamo superare i problemi di cui soffre la nostra odontoiatria.

Un professionista con l’anima del ricercatore - Ultima modifica: 2009-09-19T12:06:16+00:00 da fabiomaggioni

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome